Tratto dall’omonimo romanzo
di Bonnie Garmus, che non ho letto, Lessons
in Chemistry – Lezioni di Chimica solleva molte questioni di rilevanza
anche attuale, travestite da fantasia femminista di riscatto dall’opprimente
cultura degli anni ’50-’60, periodo in cui è ambientato. Non riesce in
definitiva ad elevarsi da quest’ultimo aspetto e da risultare realmente
memorabile o incisivo, ma offre ugualmente spunti interessanti in una gradevole
confezione.
ATTENZIONE SPOILER
Siamo degli Stati Uniti. Protagonista
è Elizabeth Zott (Brie Larson),
una chimica che in quanto donna viene relegata a ruoli umili nel laboratorio Hastings
dove lavora come tecnica, pur essendo più brillante di molti colleghi maschi. Questo
finché non incontra l’appoggio di un chimico, Calvin Evans (Lewis Pullman), un
tipo molto eccentrico che i colleghi sopportano solo perché è finito sulla
copertina di Scientific American per le sue ricerche. Insieme decidono di studiare l’abiogenesi. Si
innamorano, sono travolti da una deliziosa storia romantica, e decidono di
vivere insieme. Sono sul punto di pubblicare quando lui, fuori a correre come
al suo solito insieme al cane Seiemezza (la puntata 1.03 viene narrata dalla
sua prospettiva), viene investito da un veicolo e muore (1.02). Lei viene
licenziata, e dei loro studi si appropria qualcun altro. Si scopre incinta. Un
po’ l’aiuta la vicina di casa Harriet Sloane (Aja Naomi King), un’avvocata che
si sta battendo perché non venga costruita un’autostrada demolendo il quartiere
a prevalenza afro-americana in cui vivono, che conosceva Calvin. Dopo che nasce
la figlia Madeline (Alice Halsey), detta Mad, vista la necessità economica e la
sua bravura in cucina, campo in cui si è sempre dilettata applicandoci i
principi della chimica e testando ogni nuova variabile nelle differenti
versioni di uno stesso piatto, le viene offerta la conduzione di un nuovo
programma televisivo, “Supper at Six” (Cena alle sei) che è subito un grande
successo e ispira molte donne, non solo ai fornelli. Ha il sostegno di Walter
Pine (Kevin Sussman, The Big Bang Theory),
suo produttore che la supporta anche contro l’aperta ostilità del direttore di
rete Phil Lebensmal (Rainn Wilson, The
Office), e ha l’amicizia di Fran Frask (Stephanie Koenig), una delle
segretarie del Hastings Research Institute che inizialmente la riprendeva
sempre per il suo comportamento. Quando Mad comincia ad andare a scuola e deve
fare il suo albero genealogico, emergono il passato della madre e del padre.
In questa miniserie
sviluppata per AppleTV+ da Lee Eisenberg — non so se per aderenza al
testo che non ho idea se dica qualcosa in proposito, per scelta della
sceneggiatura o della convincente attrice che la interpreta —, la protagonista per la
gran parte della narrazione non mi sembra una persona neurotipica. Nella
diegesi non ci si esprime mai in questi termini, né si allude a qualcosa di
simile con un linguaggio più appropriato all’epoca, ma se si esclude la puntata
finale e pochi altri momenti, questa è l’impressione che mi dà. Forse la
rigidità dovuta al comportamento preteso all’epoca, unita all’eccezionalità
degli interessi del personaggio è tale da giustificare il suo modo di
atteggiarsi, in realtà: me lo sono chiesto. Quello che mi ha irritato nel
pilot, perché è la solita solfa, è che, a dispetto del suo messaggio esplicito,
la serie inizialmente contrappone la protagonista alle altre donne e, per far
emergere la sua brillantezza, fa sembrare un po’ stupide tutte le altre, e
anche gli altri a dire il vero. E quello che la rende brava in cucina è il
fatto che è una scienziata – “cucinare è chimica e chimica è vita” è un po’ il
suo motto (1.05) -, quando per come la vedo io quello potrebbe fortemente anche
essere il suo limite all’essere eccellente, e questo tristemente non passa come
idea. C’è questa fasulla concezione che solo se c’è scienza alla base, allora
qualcosa è geniale e meritevole: niente di più svilente dell’essere umano nella
sua completezza. Questa è la mia maggiore obiezione valoriale al programma, che
prevede una via alternativa solo in termini religiosi e non intellettuali, attraverso
il confronto con le idee del reverendo Wakely primariamente (Patrick Walker).
Di contro si affrontano
molte importanti questioni: la lotta al patriarcato che schiaccia le
potenzialità femminili, alle discriminazioni che valutano non la competenza, ma
il gender o l’aspetto che hai, al sessismo, e la necessità dell’empowerment di
donne che vengono da lei incoraggiate durante il suo programma a seguire i
propri sogni (in un caso una donna aspira a diventare medico, ma non l’aveva
mai preso nemmeno in considerazione come una possibilità realistica) e
l’importanza di credere nelle persone, nell’avere qualcuno che ha fiducia nelle
tue capacità e l’importanza di essere di ispirazione agli altri, anche quando
questo rischia di essere visto come una minaccia; il fatto che cucinare non è
divertimento o un hobby, è un un’attività vitale (1.05) e che prendersi cura
delle persone amate comporta lavoro, vero lavoro (1.01); l’importanza del cibo,
come catalizzatore dello sviluppo fisico della persona, e per il fatto che è
famiglia, è comunità, è essenziale (1.04); la significatività di essere visti e
ascoltati, di avere una piattaforma per farlo, perché quello che si dice lascia
un’impronta, e anche quello che non si dice: è un antidoto a quella che Jill
Stauffer chiamerebbe “la solitudine etica”, l'esperienza di essere abbandonati
dall'umanità, inascoltati, nella dolorosa percezione di subire torti che non
sono percepiti e riconosciuti; il ruolo della TV che la gente non guarda solo
“perché è accesa”, come vuol farle credere il direttore di rete, ma perché ci si
trovano contenuti rilevanti per le proprie vite, con il conseguente imperativo
morale di non mentire agli spettatori, e di non trattarli da stupidi; e poi il
leit motiv reiterato dell’inevitabilità dei cambiamenti, forse la sola costante
della vita.
Queste in fondo sono le “lezioni”
impartite dalla serie, che ci rimanda anche sempre a un testo letterario che la
punteggia, Grandi Speranze di
Dickens, il preferito di Calvin, sullo sfondo di una storia d’amore tragica perché
finita troppo presto.
Deliziosa a mio gusto la sigla di apertura.