lunedì 30 giugno 2025

THE HANDMAID'S TALE: la stagione finale

ATTENZIONE SPOLIER

Un’avvincente sesta stagione ha chiuso in modo definitivo The Handmaid’s Tale, che ha regalato una series finale  anticlimatica, ma ugualmente molto convincente. I colpi di scena maggiori si sono verificati nel sottofinale (6.09), mentre nell’effettiva ultimissima puntata (6.10) si è fatto calare il sipario solo puntando su alcuni obiettivi: chiudere le storie rimaste ancora sospese, in particolare facendo sì che Janine (Madeline Brewer) si riunisse alla figlia; lasciare su una nota positiva zia Lydia (Ann Dowd), che ha cominciato il suo percorso di redenzione nel corso della stagione, e che sarà trainante nel prosieguo della storia che ci attende poi con The Testaments, serie dal successivo omonimo libro della Atwood su cui si sta già lavorando; chiudere il cerchio tornando agli eventi del pilot e a June (Elisabeth Moss) in quella camera nella casa ora diroccata dei Waterford in cui l’abbiamo conosciuta all’inizio; dare un valore spirituale a quella lotta che l’ha vista impegnata in questi anni. È stata chiusura morale, potremmo dire, più che altro.

Io non ho la competenza per vedere, al di là delle apparenze, tutti i riferimenti alla contemporanea realtà americana sotto Trump che molti sono stati in grado di individuare: a quanto pare, sono espliciti rispetto a certe persone e certi eventi. Nondimeno la denuncia di una realtà fascista misogina che varca i confini statunitensi è affidata proprio alla consapevolezza di voler narrare per testimoniare, per lasciare alle generazioni future, ma di fatto anche contemporanee, una riflessione vissuta sui mali a cui portano ideologie ultraconservatrici repressive e teocratiche, che non sono sconfitte una volta per tutte. June decide di scrivere un libro, spinta dalla madre e dal marito, e a quel proposito torna dove tutto è cominciato. Il valore metatestuale ed etico della serie sono stati appunto il senso e la vera eredità di questa chiusura. Ed è stata una stagione in cui oltre alla rabbia, la rabbia ragionevole di chi viene calpestato e abusato, c’è il perdono, quello di June nei confronti di Serena (Yvonne Strahovski) in primis, e di zia Lydia.  

Facendo un passo indietro, la stagione ha regalato molti snodi di trama avvincenti. il momento in “Esecuzione” (6.09) in cui Joseph  (Bradley Whitford) e Nick (Max Minghella) salgono sull’aereo che esploderà con a bordo tutti i comandanti leader, fra cui Wharton (Josh Charles), è stato il momento clou della stagione. Il primo è stato fra gli architetti della società di Gilead, che si è reso conto essere diventata una perversione. Doveva piazzare la bomba sull’aereo e andarsene, ma l’arrivo anticipato degli altri gli ha permesso di raggiungere il proprio obiettivo solo scegliendo consapevolmente di sacrificarsi, e così ha fatto. Il momento in cui guarda verso June mettendosi la mano sul cuore prima di entrare nell’aereo è stato forse il momento più alto, nel sue essere understated, di tutta la stagione. È un atto di eroismo di qualcuno che ha creduto in un ideale che si è rilevato fallace e ha saputo ammettere il proprio errore e lo ha pagato con la vita pur di rimediare. Spesso si sono fatti parallelismi con il nazismo nel corso della stagione, e in questa prospettiva non posso che fare io un parallelismo con The Man in The High Castle dove gerarchi nazisti pentiti affrontano una sorte similare. E poi su quell’aereo è salito Nick, l’amore di June e il padre di sua figlia, che la ha tradita poco prima, e forse per impossibilità di immaginare un’alternativa, forse per interesse nel non perdere la posizione di potere che ha conquistato nel tempo è salito su quell’aereo, non dopo un momento di titubanza in cui guarda in direzione di una June che lui non vede ma che lei vede. Sa che l’uomo che ama salendo su quell’aereo morirà. Il suo è un sacrificio per la causa che non ha altra scelta che liberarsi dei leader. Si è trattato di una puntata intensa, affascinante, memorabile.

