giovedì 11 febbraio 2021

BORGEN: la politica danese

Ha debuttato oltre 10 anni fa, nel 2010, ma non risente del peso del tempo Borgen – Il Potere la serie danese in passato trasmessa in Italia da LaEffe, ora disponibile su Netflix, che intende produrne una quarta stagione il cui debutto è previsto nel 2022. Si ha giusto il tempo di mettersi in pari con le tre passate stagioni disponibili.

Il titolo originale, Borgen (“Il castello”), fa riferimento al nomignolo con cui è conosciuto il Palazzo di Christiansborg, a Copenaghen, dove hanno ora sede il Parlamento danese, gli Uffici del Ministro di Stato e la Corte Suprema.

La serie è un’investigazione sull’argomento del sottotitolo italiano, ed in particolare sull’esecutivo e il legislativo e sulla politica, con i suoi dietro le quinte, e nei sui rapporti con il giornalismo e nel suo impatto sulla vita privata delle persone. Si tratta di una produzione via via più complessa che riecheggia The West Wing e The Newsroom, ma con meno retorica e più small-scale, e che ha echi di Commander-in-Chief.

Birgitte Nyborg (Sidse Babett Knudsen, doppiata da Alessandra Korompay), una quarantenne idealista, è a capo del partito moderato centrista. Alle più recenti elezioni risulta vincente e, dopo aver negoziato con i rivali, diventa Prima Ministra – prima donna a rivestire questo ruolo in Danimarca - e perché il suo governo possa rimanere al potere e portare avanti il proprio programma deve gestire le alleanze e gli scontri con gli altri partiti, quello laburista e quello liberale in primis. A sostenerla, con il ruolo di suo spin doctor, ma anche come speech writer e consulente politico in senso ampio, c’è Kasper Juul (Pilou Asbæk, l’Euron Greyjoy del Trono di Spade). Nella vita privata è felicemente sposata con Philip Christensen (Mikael Birkkjær), un professore universitario alla Copenhagen Business School che ha messo da parte la sua carriera di uomo d’affari per permettere alla moglie di seguire le proprie ambizioni politiche e per seguire lui i figli, Laura di 12 anni e Magnus di 8. A registrare con interesse l’attualità c’è una determinata e brillante giornalista trentenne, Katrine Fønsmark (Birgitte Hjort Sørensen), che lavora come mezzobusto per il canale TV1, che ha un rapporto spesso conflittuale con il suo capo Torben Friis (Søren Malling) e ha un passato sentimentale con Kasper.

La protagonista principale si dice sia modellata su quella che è diventata la prima Prima Ministra danese, Helle Thorning Schmidt,  anche se questa ha avuto lo stesso ruolo solo dopo che la produzione aveva terminato di registrare la seconda stagione (si legga qui in proposito). Il partito di cui lei è segretaria, così come gli altri rappresentati, sono di finzione, cosa che giustifica la mia perplessità mentre guardavo le puntate nel sentirlo definire moderato, ma contemporaneamente progressista e radicale. Non mi sembravano avere le idee molto chiare, di primo acchito, su chi volessero essere. La pagina di Wikipedia in inglese sulla serie (qui) chiarisce che si tratta di un partito di centro-sinistra basato sul partito social-liberale danese, il Radikale Venstre.

Ideato da Adam Price, che la ha scritta insieme a Jeppe Gjervig Gram e Tobias Lindholm, e prodotta da DR, l’emittente pubblica danese che già aveva portato al successo The Killing, questo political drama riesce ad avvincere facendosi via via sempre più complesso in un riuscitissimo equilibrio fra narrazione verticale delle puntate simil-autoconclusive, e quella orizzontale di stagione, e allo stesso modo nell’intrecciarsi degli aspetti professionali a quelli personali, affrontando anche tematiche molto toste, come l’abuso sessuale su minore (1.08) o come l’aborto (1.03). In quest’ultimo caso, ho trovato davvero notevole e inusitato l’approccio verso il tema. ATTENZIONE SPOILER. Katrine si ritrova incinta di un uomo sposato con cui aveva una relazione e che amava e che è morto dopo essere stato con lei. Vorrebbe tenere il bambino ma sua madre, la vedova del defunto e il suo ex spingono tutti perché lei abortisca. È una decisione difficile, ponderata, matura, dolorosa, ma senza troppi sentimentalismi.

C’è qualche raro momento in cui si rimane indispettiti - l’iniziale fissa di Birgitte per il proprio peso, che sembrava voler essere un mal riuscito tentativo di umanizzarla; la segretaria incompetente che faceva la riverenza in cui si è visto un infelice esperimento di creare comic relief… Qualche volta non si è risultati credibili – come si può essere convinti che non è politicamente rilevante il fatto che una segretaria di partito abbia fatto delle dichiarazioni, registrate sei anni prima, in cui sosteneva che si sarebbe dovuto organizzare il rapimento dei figli dell’allora primo ministro? Sei anni prima insistono che è molto tempo prima, quando è un nulla, e fanno passare come attenuante il fatto che fosse ubriaca a una festa. Io non sarei sicuramente di questo avviso. Queste critiche sono pecche minori.

Ogni puntata si apre con una citazione – “La storia è un incubo da cui sto cercando di svegliarmi” di Joyce, ad esempio, fa da cappello introduttivo alla 1.08. Parte del fascino, da italiana, è vedere trattate questioni di cui non sono a conoscenza, o quanto meno inusitate. L’episodio 1.04, “I Primi cento giorni”, è emblematico: c’è un atterraggio non autorizzato in Groenlandia di aerei della CIA che trasportano prigionieri. Questo mette in crisi i rapporti diplomatici USA-Danimarca, e di mezzo ci sono anche i servizi segreti, ma anche Danimarca-Groenlandia, fra cui c’è una ruggine di 300 anni dovuta all’invasione danese. Birgitte si reca in territorio groenlandese, nazione che definisce “maestosa, deprimente, detestabile, il luogo più bello che abbia mai visto in vita mia, piena di contrasti”. Nello svolgersi delle scene si viene a conoscenza di una realtà molto specifica, dando anche informazioni come il fatto che il 20% degli Inuit adolescenti ha tentato il suicidio, ma al contempo si vedono le ramificazioni e i delicati equilibri politici in gioco, anche nel rapporto con la stampa. Tutto è svolto in modo semplice, ma non ipersemplificando le questioni, e in modo cristallino, e ha echi al di là del possibile caso specifico.

Lo stesso sul piano personale, dosando molto attentamente gli eventi, si è visto come gli impegni professionali della protagonista hanno eroso il suo tempo con la sua famiglia, rendendola spesso assente alle esigenze di figli e marito e portando al collasso del suo matrimonio. Il bambino che si fa la pipì addosso, il marito che deve rinunciare a investimenti che ha fatto indipendentemente, ma che potrebbero ugualmente gettare cattiva luce sul governo, o altre rinunce, anche della semplice presenza nella vita dei familiari amati, sono umanamente credibili e ben calibrati.

Si tratta in conclusione di una serie sufficientemente lineare e asciutta, anche perché limita il cast a pochi personaggi essenziali, ma molto seria e adulta. Molto avvincente anche. Da recuperare.

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