sabato 30 novembre 2024

DOCTOR ODYSSEY: è un'allucinazione?

Dare una chance o no Doctor Odyssey, dal 28 novembre 2024 su Disney+, disponibile poco dopo il debutto negli USA il 26 settembre sulla ABC (la ABC è di proprietà della Disney)? Per me la risposta aveva un pro e un contro: il pro è che ha come protagonista Joshua Jackson (Dawson’s Creek, Fringe, The Affair), un attore bravo e attraente che sta invecchiando bene, nel ruolo del dottor Max Bankman un medico neoassunto su una nave da crociera, la Odyssey (Odissea), ed ero in cerca di una serie di easy-viewing per sostituire la terminata The Good Doctor; il contro è che la serie è ideata da Ryan Murphy, insieme a Jon Robin Baitz e Joe Baken. Intendiamoci, ho stima intellettuale per Murphy, che ha al suo attivo numerose pregevoli produzioni. Solo, mi sento spesso attivamente bullizzata dalle sue creazioni che non mi fanno stare bene e, alla fine, a che pro seguirle? Poi è arrivata una teoria di TV Line che mi incuriosita molto: dovevo vederla. Ma procediamo con ordine…

Il suddetto dottor Bankman viene accolto sulla nave da crociera di cui al titolo dal capitano Robert Massey (Don Johnson, Miami Vice, Nash Bridges). Incontra subito i suoi più stretti collaboratori, gli infermieri Avery Morgan (Phillipa Soo) e Tristan Silva (Sean Teale), quest’ultimo forse non troppo segretamente innamorato della collega. Bankman è anche troppo qualificato per quel lavoro, ma vuole un ambiente diverso da quello a cui è abituato, più rilassato e che gli permetta anche di godersi un po’ la vita, e in ogni caso si rende conto che nonostante la sua bravura, i suoi collaboratori riescono ad essere più efficaci di lui lì dove è necessaria anche l’esperienza sul campo di casi che nell’ambiente di una nave di quel tipo si ripetono con costanza. Il motivo per cui cerca un cambio di rotta è che è stato il paziente zero all’inizio della pandemia da coronavirus e ha una nuova prospettiva ora che è guarito. E qui vene il bello. TV Line infatti si domanda: e se non lo fosse?   

Qui spiegano la loro teoria che traduco di seguito. “Max non ha mai sconfitto il COVID. È bloccato in coma, sospeso tra la morte e la vita. L'Odyssey è il paradiso, che lo invita a passare dall'altra parte. La nave non esiste! Come spiegare altrimenti l'aura ultraterrena del dottor Max? Come si spiega altrimenti che una nave di queste dimensioni impieghi solo tre medici? Come si spiega altrimenti l'assurda bizzarria di tutto  ̶  come l'equipaggio un minuto prima curi un uomo per aver mangiato troppi gamberi e quello dopo faccia festa su una spiaggia, lasciando apparentemente gli ospiti dell'Odyssey a cavarsela da soli?”

La narrazione è velocissima, con eventi ridotti all’osso e salti pindarici, quindi che passino da curare un paziente a divertirsi non è necessariamente significativo, ma la loro ipotesi ha senso. Poi, naturalmente portano ampie prove indiziarie a supporto della propria tesi: sembra un sogno in qualche modo irreale, molto luminoso come se fossero stati usati dei filtri di Instagram, tanto che Ryan Murphy avrebbe usato la parola “sparkle” (luccichio, scintillio) per descriverne la qualità;  il nome Odissea allude a un viaggio o una ricerca intellettuale o spirituale, quindi il protagonista o trova un modo di tornare alla vita o rimane sulla nave che è il paradiso: il capitano della nave la definisce proprio come tale, “paradiso”; un teaser della ABC per la serie ha usato la canzone “Wouldn’t It Be Nice” dei Beach Boys il cui testo dice “Non sarebbe bello se potessimo svegliarci al mattino quando il giorno è nuovo?” e sotto il continuare della canzone si sentono macchinari di ospedale…E indubbiamente entrare nella nave visivamente ha il senso di attraversare un tunnel e uscirne salire una scala verso una grande luce (1.02), la luce del Paradiso?

