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mercoledì 20 dicembre 2017

VICTORIA: la seconda stagione


La seconda stagione di Victoria, che è previsto debutti in Italia (su Laeffe) il 29 dicembre, si apre praticamente senza soluzione di continuità con la prima stagione, ovvero riprende da subito dopo il primo parto della regina.

Politicamente, la crisi maggiore che si trova ad affrontare è quella di una cocente sconfitta in Afghanistan, in quello che era chiamato il “Grande Gioco”, durante la quale gli inglesi persero oltre 4000 militari e furono uccisi tutti tranne uno, il dottor William Brydon, che la regina riceve in visita (2.01). Victoria (o Vittoria, all’italiana) si sente messa da parte, anche dal marito Albert, con la scusa del suo nuovo ruolo di madre, e a questo proposito saggiamente si continua a toccare un tema – quello della donna come genitrice – in modo originale e acuto.

La sua scarsa propensione alla maternità viene evidenziata dalle primissime scene: si libera immediatamente dell’infante come di un peso, consegnata senza indugio a una balia, mentre si prende in grembo l’amato cagnolino Dash. Frena ogni entusiasmo di Albert che ammira gli occhi azzurri della piccola figlia, osservando bizzarramente che tutti i bambini hanno gli occhi azzurri alla nascita, e ad un’amica chiede se i suoi figli le siano piaciuti da subito, perché è evidente che non è così per lei. Questa le risponde che sono gioia, ma anche sacrificio. Si potrebbe dire che è quasi rivoluzionario vedere in TV una donna che non desidera necessariamente avere dei figli, come se fosse qualcosa di inevitabile per tutte, – anche se poi finirà per averne nove, come sappiamo -, ed è una rappresentazione benvenuta.  Così come è inusuale vedere situazioni in cui una donna è più scaltra sul piano politico e l’uomo su quello domestico, ma è proprio quello che accade In “The Luxury of Coscience” (2.08), che mostra contemporaneamente lo scontro personale fra i due coniugi che notoriamente avevano una relazione molto focosa, sia in positivo che in negativo.  Albert va in parlamento contro il volere della sua sposa e danneggia così  i progressi fatti dal primo ministro, Sir Peel (Nigel Lindasy), che si oppone alle Leggi sul Grano, in un profondo momento di crisi per la sua carriera e per il Paese. A Palazzo, la primogenita Vicky rischia la vita per la febbre alta, perché Victoria ha preferito dare ascolto alla donna che l’ha cresciuta, Lehzen (Daniela Holtz), piuttosto che al marito, che le raccomandava di tenerla distante dalle correnti d’aria. Ciascuno, intestardito sulla propria posizione, fa un errore di valutazione, e poi lo rimpiange ammettendo la propria leggerezza.

Nondimeno si celebra anche la femminilità di Vittoria. Nel libro “compagno ufficiale della serie“ intitolato “Victoria & Albert: A Royal Love Affair”,  Daisy Goodwin, ideatrice della serie e sceneggiatrice di quasi tutte le puntate (solo tre, nelle prime due stagioni, non sono state scritte da lei), dice: “Quello che rende Victoria così interessante è che invece di fingere di essere un uomo come la sua celebrata predecessora Elisabetta I, che ha famosamente fatto un discorso dichiarando che aveva ‘il corpo di una donna debole e malaticcia, ma il cuore e lo stomaco di un re’, Victoria ha trovato un modo di governare come donna, non come surrogato di uomo. Non si vestiva con l’equivalente vittoriano di un abito di potere, ma ha continuato ad indossare la cuffietta per tutta la durata del suo regno. Victoria ha mostrato al mondo che era possibile essere una moglie, una madre e anche la donna più potente al mondo. Questo è il motivo, per me, per cui è un’eroina così sorprendente e di ispirazione”. (posizione 189 dell’Edizione Kindle, mia traduzione)

Quattro morti si verificano nel corso della stagione (le più significative in 2.03 e 2.08), ma non per questo la serie diventa tetra. Lì dove non si risparmia è nella rappresentazione della carestia irlandese del 1845 (2.06) che ha fatto morire un milione di persone e ne ha fatte emigrare almeno altrettante. Molti cittadini inglesi sono rimasti scioccati della messa in scena anche perché, a quanto pare, è assente dai libri di testo che studiano a scuola. Alcuni considerano questi eventi storici l’equivalente di un genocidio perpetrato volontariamente dall’ottusità e dall’atteggiamento apatico dei leader britannici che ritenevano la carestia come un giudizio divino e come un modo efficace di ridurre i problemi di sovrappopolazione, argomentazioni che sono state messe in bocca al personaggio di Sir Charles Trevelyan sulla base di documenti storici. A portare avanti le richieste degli irlandesi, nei confronti della cui situazione la regina si mostra empatica, è un giovane predicatore della Contea di Cork, il dottor Robert Traill (Martin Compston), che mette da parte il contrasto con la popolazione cattolica per andar in aiuto dei propri parrocchiani (con il ruolo del conflitto religioso efficacemente messo in scena come componente degli eventi). Si tratta di una persona realmente esistita, e quadrisavolo di Daisy Goodwin (RTE). Interessi personali e pubblici si intersecano – Sir Peel è lacerato fra quello che ritiene giusto e la lealtà al suo partito ; e quello che accade a livello nazionale accade nel microcosmo del palazzo reale - di fronte alla sofferenza di Cleary (Tilly Steele) che proviene dall’Irlanda ed è in ansia per la propria famiglia si vede l’ostilità di Penge (adrian Schiller), che le rifiuta un anticipo sulla paga, e di contro la generosità di Francatelli (Ferdinand Kingsley).