E la stagione ha avuto i numerosi ripensamenti di Serena, che fra i responsabili di quella realtà in cui in fondo ancora crede, altalena fra posizioni contrastanti, desiderosa fino in ultimo che il progetto per cui si era battuta. Sperava in una versione 2.0 con  New Bethlehem, ma i problemi di base rimanevano. Alla fine rimane disillusa. Il suo matrimonio è stato un evento di grande tensione perché ha segnato l’inizio della ribellione della Mayday, in cui June e gli altri sono riusciti a liberare Boston e lo Stato del Massachusetts (6.08). Rifiutatole l'ingresso in Canada e nell'Unione Europea diventa una rifugiata, con un posto temporaneo in un insediamento delle Nazioni Unite procuratole da Mark (Sam Jaeger).

Per volontà di Margaret Atwood non si è mai trattato di una serie distopica, ma di fiction speculativa, come la chiama lei, ovvero gli eventi, mutatis mutandis, si sono effettivamente verificati da qualche parte nel mondo del corso della storia, non sono purtroppo perversa pura fantasia. Il messaggio che lascia è tragicamente attuale e vivo. Inattesa guest star è stata Emily (Alexis Bledel), che aveva lasciato lo show dopo la quarta stagione. Con June guardano un grande murale che è un inno alla libertà, alla pace, al combattere per i propri diritti, e pieno di “my name is…”, quindi “il mio nome è…, mi chiamo…” seguito dal nome di battesimo effettivo di molte donne, non quello che le indicava come proprietà di un comandante come durante il regime. Contro qualunque tentativo di cancellare l’identità personale delle persone nessuno è al sicuro, non noi, non i nostri figli o i nostri nipoti. “Gilead non ha bisogno di essere sconfitta, ha bisogno di essere spezzata". Jane sogna, fantastica durante il corso della series finale di esser riunita con la figlia Hannah, qualcosa che ancora non è ottenuto. Non è una conquista definitiva, ma una che va fatta giorno per giorno, ancora e ancora. Vale anche nella vita e personalmente l'ho sentito molto come un invito ad impegnarsi perché realtà come Gilead non prendano il sopravvento. 

venerdì 20 giugno 2025

EVERYONE ELSE BURNS: religione da ridere

È vagamente spiazzante, oltre che esilarante, la serie umoristica inglese (Channel4) Everyone Else Burns, su una famiglia di Manchester ultrareligiosa, che crede che presto arriverà la fine del mondo e “tutti gli altri bruceranno” (traduzione del titolo), ma evidentemente non loro. Appartenenti a una setta cristiana puritana, il fittizio Order of the Divine Rod (Ordine della Verga Divina – lo lascio in inglese, perché non c’è ancora una traduzione ufficiale e potrebbe poi essere diversa), sono estremamente rigidi: non è ammesso nessun divertimento - “come la Corea del Nord, ma almeno loro hanno le parate” (1.01); si viene allontanati dalla comunità per aver semplicemente consumato caffeina, e non si può più avere contatto con gli apostati; nel caso dei Lewis, i nostri protagonisti, si fanno anche “pratiche di apocalisse”, magari svegliati nel mezzo della notte per mettersi in salvo…

David (Simon Bird), il padre della famiglia, con il suo taglio di capelli a ciotola capovolta, lavora in un certo di smistamento pacchetti ed è maniacalmente preciso nel suo lavoro, ma quello a cui aspira è diventare un Anziano della sua comunità e si aspetta di diventarlo a breve perché, narcisista, si ritiene il migliore in tutto, ma i leader della sua chiesa hanno altre idee. Mamma Fiona (Kate O'Flynn) è completamente investita nella vita della sua famiglia e della sua comunità, ma vuole di più: quando il marito si rifiuta di acquistare un nuovo televisore quando il loro si rompe, va a guardare la TV dalla vicina e impara presto che ha talento per vendere oggettistica online, e si fa da fare in questo senso, sapendo mettere a tacere il marito quando serve. La diciassettenne Rachel (Amy James-Kelly) vorrebbe diventare medico, ma i suoi genitori le impongono sempre che trascorra piuttosto il tempo a predicare: vuoi studiare o salvare le anime per tutta l’eternità? Nei suoi giri nel cercare di convertire la gente incontra un ex-membro della chiesa, che come tale non dovrebbe frequentare, Joshua (Ali Khan), che guadagna qualcosa portando a spasso cani, e i due diventano presto amici. Il dodicenne Aaron (Harry Connor), bullizzato dai compagni, sfoga e sue emozioni disegnando, ed è un vero credente e non vede l’ora che l’apocalisse si verifichi, e rimane deluso quando non accade.