Insomma, è vero: Tristan e Avery potrebbero non essere gli assistenti del dottor Max a bordo della Odyssey, ma parte del suo team di cura e lui in una sorta di purgatorio della coscienza. E la luce in cui sono immersi i personaggi, per me a dire il vero fastidiosa e poco attraente, è segno di una realtà atra, distorta. Persino sul set pare abbiano avanzato questa ipotesi. Dopotutto, come ricorda bene sempre TV Line, se il tutto si rivelasse un sogno o una illusione durante un coma non sarebbe nemmeno così rivoluzionario: nel 1988, nella celeberrima series finale di St. Elsewhere – A Cuore Aperto si scopre che la realtà dell’ospedale in cui sono ambientate le vicende altro non era se non quello che il giovane Tommy Westphall (Chad Allen), il figlio autistico del dottor Westphall, che era un personaggio ricorrente, immagina accada dentro una palla di vetro, di quello che se giri e scuoti inneva l’interno.

Se fosse un’allucinazione, se non altro questo renderebbe meno attivamente stronzo Max (quando ci vuole ci vuole), che nel pilot bacia Avery davanti a Tristan poco dopo che lui gli ha ammesso di esserne innamorato, non certo un comportamento da nobile eroe, mettiamola così. La locandina con la tagline “Big Deck Energy” non grida proprio finezza, a dire il vero  - “Deck” è ponte, ma mi sorprenderei se qualcuno mi dicesse che non ha pensato a “Dick” (cazzo). Non so se continuerò a seguire Doctor Odyssey perché ha un modo di raccontare le storie troppo rapido per i miei gusti, troppo succede-questo-e-poi-questo-e-poi-questo come uno spuntare una lista di accadimenti senza spessore o conseguenze a lungo termine, e per questo troppo poco appagante. Curiosa però, sono curiosa.

lunedì 25 novembre 2024

HEARTSTOPPER: disturbi alimentari nella terza stagione

Continua con dolcezza, in linea con le precedenti stagioni, la serie LGBTQ+ adolescenziale Heartstopper, ormai alla sua terza stagione. Importante è stata in questo arco la tematica dei problemi di disturbi alimentari e di autolesionismo di Charlie (Joe Locke), realizzata con delicatezza ma senza paura. Sembra che questo genere di problemi siano più diffusi nella comunità LGBTQ+ che fra gli eterosessuali, e soprattutto fra i giovani, ma se ne parla poco e ancora meno quando si tratta di persone di sesso maschile. L’immaginario diffuso collega l’anoressia (che è quello di cui soffre il protagonista) in modo prevalente alle donne.

Alice Oseman, l’ideatrice, rivela in un’intervista ad Elle:

“Si trattava di trovare il giusto confine tra il mostrare troppo e il mostrare troppo poco, essenzialmente. Volevo che fosse realistico e che mostrasse in modo autentico la realtà di avere un disturbo alimentare, ma se mostravo troppo, allora diventava gratuitamente orribile e dannoso. Quello non è utile per nessuno. Anzi, è attivamente dannoso per le persone che guardano.

Ma d'altra parte, se tratto di sfuggita o glisso sugli elementi più oscuri di quella storia, allora non è realistica o nessuno riesce ad riconoscervisi. C'è una linea intermedia che ho cercato di trovare, e questa è stata la sfida anche quando ho scritto le graphic novel. Mi sono avvicinata alla storia pensando: cosa devo mostrare? Cosa non dovrei mostrare? Cosa dovrei raccontare al pubblico e non farglielo vedere?”

Da profana ritengo che abbiano fatto un buon lavoro, con i familiari e il suo ragazzo Nik (Kit Connor) che gli stanno vicino, ma se per esperienza con l’argomento ritenete che non sia così, mi fa piacere se mi commentate argomentando in proposito. 

I primi approcci al sesso pure hanno avuto il loro spazio, così come la tematica trans, con il rischio che venga vista attraverso quella lente qualunque cosa uno faccia: Elle (Yasmin Finney) rimane delusa e ferita che, convocata per un’intervista sulla sua arte, finiscano per chiederle poi in realtà più della sua sessualità che della sua opera.

