domenica 10 settembre 2017

THE BOLD TYPE: amicizia e carriera per tre giovani donne


Definito come un Sex and the City junior, la serie The Bold Type (della rete Freeform) è sia una fantasia adolescenziale, nel senso che si può concepire come la proiezione della realtà lavorativa di tre giovani donne così come potrebbe immaginarsela un teen-ager, sia un’educazione al femminismo, nella misura in cui la serie accompagna le giovani protagoniste in percorsi in cui imparano ad essere donne autonome e sicure delle proprie opinioni, che si aiutano le une con le altre.

Jane Sloan (Katie Stevens, Faking it), Kat Edison (Aisha Dee) e Sutton Brady (Meghann Fahy) sono delle ventenni che lavorano per “Scarlet”, una rivista simile a Cosmopolitan –  fatto non casuale, poiché ci si è ispirati alla redattrice di quella rivista, Joanna Coles. Jane è al suo primo ruolo come giornalista e vuole scrivere di più che non solo di sesso e moda, ma si rende presto conto di come questi possano essere dei temi più significativi di quanto l’apparenza non possa far trapelare. Impara a migliorarsi e le regole per una buona scrittura: dare un punto di vista personale è una delle prime lezioni che le insegnano, cosa che la mette presto in difficoltà quando il tema su cui deve scrivere è l’orgasmo e lei non ne ha mai avuto uno (1.02). A farle da mentore è la direttrice del giornale, Jacqueline Carlyle (Melora Hardin), e presto comincia una relazione con Ryan (Dean Jeanotte), un collega che lavora per la rivista “Pinstripe”. Kat è la direttrice dei social media, abile a sfruttarli al meglio, ma vulnerabile come gli altri quando deve avere a che fare con cyberbullismo e minacce di stupri e di morte (1.03), un tema molto attuale che in TV abbiamo visto di recente trattato in The Good Fight. Conosce e, inaspettatamente per lei che si è sempre considerata eterosessuale, inizia una relazione con una fotografa, Adena (Nikohl Boosheri), musulmana che indossa lo hijab e tiene molto alla propria religione, negli Stati Uniti con un visto.  Sutton è una assistente che ambisce a lavorare nel campo della moda, e ha una relazione con uno dei membri del consiglio di amministrazione della rivista, l’avvocato Richard Hunter (Sam Page), pur attirando anche le attenzioni del giornalista Alex (Matt Ward). Mette grande passione nel suo lavoro.

Ideata da Sara Watson (Parenthood), The Bold Type è un doppio senso nel titolo: è il grassetto del carattere tipografico, ma è il tipo di persona coraggiosa, ardita. Proprio come la serie che parla di giornalismo, ma parla di giovani donne audaci, alla scoperta della propria identità e della propria voce nel mondo.

Il senso della serie è (con un piglio meta testuale) descritto dal discorso che Jacqueline tiene per il 60° anniversario del giornale, che le protagoniste riprendono in seguito in un brindisi in chiusura (1.10):

“La nostra piccola rivista ha attraversato non pochi cambiamenti nel corso degli ultimi sei decenni, e a coloro fra voi che dicono che siamo ancora una rivista di moda e bellezza io dico sì. Sì, lo siamo. Ma a coloro fra voi che dicono che siamo solo una rivista di moda e bellezza, dico ‘ecco il prossimo fantastico mascara per darti occhi più grandi con cui guardare il mondo’. ‘Ecco un favoloso paio di jeans. Ora vai a scalare una montagna’. Alcuni anni fa, ho letto la domanda di lavoro di una giovane interna e le sue parole sono sempre rimaste con me. Alla domanda su perché volesse lavorare a ‘Scarlet’, ha risposto ‘perché quando ne avevo bisogno, ‘Scarlet’ è stata come ricevere i consigli della sorella maggiore che ho sempre desiderato avere. Non importa quanti anni passino, non importa come cambi il mondo, ‘Scarlet’ sarà sempre quella sorella maggiore. E saremo sempre lì per le ragazze che avranno bisogno di lei. Quelli di voi che lavorano alla rivista, per piacere alzate i bicchieri. Siete le donne e gli uomini che lavorano a ‘Scarlet’, e 60 anni fa, questa rivista si è proposta di ridefinire le regole. E ora quella responsabilità cade su ciascuno di voi. E voglio assicurarmi che capiate che cosa mi aspetto da voi. Mi aspetto che abbiate avventure. Mi aspetto che vi innamoriate, e che abbiate il cuore spezzato. Mi aspetto che facciate sesso con le persone sbagliate e che facciate sesso con le persone giuste, che facciate errori e che facciate ammenda, che vi tuffiate e facciate colpo. E mi aspetto che scateniate l’inferno su chiunque provi a trattenervi, perché non lavorate solo per ‘Scarlet’, voi siete ‘Scarlet’".

Per il personaggio non sono solo parole di circostanza. Incarna la figura di un capo che non si diverte a umiliare i propri sottoposti,  ma li incoraggia e li guida, facendo loro da mentore e dando l’esempio con il proprio carisma. Talvolta sembrerà anche troppo idealizzata per essere vera, ma è una rarità nel piccolo schermo dove la rappresentazione di default è dei propri boss come “arpie”.
È molto empowering: vengono apprezzate l’ambizione, la lealtà, l’amicizia. E si insegna alle giovani donne ad essere assertive, ma in modo ragionato. Quando Sutton va a lavorare per Oliver (Stephen Conrad Moore), a capo del dipartimento di moda, si rende conto che il guadagno sarà minore rispetto a quello che percepiva prima. Gli chiede un aumento, e lui lo nega. A questo punto le amiche la spingono a fare come Nora Ephron (1.05), ovvero a pretendere quello che chiede, sotto la minaccia di andarsene, altrimenti. Sutton osserva che la scrittrice in questione “poteva permetterselo”, perché aveva una famiglia alle spalle. Ecco che la serie risolve la situazione in un modo che non è né una rinuncia né la favolistica aspettativa che vengano accolte richieste inaspettate. Jane e Kat fanno rete per Sutton. La incoraggiano a ricalibrare delle richieste ad Oliver, che siano più contenute, e se lui alla fine non dovesse accettare nemmeno quelle e lei dovesse perdere il lavoro, la sosterranno loro temporaneamente. Il lieto fine c’è, e si mostra chiaramente che lì dove le donne riescono a sostenersi l’una con l’altra, la propria determinazione premia. Tutto è stato realizzato in modo oculato ed efficace. In una delle battute più citate della serie, Sutton può esclamare trionfante “Sono Nora Ephron, cazzo!”.

Le tematiche care alle donne sono al centro dei riflettori: in “The Breast Issue” (1.06) ad esempio si incoraggiano le donne a fare il test genetico BRCA-1, per capire se si ha una predisposizione al carcinoma alla mammella, costruendo una storia intorno alla questione, e in “Carry the Weight” (1.10) si parla di stupro, ma si esplorano argomenti vari (uno rilevante in questo momento è quello dell’immigrazione, attraverso il personaggio di Adena).

La serie, che non fa le solite scelte scontate, è partita con 10 puntate. L’ultima è definita una “summer finale”, cosa che lascia sperare in episodi successivi in un altro momento, ma ancora non è dato sapere se la serie sarà rinnovata. Di certo me lo auguro. Si merita di più del magro 56 che Metacritic attribuisce sulla base di 8 recensioni – nonostante ci sia un bel 80 per  un critico come Matt Zoller Seitz. 

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