martedì 19 agosto 2025

MURDERBOT: un androide ribelle

La serie Murderbot (Apple TV+), ideata da Paul Weitz e Chris Weitz, è basata su All Systems Red, il primo libro della serie The Murderbot Diaries di Martha Wells: non la conoscevo, né mi rendevo conto fosse molto amata, quindi non avevo grandi aspettative – di certo non credevo sarebbe stata così umana e pregnante come di fatto è stata; agrodolce. Sono contenta sia stata rinnovata per una seconda stagione.

Una commedia di fantascienza e azione, ha come protagonista un androide realizzato con parti meccaniche e tessuto umano clonato che è addetto alla sicurezza dei clienti a cui viene consegnato. Per questa ragione lo chiamano SecUnit (da security unit), anche se chiama se stesso Murderbot (Alexander Skarsgård). Lui – perché ha fattezze maschili sebbene là sotto, nudo, sua come il Ken della Barbie, per intenderci – ha acquisito autonomia di pensiero e azione, hackerando il modulo governativo che lo tiene soggiogato, anche se non vuole farlo sapere. Ha una grade passione per l’intrattenimento televisivo, per le soap opera fantascientifiche in primo luogo, e in particolare per “The Rise and Fall of Sanctuary Moon” alla cui biblioteca di quasi 3000 episodi fa spesso riferimento per sapere come comportarsi. È molto dozzinale (ed è una serie dentro la serie con John Cho nel ruolo del capitano e DeWanda Wise in quello della Navigation Bot sua amante), ma lui la considera intrattenimento di qualità premium, tanto che non vorrebbe far altro che stare a guardarla  ̶  l’esigenza di una narrazione melodrammatica dà informazioni rilevanti per capire la sua interiorità. Sebbene sia libero di fare ciò che vuole, si sente però sente in obbligo di “proteggere gli umani che mediamente sono stronzi” per il timore di essere scoperto, nonostante sia vagamente disgustato da loro e li giudichi negativamente – e noi sentiamo i suoi commenti misantropi silenziosi nei pensieri in voice-over, che spesso sono esilaranti. È disgustato dal sesso, non comprende il contatto visivo, non ha capacità sociali, e si interroga se sia peggio dover tenere un discorso o fare un bagno nell’acido. Non sorprende che i fan lo abbiano letto metaforicamente come autistico e asessuale. C’è una certa innocenza in lui.

Per la Corporation Rim che lo ha costruito è un pezzo di equipaggiamento ed è costretto ad eseguire gli ordini, mentre la squadra di rilevamento PreservationAux, che lo ha avuto in dotazione e che fa parte della Preservation Alliance, ha una filosofia per cui le intelligenze artificiali sono persone, e con capacità di autodeterminazione, non schiave. Non sono a proprio agio con l'idea che un costrutto senziente debba lavorare per loro, ma non hanno l’autorizzazione a fare quanto voglio se non hanno con sé un’unità simile, e quindi si sono presi lui, il più economico, tecnologicamente sorpassato e “ricondizionato” e con un passato che lui stesso non ricorda, ma che potrebbe essere molto violento (anche se loro non ne sono consapevoli). La saggia e carismatica Ayda Mensah (Noma Dumezweni), presidente della Alliance e leader del progetto scientifico che sta esplorando un nuovo pianeta e che è protetto da Murderbot, esperta in terraforming, gli si rivolge sempre con gentilezza e umanità. Chi è sospettoso di lui è Gurathin (David Dastmalchian), un umano aumentato ed esperto di tecnologia, poiché teme che possa ribellarsi e ammazzarli tutti. I vari membri della squadra, Pin-Lee (Sabrina Wu), scienziata ed esperta legale, Ratthi (Akshay Khanna), un esperto di wormhole, la biologa Arada (Tattiawna Jones), che sono una “throupple” (hanno una relazione sessual-sentimentale a tre insomma), e la geochimica Bharadwaj (Tamara Podemski) vengono tutti aiutati in un modo o nell’altro da lui.

In realtà l’avventura è abbastanza risicata, solo quando una squadra di ricerca sullo stesso pianeta viene massacrata e una sopravvissuta, Leebeebee (Anna Konkle), si unisce a loro, c’è un po’ più di azione e, al di là del protagonista, solo Mensah e Gurathin sono in qualche modo sviluppati, gli altri rimangono appena abbozzati. Nondimeno le interazioni fra la squadra di scienziati un po’ hippie e Murderbot, il cui volto glaciale, anche quando non è coperto da un’armatura che gli nasconde il volto, non fa trapelare i suoi pensieri di insofferenza nei confronti degli umani e di desiderio di essere lasciato un pace, sono gustosissime, così come la lenta costruzione della fiducia reciproca: con loro che imparano ad abbassare la guardia nonostante il timore e lui che diventa un po’ umano trattato come tale e non solo come macchina. Si riflette con leggerezza sui temi come schiavitù, interessi economici, intelligenza artificiale, empatia, libero arbitrio, identità, libertà…

Un cuore ribelle, consapevolezza di sé e dry humor, distacco e spirito di osservazione fanno di Murderbot un personaggio accattivante, molto ben portato in scena dal suo interprete che gli dà quel mix di noia, glacialità e germogliante emozione da renderlo credibile. E capace alla fine di “sacrificio”. Scrive bene Erin Underwood su Medium quando dice “Alexander Skarsgård interpreta Murderbot con un senso di moderazione e sarcasmo perfetto per il personaggio. È goffo, attento, sempre calcolatore e abbastanza distaccato emotivamente da far credere che preferisca passare il tempo a guardare soap opera piuttosto che parlare con gli esseri umani. Ma sotto la superficie ci sono comunque una compassione e una profondità inaspettate, e Aleksander Skarsgård azzecca questo equilibrio”.

Il finale fa scendere una lacrimuccia.

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