Everyone Else Burns riesce ad essere esilarante senza essere offensiva per i credenti o per la fede. Parte del bersaglio è indubbiamente in ogni caso la religione e i paraocchi che impone se diventa fanatismo. Si irride anche la pomposità di chi si ritiene superiore agli altri per il fatto di avere determinate credenze, ma allo stesso tempo non si disprezzano o svalutano queste persone, che sono guardate con affetto, con cuore.

Una parte dell’umorismo viene dalla sovversione delle aspettative. Quando Rachel torna a casa con un’ottima pagella, i genitori si domandano dove abbiano sbagliato con lei: sono delusi perché evidentemente ha trascorso troppo tempo sui libri e troppo poco a predicare, e il fatto che voglia frequentare poi l’università lo vedono come un crollo morale; David ritiene di aver tradito la moglie per pensieri da lui giudicati impuri che nessun altro vede come tali. Un'altra fonte di risate è la ripetizione di alcuni pattern: Aaron disegna sempre nuovi atroci modi in cui il padre soffre la dannazione eterna, o Gesù Cristo in modalità che lasciano intendere che il bambino possa avere desideri omosessuali non riconosciuti; i leader della chiesa deflettono in modo costante domande su questioni spinose.

A mano a mano che si procede con gli episodi i personaggi diventano più tridimensionali, e la serie finisce per essere un modo per guardare alla famiglia, alla crescita alle relazioni. David è il più esaltato, egoista e inconsapevole di esserlo, ma a modo suo ama la sua famiglia e si impegna ad essere un buon padre, ma è talmente preso nel suo mondo che non vede altro e dalla sua bocca possono uscire con nonchalant le frasi più atroci.

Rachel è quella che più spezza il cuore perché è quella che di più si scontra con il mondo esterno. La gente non le risponde, le sbatte la porta in faccia, la deride, e lei deve farsi scivolare tutto addosso. I genitori boicottano le sue legittime aspirazioni - penso al colpo di scena alla fine di 1.05, ad esempio, e quello che fa la madre al computer. Cerca di comportarsi al meglio e per lei mangiare una fetta di torta per festeggiare il proprio compleanno è già una grande trasgressione per cui si sente in colpa. In più viene a contatto con la realtà esterna per cui magari ha aspettative e desideri diversi da quelli ristretti che la sua religione le impone. Finché conosci solo una realtà non la metti in discussione tanto quanto quando vedi delle alternative. Nel seguire le stroyline che la riguardano, non ho potuto non pensare a libri come L’educazione di Tara Westover, che ho letto, o How to Say Babylon, di Safiya Sinclair, che non ho letto ma di cui ho sentito un’intervista all’autrice. Raccontano la loro vita in un contesto religioso estremamente patriarcale, chiuso, limitante e anche perverso nella rigidità dei suoi dogmi e nella impossibilità di confronto con chi la pensa in modo diverso, il primo di matrice mormona, il secondo rastafari, e raccontano sia della percezione che gli altri avevano di loro, sia le loro scoperte e difficoltà nel vivere nella realtà ordinaria. In questa sit-com single-camera ci vedo scintille di quel tipo di vissuto.