Nel variegato gruppo è rincuorante vedere che non si dimenticano di chi è asessuale, anche perché se c’è una categoria sottorappresentata è quella. Di questo specifico aspetto in passato ne avevo parlato qui.

Graditissimo il cameo di Jonathan Bailey (Bridgerton, Fellow Travelers) che, grande fan lui stesso, si è attivato per poter partecipare. ‘Tutti coloro che hanno superato i 40 anni dovrebbero essere costretti a guardarlo. (…) E onestamente, se fossero costretti a guardare Heartstopper, il mondo sarebbe probabilmente migliore per questo”, ha dichiarato (qui). Non so se si dovrebbero costringere le persone a vedere cose, ma concordo; sarebbe per molti un’educazione.

mercoledì 20 novembre 2024

THE DIPLOMAT: brevi note sulla seconda stagione

Nonostante il recap, inizialmente sono rimasta spaesata all’esordio della seconda stagione di The Diplomat (su Netflix dal 31 ottobre 2024; qui ho parlato della prima stagione) e ho dovuto fare un ripasso di chi era chi perché la serie ha ricominciato a tutto gas da dove aveva lasciato. Una volta che ho ripreso le fila me la sono goduta come non mai.

Non ha perso un colpo ed è stata dinamica, piena di colpi di scena. E che cliffhanger: la reazione del primo ministro Trowbridge (2.04), e ammetto di avere un debole per Rory Kinnear (Penny Dreadful) che lo interpreta; il ruolo della vice-presidente agli eventi (2.05); la reazione del presidente USA alle notizie riportategli da Hal (2.06) proprio al calare del sipario della season finale. Già non vedo l’ora per la prossima stagione.

Adoro il cast tutto, ma l’aggiunta di Allison Janey nel ruolo della vicepresidente Grace Penn è particolarmente di soddisfazione visti i suoi trascorsi in The West Wing, dove interpretava la segretaria stampa del presidente USA. Potenti le conversazioni fra di lei e la protagonista Katherine "Kate" Wyler (Keri Russell): dialoghi pregnanti, un convincente modo di mostrare donne che sanno essere complici e sanno essere rivali, ma che sopra ogni cosa sono professionali. Intelligente anche il discorso sulla soft power avvenuto fra le due.

Cospirazioni e complotti internazionali per una serie pop-corn con un suo spessore nella consapevolezza di dinamiche sofisticate che sfuggono non solo ai comuni mortali, ma anche ai grandi attori della politica, a meno di non esserne a parte. 


venerdì 15 novembre 2024

AGATHA ALL ALONG: quello che voglio vedere

Questo è quello che voglio vedere quando seguo una serie con delle streghe, ho pensato guardando Agatha All Along (Disney TV+): gustosa avventura con donne grintose, pentoloni (o in questo caso un lavandino a fare da pentolone) e pozioni magiche, formule rituali meglio se in latino, congreghe che si riuniscono con pentacoli e candele, l’occasionale volo con la scopa, e meglio se poi come in questo caso ci si lamenta pure che è diventata un simbolo commerciale e un’ovvia icona di domesticità della donna, senso di connessione con la natura e con la Dea, timore dei roghi, un po’ di giocoso divertimento con la classica iconografia…con qualche spruzzata di saggezza Wicca.

Non avevo alcun desiderio di approfondire il personaggio di Agatha, dopo la visione di WandaVision, che pure avevo apprezzato (ne avevo parlato qui), né ho un interesse particolare ad approfondire il mondo Marvel, ma le recensioni di questo spin-off ideato da Jac Schaeffer erano meritatamente buone: complice lo spirito di Halloween per cui è ideale, me la sono divorata con gusto. Nata come miniserie in 9 puntate, sembra possa avere stagioni successive: le aspetto. E sebbene riprenda elementi dalla serie madre, la mancata visione di quest’ultima non inficia l’apprezzamento di questa nuova creazione. Il viaggio dell’eroe con le sue tappe, le varie prove da superare e i suoi archetipi è una delle strutture narrative più collaudate che ci siano, e qui la si mette a buon frutto in modo prima di tutto fisico, dato che è un vero viaggio quello che intraprende la protagonista con le sue comprimarie.

