La serie Murderbot
(Apple TV+), ideata da Paul Weitz e Chris Weitz, è basata
su All Systems Red, il primo libro della serie The Murderbot Diaries
di Martha Wells: non la conoscevo, né mi rendevo conto fosse molto amata, quindi
non avevo grandi aspettative – di certo non credevo sarebbe stata così umana e
pregnante come di fatto è stata; agrodolce. Sono contenta sia stata rinnovata
per una seconda stagione.
Una
commedia di fantascienza e azione, ha come protagonista un androide realizzato
con parti meccaniche e tessuto umano clonato che è addetto alla sicurezza dei
clienti a cui viene consegnato. Per questa ragione lo chiamano SecUnit (da
security unit), anche se chiama se stesso Murderbot (Alexander Skarsgård). Lui –
perché ha fattezze maschili sebbene là sotto, nudo, sua come il Ken della
Barbie, per intenderci – ha acquisito autonomia di pensiero e azione, hackerando
il modulo governativo che lo tiene soggiogato, anche se non vuole farlo sapere.
Ha una grade passione per l’intrattenimento televisivo, per le soap opera
fantascientifiche in primo luogo, e in particolare per “The Rise and Fall of
Sanctuary Moon” alla cui biblioteca di quasi 3000 episodi fa spesso riferimento
per sapere come comportarsi. È molto
dozzinale (ed è una serie dentro la serie con John Cho nel ruolo del capitano e
DeWanda Wise in quello della Navigation Bot sua amante), ma lui la considera
intrattenimento di qualità premium, tanto che non vorrebbe far altro che stare
a guardarla ̶ l’esigenza
di una narrazione melodrammatica dà informazioni rilevanti per capire la sua
interiorità. Sebbene sia libero di fare ciò che vuole, si sente però sente in obbligo di “proteggere gli umani che
mediamente sono stronzi” per il timore di essere scoperto, nonostante sia
vagamente disgustato da loro e li giudichi negativamente – e noi sentiamo i suoi commenti misantropi
silenziosi nei pensieri in voice-over, che spesso sono esilaranti. È disgustato dal sesso, non comprende il
contatto visivo, non ha capacità sociali, e si interroga se sia peggio dover
tenere un discorso o fare un bagno nell’acido. Non sorprende che i fan lo abbiano
letto metaforicamente come autistico e asessuale. C’è una certa innocenza in
lui.
Per la
Corporation Rim che lo ha costruito è un pezzo di equipaggiamento ed è
costretto ad eseguire gli ordini, mentre la squadra di rilevamento PreservationAux, che lo ha avuto in dotazione e che fa parte della Preservation Alliance, ha
una filosofia per cui le intelligenze artificiali sono persone, e con capacità
di autodeterminazione, non schiave. Non sono a proprio agio con l'idea che un
costrutto senziente debba lavorare per loro, ma non hanno l’autorizzazione a
fare quanto voglio se non hanno con sé un’unità simile, e quindi si sono presi
lui, il più economico, tecnologicamente sorpassato e “ricondizionato” e con un
passato che lui stesso non ricorda, ma che potrebbe essere molto violento
(anche se loro non ne sono consapevoli). La saggia e carismatica Ayda Mensah
(Noma Dumezweni), presidente della Alliance e leader del progetto
scientifico che sta esplorando un nuovo pianeta e che è protetto da Murderbot,
esperta in terraforming, gli si rivolge sempre con gentilezza e umanità. Chi è
sospettoso di lui è Gurathin (David Dastmalchian), un umano aumentato ed
esperto di tecnologia, poiché teme che possa ribellarsi e ammazzarli tutti. I
vari membri della squadra, Pin-Lee (Sabrina Wu), scienziata ed esperta legale,
Ratthi (Akshay Khanna), un esperto di wormhole, la biologa Arada (Tattiawna
Jones), che sono una “throupple” (hanno una relazione sessual-sentimentale a tre
insomma), e la geochimica Bharadwaj (Tamara Podemski) vengono tutti aiutati in
un modo o nell’altro da lui.
In realtà
l’avventura è abbastanza risicata, solo quando una squadra di ricerca sullo
stesso pianeta viene massacrata e una sopravvissuta, Leebeebee (Anna Konkle),
si unisce a loro, c’è un po’ più di azione e, al di là del protagonista, solo
Mensah e Gurathin sono in qualche modo sviluppati, gli altri rimangono appena
abbozzati. Nondimeno le interazioni fra la squadra di scienziati un po’ hippie
e Murderbot, il cui volto glaciale, anche quando non è coperto da un’armatura
che gli nasconde il volto, non fa trapelare i suoi pensieri di insofferenza nei
confronti degli umani e di desiderio di essere lasciato un pace, sono
gustosissime, così come la lenta costruzione della fiducia reciproca: con loro
che imparano ad abbassare la guardia nonostante il timore e lui che diventa un
po’ umano trattato come tale e non solo come macchina. Si riflette con leggerezza
sui temi come schiavitù, interessi economici, intelligenza artificiale, empatia,
libero arbitrio, identità, libertà…
Un cuore
ribelle, consapevolezza di sé e dry humor, distacco e spirito di
osservazione fanno di Murderbot un personaggio accattivante, molto ben portato
in scena dal suo interprete che gli dà quel mix di noia, glacialità e germogliante
emozione da renderlo credibile. E capace alla fine di “sacrificio”. Scrive bene
Erin
Underwood su Medium quando dice “Alexander Skarsgård interpreta
Murderbot con un senso di moderazione e sarcasmo perfetto per il personaggio. È
goffo, attento, sempre calcolatore e abbastanza distaccato emotivamente da far
credere che preferisca passare il tempo a guardare soap opera piuttosto che
parlare con gli esseri umani. Ma sotto la superficie ci sono comunque una
compassione e una profondità inaspettate, e Aleksander Skarsgård azzecca questo
equilibrio”.
Il finale
fa scendere una lacrimuccia.
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