Quello che è messo in scena in Everyone Else Burns nella vita vera suona folle e anche crudele nei confronti di chi non lo sceglie per sé, ma nella finzione immaginata da Dillon Mapletoft e Oliver Taylor fa ridere di gusto. La prima stagione ha sei puntate ed è previsto l'arrivo in Italia, anche se non è chiaro quando e dove. Una seconda stagione è già stata realizzata. 

martedì 10 giugno 2025

BLACK MIRROR: la settima stagione

Black Mirror, dopo una virata verso un Red Mirror (ne avevo parlato qui), con la settimana stagione è tornata quella di prima, con mia soddisfazione. Gli episodi sono tutti scritti da Charlie Brooker, in qualche caso accostato da altri sceneggiatori. Tecnologia, vita digitale e intelligenze artificiali sono perciò al centro delle vicende. Forse non dice nulla di particolarmente originale, ma è una solida stagione. Segue un’analisi episodio per episodio.

ATTENZIONE SPOILER

 


COMMON PEOPLE – GENTE COMUNE

Tristissima e graffiante, disperata e accusatoria, la prima delle nuove puntate, “Common people” (7.01) è una caustica denuncia della mercificazione della salute e della medicina che impone costi sanitari proibitivi alla gente che, persone comuni appunto, non possono sostenerle se non rinunciando alla propria dignità e umanità. Gli esseri umani non sono visti come tali, ma come abbonati di servizi che ti succhiano sempre di più con la promessa di qualcosa di sempre migliore, con il risultato di offrirtelo sì, ma di rovinarti la vita nel frattempo. Siamo in un prossimo futuro in cui sono api robot ad impollinare i fiori. Una giovane insegnante, Amanda (Rashida Jones), che con il marito Mike (Chris O'Dowd), che lavora come saldatore, sta da tempo cercando di avere dei figli, ha un malore ed entra in coma a causa di un tumore al cervello. Mike viene approcciato da Gaynor (Tracee Ellis Ross) della Rivermind, che gli parla di una nuova tecnologia capace di risanare la moglie. Clonano la parte del cervello che poi le asportano, che viene rimpiazzata da tessuto sintetico. Dal back-up del loro server, poi, ritrasmettono in modalità wireless i dati della funzione cognitiva al cervello della donna, dietro pagamento di un canone mensile. La copertura geografica è limitata e Amanda è costretta a dormire molto, ma il marito si sobbarca volentieri turni extra di lavoro pur di tenere in vita la moglie. A poco a poco, il piano della Rivermind ha delle funzioni sempre più sofisticate a un prezzo sempre più alto a cui ci si può abbonare, diversamente, Amanda si ritrova a pronunciare frasi pubblicitarie di cui non è consapevole nel bel mezzo della conversazione, ad esempio promuovere una marca di cereali al miele quando parla delle api ai propri studenti, o suggerire un lubrificante mentre fa sesso col marito e altre cose ancora più problematiche, tanto che le costano il lavoro. Ed è costretta a dormire sempre di più. Pur di far sopravvivere la moglie, Mike fa ogni tipo di lavoro e comincia a far soldi un Internet prestandosi alle sfide più umilianti (tipo bere la propria urina, usare una trappola per topi sulla propria lingua o togliersi un dente in diretta). La situazione diventa sempre più insostenibile: per avere un figlio dovrebbero pagare una cifra ulteriore. Un anno dopo sono allo stremo: Mike, su richiesta della moglie, la soffoca con un cuscino mentre lei promuove l’ennesimo prodotto. La denuncia di un mondo che dà un prezzo ad ogni cosa, di come questo diventi sempre più alto e insostenibile dalla gente comune non potrebbe essere più esplicito e tagliente.

 