Agatha Harkness (una versatile, magnetica Kathryn Hahn, Tiny Beautiful Things, I love Dick), che alla fine di WandaVision era stata intrappolata da un incantesimo di Wanda nella cittadina di Westview, nel New Jersey, nel ruolo di Agnes, una poliziotta, dopo tre anni si risveglia dall'incantesimo, grazie a un misterioso Ragazzino (così lo chiamerà, in inglese “Teen”) che le diventa famiglio, William Kaplan (Joe Locke, Heartstopper): un sigillo gli impedisce di rivelare la propria identità che si scoprirà nel corso delle vicende. Agatha si rende conto che i suoi poteri sono svaniti e con lui, che le chiede di percorrerla insieme, decide di intraprendere la leggendaria Strada delle Streghe, di cui parla una famosa ballata, la The Ballad of the Witches' Road, cantata più volte nel corso della stagione (qui in una delle versioni, e vi sfido a non cantarla voi stessi alla fine).

L’obbiettivo è riconquistare le proprie capacità magiche, inseguita dalle Sette di Salem, storiche nemiche. Prima però deve riunire una congrega. Si uniscono a lei Jennifer Kale (Sasheer Zamata), esperta di pozioni; Alice Wu-Gulliver (Ali Ahn), strega protettrice la cui famiglia è afflitta da una maledizione generazionale che la vede perseguitata da un demone; Lilia Calderu (la mitica Patti LuPone), una strega siciliana di 450 anni esperta di tarocchi e divinazione. Nella necessità di una “strega verde”, una il cui punto di forza è il rapporto con la terra, Agatha con una scusa si trascina dietro una vicina di casa che non sa nulla di magia, Sharon Davis (Debra Jo Rupp), che lei continua a chiamare “signora Hart”, dal nome del personaggio che era stata costretta ad interpretare in WandaVision. Alla scomparsa di quest’ultima, la sostituisce la ben più temibile Rio Vidal (la azzeccatissima Aubrey Plaza – la ricordate in Legion, al di là di Parks and Recreation e The White Lotus?), ex amante di Agatha e, come si scoprirà, incarnazione della Morte.

Questa produzione funziona da un punto di vista narrativo grazie a una sfacciata, feroce antieroina la cui backstory viene scavata dando profondità al personaggio e al suo dolore oltre alla avvincente avventura che, mescolando tragedia e commedia, coinvolge i personaggi in “trial”, in prove, in test, volte a mettere in campo la propria abilità per poter passare alla tappa successiva. Ci sono colpi di scena fino in ultimo, mai un tempo morto, e non guasta che ad ogni nuova challenge contro il tempo (che viene scandito in un pressante conto alla rovescia) le protagoniste si ritrovino in ambientazioni con outfit ogni volta diversi. Buona parte dell’attrattiva è stata anche dovuta alla capacità di giocare con l’estetica stregonesca, inspirandosi anche a personaggi leggendari con una buona dose di riferimenti pop, a partire dall’iconico Il Mago di Oz, che viene richiamato in più di un’occasione, a Maleficient, ad Alice nel Paese delle Meraviglie, fino alle suggestioni della brillante sigla finale (qui, e qui con una spiegazione in dettaglio) – non c’è invece una scena post-titoli di coda, una tradizione di queste produzioni che in questo caso non è stata volutamente rispettata.

martedì 5 novembre 2024

HIERARCHY: una scuola d'elite coreana

Scritto da Chu Hye-mi, e con la regia di Bae Hyeon-jin, Hierarchy (ovvero “Gerarchia”, in coreano 하이라키) è una serie scolastico-romantico-adolescenziale di Netflix ambienta nell’esclusiva Jooshin High School dove il prestigio, in un Paese che valorizza moltissimo la cultura, in questo caso è dettato dai frequentanti, tutti ricchissimi rampolli di famiglia a cui viene impartita la più vasta istruzione possibile. A fondare questa scuola privata, il cui motto è proprio “noblesse oblige”, è il Jooshin Group.

