sabato 15 novembre 2025

WAYWARD: un j'accuse ai campus per "ribelli"

Chi sentendo parlare di Wayward – Ribelli (Netflix), pensasse che si tratta di un remake o reboot di Wayward Pines, tanto più sapendo che la serie si intitolava originariamente Tall Pines, può mettersi l’animo in pace. Non lo è. Io non ci ho creduto finché non l’ho visto con i miei occhi. La serie canadese forse ne ha degli echi (i rospi, che alla fine non si sa che senso abbiano, mi hanno fatto ripensare i finti grilli, lo stesso per la sensazione che qualcosa di disturbante stia capitando anche se non si riesce propriamente a indicare che cosa).

Questo progetto, firmato da Mae Martin (anche interprete), ambientato in una “accademia” con il sapore di un carcere,  è un evidente j’accuse nei confronti dei molti campus americani indirizzati ad adolescenti in difficoltà varie, una vera industria multi-miliardaria d’oltreoceano. Come racconta l’Hollywood Reporter, l’autore stessǝ (utilizza il pronome plurale per se stessǝ) ha dichiarato che questo aspetto è stato basato sulla propria vita: hanno avuto un’amica che da ragazza è stata mandata in questo genere di campi e che ha fatto da consulente, e il logo e il motto finzionali, così come alcune tecniche usate, ricordano molto da vicino quelli di una reale istituzione di questo tipo, la CEDU, che è stata accusata di brutalità e crudeltà, e ha visto diversi residenti scomparire in circostanze strane, e che è stata poi chiusa travolta da cause legali. È altrettanto chiaro che mostra il funzionamento di alcune sette. Una delle abusanti “pratiche terapeutiche” mostrate in questo mystery thriller, chiamata “hot chair – sedia bollente”, mi ha fatto pensare a quelle usate dalla comunità Synanon. I personaggi messi in cerchio subiscono feroci critiche da parte dei coetanei – non conosco la pratica della menzionata setta a sufficienza per sapere se le modalità siano identiche, ma certo sono molto simili e il fatto che ci si riferisse ad essa come a “il gioco”, mi ha lasciato pensare che fosse più di una coincidenza, come per Wayward Pines. Poi ho scoperto che quella setta è stata effettivamente un’ispirazione (Dateline) ed è stato inteso come “una metafora utile per tutti i tipi di sistemi oppressivi da cui siamo sedotti”. Infatti non è di denuncia di una specifica realtà, ma un modo di stimolare la riflessione su tutte quel genere di situazioni.

Siamo nel bucolico Vermont. Seguiamo due fili narrativi che in parte si intrecciano. Abbie (Sydney Topliffe), che vive a Toronto, è una adolescente che viene spedita dalla Tall Pines Academy dai suoi genitori: la prelevano nel mezzo della notte con modalità tali che sembra un rapimento, solo che avviene di fronte agli occhi dei familiari. La sua ribellione consiste più che altro nelle cattive compagnie. Vi si infiltra anche la sua migliore amica Leila (Alyvia Alyn Lind) che vorrebbe salvarla e rimane lì intrappolata e che è la più problematica delle due, con una madre che la trascura, tanto più dopo che ha perso la sorella maggiore Jess (Devin Cecchetto) in un incidente in cui è affogata in piscina, evento per la quale si sente in parte responsabile. L’istituto è gestito da Evelyn Wade (una sempre straordinaria Toni Collette), ma i sistemi abusanti e da setta di lei e del suo staff, fra cui Rabbit (Tattiawna Jones) e Duck (Joshua Close), fatti di rituali e gergo per iniziati, le spingono a cercare di fuggire. Fanno intanto amicizia con diversi altri studenti, come l’inquietante, instabile Stacey (Isolde Ardies), che è la compagna di stanza di Abbie e non è alla prima esperienza in questo genere di istituti, e l’ex ragazza con problemi di droga che cerca di filare dritto Ello (Elizabeth Adams), compagna di stanza di Leila, o ancora Rory (John Daniel), un ragazzo asmatico che vorrebbe più di semplice amicizia con Abbie, o Daniel (Milton Torres Lara).

In parallelo seguiamo una coppia che si trasferisce a Tall Pine: Laura Redman (Sarah Gadon), ex-allieva dell’accademia e cocca di Evelyn e forse ancora sotto la sua influenza, ora incinta. Con lei c’è suo marito Alex Dempsey (Mae Martin), agente di polizia transgender sincero ed empatico, che inizialmente è affascinato dall’accoglienza affettuosa che riceve da tutti – anche  il suo nuovo partner, Dwayne (Brandon Jay McLaren), amico di vecchia data della moglie, lo rassicura dicendo che verrà trattato come "uno dei ragazzi"  perché tutti hanno una mentalità aperta - in un posto apparentemente idilliaco, ma che presto si rende conto che ci sono state sparizioni mai spiegate o insabbiate e che i conti non tornano, anche perché fra l’altro tutti gli abitanti sembrano ex-allievi e accoliti, e non ci sono bambini. Procede la gravidanza e procedono i sospetti e si scoprono segreti. Tutto si fa sinistro. In contatto con Abbie, cerca di trovare un modo per “farle evadere” e investigare sugli eventi, finendo per scoprire sulla moglie verità di cui lei stessa forse non è consapevole. Martin è una persona non binaria e bisessuale, ma avendo ambientato da sua creazione nel 2003, ha ritenuto che all'epoca non ci fosse molta comprensione pubblica delle identità non binarie e ha preferito che il suo personaggio fosse trans. (Marie Claire)

Gli autori vogliono soprattutto mettere in guardia nei confronti della disinvoltura e della rapidità con cui i ragazzi vengono patologizzati ed etichettati, quando in realtà hanno spesso uno spiccato senso di quello che è giusto e quello che non lo è. Apertis verbis, non si crede che esistano ragazzi cattivi di natura. Si riflette sul trauma intergenerazionale, sulle storie che si ripetono, sul tagliare o mantenere i contatti, su che cosa costituisca crescita personale e su che cosa costituisca una comunità, il peso delle ideologie, il potere e la coercizione, la manipolazione delle persone vulnerabili e in cerca di punti di riferimento da parte di persone carismatiche che vogliono approfittarsene, la resistenza, l’amicizia…è disturbante e minacciosa, ma non troppo. C’è più disagio e suspense che altro, per cui la si segue con facilità.

Pensata come miniserie, Non guasterebbe che Wayward venisse rivisitata in una seconda stagione, anche per chiarire aspetti rimasti irrisolti. Il potenziale c’è.

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