BÊTE NOIRE – BESTIA NERA

Una brillante creatrice di nuovi cibi al cioccolato, Maria (Siena Kelly), si vede assumere nella sua azienda una vecchia compagna di scuola, Verity (Rosy McEwen), che lei ricorda come una tipa strana, una nerd del computer che veniva pesantemente bullizzata e isolata. All’improvviso Maria inizia a notare che nella sua vita ci sono piccoli eventi che sono diversi da come lei li ricordava, anche se avrebbe giurato di che la sua versione fosse quella corretta e di avere ragione. Ad esempio era convinta di aver mandato una mail con una specifica indicazione e non era così, o ricorda il nome di un locale con una lettera diversa…La situazione peggiora e lei si rende conto che dietro c’è Verity, che vuole vendicarsi degli abusi subiti da ragazza, finché non scopre che lei riesce a cambiare la realtà attraverso una  serie di computer collegati a un suo pendente, sintonizzando le frequenze a una delle realtà parallele in cui quei che lei dice è sempre stato vero. In questo modo la realtà è qualunque cosa lei voglia. L’episodio, pur con il suo fascino e la sua inquietudine nel mostrare qualcuno la cui realtà e verità cambiano in modo non riconoscibile, alla “Ai confini della Realtà”, minando le certezze sulla propria sanità mentale, è la più irreale delle puntate, soprattutto nelle estreme conseguenze in cui la si vede arrivare, tuttavia riflette sulla manipolazione delle informazioni, poiché ci si trova in una sorta di deep fake portato alle estreme conseguenze, oltre che su come le cattiverie e le maldicenze che si è costretti a subire non te le scrolli di dosso facilmente rimangono anche se diventi “imperatrice dell’universo”.

 


HOTEL REVERIE (titolo invariato in italiano)

Un’attrice di successo che ama i vecchi film che le fanno sognare l’amore, Brandy Friday (Issa Ray), accetta di partecipare a un remake di un grande classico romantico che adora, “Hotel Reverie”, non sapendo esattamente a che cosa va incontro, nel ruolo della protagonista che nell’originale era un uomo. Quello che rende speciale la produzione è che le riprese non sono tradizionali, ma immergono la sua coscienza in una quinta dimensione facendo sì che le sue sinapsi di interfaccino con la storia che per i personaggi del film è una realtà vera e l’unica che conoscono. Inizialmente tutto procede per il meglio, finché una serie di incidenti di percorso non la costringono ad andare fuori copione e a rivelare la situazione alla protagonista femminile della storia, Dorothy (Emma Corrin), con cui vive un’autentica storia d’amore. Se non chiude però con le battute finali del copione originario, lei rischia di rimanere intrappolata della realtà della pellicola per sempre. La puntata, malinconica e delicata e con una certa tensione, riflette su un tema che già in passato è stato trattato dalla fantascienza (penso ad esempio a Star Trek: TNG) ovvero quello della possibilità di una coscienza dei personaggi di finzione, confinati dalla storia in un ruolo ma passibili di una propria identità, e della possibilità che una simile situazione si verifichi ora che abbiamo l’intelligenza artificiale.

 


PLAYTHING – COME UN GIOCATTOLO

Un talentuoso ma timido recensore di videogiochi, Cameron Walker (Lewis Gribben) sottrae l’ultimo progetto di un famoso ideatore (Will Poulter, The Bear) di nuovi games, dal titolo “Thronglet”. Da anziano (Peter Capaldi) viene arrestato, o meglio fa in modo di farsi arrestare, come presto si scopre, e racconta la sua storia a un poliziotto e una psicologa che lo interrogano rispetto all’omicidio di un uomo di cui non conoscono l’identità che è stato trovato a pezzi in una valigia. Spiega così di aver sviluppato un profondo legame con le creature digitali del videogioco, con cui riusciva a comunicare grazie all’utilizzo di droghe che il defunto gli procurava. Quando questi le aveva uccise per puro divertimento, lui che curava amorevolmente queste creature, per le quali si era anche fatto impiantare nel cranio una porta  cerebrale per ospitarli dentro di sé, aveva reagito con violenza uccidendolo. Il suo obiettivo di farsi arrestare ora, era di permettere ai Thronglets di prendere il controllo del server centrale del governo attraverso le telecamere di sicurezza e riprogrammare la mente umana. La puntata, in cui si possono leggere dei riferimenti biblici (la mela del paradiso terrestre, Caino e Abele), indaga la violenza dell’umanità come specie, e anche in questa prospettiva ci si interroga sull’apprendimento delle intelligenze artificiali. Il protagonista sviluppa una coesistenza simbiotica con degli esserini digitali, che imparano tutto da lui e da quello che lui immette loro. Mimano il comportamento sociale umano. Se vedono violenza, imparano violenza. Che cosa stiamo insegnando alle intelligenze artificiali con cui noi interagiamo ogni giorno?