Un ragazzo che frequentava la scuola con una borsa di studio rimane ucciso e il fratello Kang Ha (Lee Chae-min) si iscrive nella stessa scuola, sempre grazie a una borsa di studio, per scoprire che cosa è accaduto e per vendicarsi. Qui incontra subito un ambiente molto snob dove chi non è danaroso viene regolarmente bullizzato. Re e regina della cricca di giovani sono considerati Kim Ri-an (Kim Jae-won), che è l’erede designato del gruppo Jooshin, che ha una madre completamente anaffettiva, che nel momento in cui lui le chiede più attenzione gli domanda se non sia sufficiente il numeroso personale che ha assunto per seguirlo; e Jung Jae-i (Roh Jeong-eui), figlia di un potente capo di un gruppo d’affari rivale, il Jaeyul Group che tiranneggia la figlia disprezzandola come la madre da cui si è separato e usandola solo ai fini di business. Ri-an e Jae-i erano una coppia innamorata, ma eventi in partenza poco chiari li vedono separati. La migliore amica di lei, He-ra (Ji Hye-won), è gelosa della loro relazione e non si accorge che il comune amico Lee Woo-jin (Lee Won-jung) è interessato a lei.

La serie è inclusa in un filone che comprende titoli come Élite, Sweet Revenge, The Glory e Boys Over Flowers. Personalmente non li ho visti e mi fido della critica e dei fan che li reputano migliori. Nonostante una sigla di gran stile infatti, la qualità della produzione  elevata da scenografie stilose e una fotografia elegante, Hierarchy non riesce a catturare le simpatie degli spettatori. Vorrebbe essere una storia di amore, amicizia e vendetta, ma non si distingue a sufficienza da titoli indicati sopra per offrire qualcosa di nuovo, ripete dinamiche già viste in altri teen drama. La mancanza di una direzione chiara, personaggi stereotipati e l’assenza di coesione fra alcune parti della trama sono lamentele sollevate che condivido. La soluzione alla morte del fratello di Kang Ha è appagante, ma il triangolo fra questi, Ri-an e Jae-i è inconsistente. Sembra un’opportunità sprecata, perché il potenziale in realtà c’era.

Centro focale di interesse sono il privilegio e le gerarchie sociali che contaminano la società coreana, il potere e le manipolazioni messe in atto per mantenere il proprio status: chi è economicamente benestante gode evidentemente di maggiori possibilità, ma la critica che si muove è di costituire una casta chiusa che non solo non condivide il proprio benessere, esclude volontariamente gli altri per puro senso di superiorità e perché può e ostracizza gli esterni alla propria cerchia umiliandoli e ritenendoli sacrificabili. La generazione giovane, almeno nei tre-quattro leading characters, è mostrata migliore rispetto a quella dei propri genitori nella misura in cui credono ancora nella responsabilità personale, nel voler rendere la realtà migliore e nell’esserci gli uni per gli altri.

Ammetto di aver avuto grande difficoltà nel valutare la capacità recitativa dei personaggi.  Ji Hye-won che interpreta He-ra mi è parsa molto convincente nel ruolo dell’amica d’infanzia gelosa di Jae-i, che ora le è vicina ora cerca di affossarla, che ricchissima cade in disgrazia ma è lei stessa maciullata dalle macchinazioni altrui e dalle sorti economiche della propria famiglia. È stata estremamente espressiva. Diversamente da lei  Roh Jeong-eui, che è appunto l’amica Jae-i, mi è sembrata molto piatta. Sono consapevole però che in estremo oriente fa parte della cultura cercare di non mostrare sul proprio volto i propri sentimenti: dissimularli o nasconderli è incoraggiato. Quindi non sono stata davvero in grado di valutare se certe scelte di recitazione fossero scarso talento da parte dell’attrice o, come mi pare di poter intuire da altri momenti di narrazione, scelte di mostrarsi stoicamente impassibile. Forse la voce avrebbe aiutato, ma non conosco il coreano e per semplicità ho guardato il programma doppiato in inglese (in italiano non c’era la possibilità). In ogni caso ho sentito lo scarto culturale e la mia mancanza di strumenti per fare una valutazione adeguata. Genericamente le interpretazioni sono state apprezzate nonostante per qualcuno siano state troppo smaccate e mancassero di sfumature.

Se si è amanti del sottogenere di ragazzi ricchi e viziati in collegi esclusivi non scoraggio la visione, ma non la incoraggio nemmeno. Al mio scrivere non è prevista una seconda stagione, comunque poco probabile vista la tiepida ricezione.