 


EULOGY  (titolo invariato in italiano)

Un uomo maturo, Philip (Paul Giamatti) viene a sapere della morte di un suo vecchio amore, Carol, una donna con cui ha perso i contatti da tempo e che da ragazzo lo ha fatto molto soffrire, quando viene contattato da Eulogy, una compagnia che realizza dei funerali di esperienza immersiva, grazie alla condivisione dei ricordi delle persone che avevano conosciuto la defunta in vita. Lui ha fatto di tutto per dimenticare, compreso eliminare il volto dell’amata da tutte le foto che li ritraevano insieme. Grazie all’aiuto di un avatar, The Guide (Patsy Ferran, Miss Austen), cerca di ricostruire quella parte del proprio passato, ripercorre quando era accaduto finendo anche per rileggere gli eventi in una nuova luce. Nel più lirico e nostalgico degli episodi di questa stagione, si affronta il tema della memoria, del valore dell’essere ricordati e di quello che ci spinge a conservare le nostre tracce mnestiche o a volerle cancellare, sulla necessità o meno di dimenticare, sul valore delle foto per come riportano in vita sentimenti ed esperienze passate e di come ricostruiscono per noi realtà lontane, sulla possibilità di riesaminare il passato con occhi nuovi, propri e di altri, e sull’appropriatezza di condividere aspetti della vita più o meno privati. Una puntata delicata, eppure incisiva, fatta anche di rimpianti. E poi, più che dalla puntata da un evento che troppo spesso si verifica nella vita reale, un monito: assicuriamoci che i messaggi rilevanti di vita che siamo convinti di aver trasmesso a qualcuno, siano davvero stati ricevuti – anche se non c’entra, come ho ripensato alla vita reale di William Howell Masters a questo proposito (che si era dichiarato al suo grande amore, si era creduto respinto quando lei in realtà non aveva mai ricevuto il suo messaggio).

 


USS CALLISTER: INTO INFINITY - USS CALLISTER: INFINITY

Sequel dell’episodio della quarta stagione USS Callister, che partiva da una rivisitazione parodistica di Star Trek, questo “Into Infinity” vede l’equipaggio della USS Callister intrappolato nel videogioco Infinity. Per sopravvivere, guidati da Nan (clone di Nanette) Cole (Cristin Milioti), vivono come pirati digitali che rubano ai milioni di utenti della vita reale il necessario per non essere cancellati. Per loro non è una vita virtuale da cui possono staccarsi a piacimento, è la vita reale. Per sfuggire da questa situazione intendono anche hackerare i server per ottenere uno spazio tutto loro. Attraverso Walt, il clone rigenerato del CEO James Walton (Jimmi Simpson), che scoprono essere vivo, e che nella sua controparte reale vuole in realtà eliminarli, vogliono raggiungere il cuore di Infinity dove chiedono alla versione digitale dell’ideatore del gioco Robert Daly (Jesse Plemons), morto nella vita reale, di fondere le loro coscienze con quelle del loro mondo reale. Lui, pur vedendosi come un eroe, è uno psicotico disperato di contatti che cerca di ottenere con la forza quando viene respinto. Aveva creato cloni digitali senzienti di persone reali, una tecnologia in sé fuorilegge, con l’obiettivo di abusare di loro. Messa alle strette dall’ennesimo tentativo di abuso, per salvarsi la vita, Nan lo uccide e si attiva l’autodistruzione del gioco, ma non prima che i suoi compagni siano stati copiati nella sua testa. Ricca di suspense e colpi di scena l’episodio si apre anche alla possibilità di un ulteriore sequel, esamina un tema caro a questa stagione che è quello della identità e della coscienza delle creature virtuali, ponendosi interrogativi etici sulla natura della vita digitale e sulle sue potenziali conseguenze, compreso il diritto alla vita della creature virtuali. Come ben argomentato su Nocturno in un notevole pezzo, si affrontano anche i temi della depressione, dell’isolamento, della misoginia e della cultura incel.