Questa stagione è molto attenta a mostrare, di fronte allo sfarzo della vita dei reali, la povertà, quando non proprio la miseria, della gente dell’epoca. Come ricorda nella sua biografia sulla regina A.N. Wilson, che è consulente della serie, Vittoria è ascesa al trono in tempi di fame, e la monarchia non era popolare nelle prime decadi del diciannovesimo secolo. Nell’Inghilterra di quel tempo lo stesso Parlamento era rappresentativo, ma non democratico: il potere lo aveva un’oligarchia formata dall’aristocrazia terriera. Nella vicina Francia non era molto che era saltata la testa di Maria Antonietta in seguito alla Rivoluzione Francese. Gli inglesi non erano intenzionati a fare lo stesso, ma gli echi di quell’evento si sentivano bene. E questa scollatura con la gente comune è molto evidente in “Warp and Weft” (2.03), quando la regina, contro il parere di Albert e dello stesso primo ministro, organizza un ballo di corte molto sontuoso per aiutare i tessitori di seta di Spitalfields. Il lusso delle tavolate è messo ben in contrasto con la fame del popolo, e la distanza fa chi governa, pure ben intenzionato, e chi è governato appare dolorosamente evidente. 

Questa stagione ha un respiro più vasto non solo per i rapporti con Coburgo e la Germania già esplorati, ma anche per quelli con la Francia (2.05) e la Scozia (2.07) in una puntata che davvero, come ho già osservato in merito alla prima stagione, con la bucolica fuga di qualche ora della regina ha avuto il sapore dei vecchi film sulla principessa Sissi. E la passione per la tecnologia e le innovazioni mostrata con l’entusiasmo di Albert per i treni nella prima stagione è stata qui ripresa con la fugace comparsa (1.02) del personaggio di Lady Lovelace (Emerald Fennell), nota matematica ideatrice del primo prototipo di computer nonché figlia di Lord Byron.

Con originalità si è trattata la storia dell’amore fra Drummond (Leo Suter) e Lord Alfred Paget (Jordan Waller), visti come moderni Achille e Patroclo, se non altro perché è stata molto inattesa la reazione comprensiva dei personaggi che sono venuti a saperlo e ancora più per come è stata usata la Bibbia: citata per commentare la relazione omosessuale, ci sia aspetta di default una condanna, ma invece viene utilizzata come riconoscimento di un amore molto profondo. Inusuale ed efficace.
Si è sempre prestata attenzione alla correttezza storica. Un ladruncolo che riesce a infiltrarsi a palazzo nascondendosi negli armadi (2.02) è storia vera. Ci si è chiesti se lo sia anche il sospetto insinuato (2.04) che Albert non sia figlio del proprio padre, ma di zio Leopold. Non è provato, ma dubbi sulla paternità del giovane sono stati sollevati in più di un’occasione, in considerazione della natura del rapporto dei suoi genitori e del fatto che, in effetti, hanno divorziato. Qui comunque, ci si è presi una licenza poetica nel tirare un po’ la realtà verso speculazioni nell’ambito del possibile, così come era avvenuto nel dipingere il rapporto fra Victoria e Lord Melboune, uscito di scena in questo arco.

Come già per Downton Abbey, che la serie continua a richiamare in alcuni suoi tratti, Victoria ha in previsione una puntata speciale natalizia. È stata comunque già confermata per una terza stagione.  

giovedì 26 ottobre 2017

VICTORIA: una serie "alla Sissi"


Mi ha lasciato la sensazione che trasmettevano i vecchi film sulla principessa Sissi, la prima stagione della serie britannica Victoria (ITV, su LaEffe in Italia), sulla regina inglese che ha definito un’epoca regnando per quasi 64 anni. Alla stessa maniera infatti, si è storicamente accurati (pur con qualche licenza poetica) – la serie di avvale della consulenza storica di AN Wilson che ne ha scritto una biografia e l’ideatrice Daisy Goodwin si è basata sui numerosi diari autografi della regina -, ma allo stesso tempo il tono della narrazione ha un che di favolistico e romantico. È un mescolanza di Downton Abbey e The Crown.

Le vicende prendono il via dal momento in cui la diciottenne Alexandrina Victoria (Drina per i familiari), che sarà incoronata con il nome di Vittoria (Jenna Coleman, Doctor Who), diventa erede al trono a seguito del decesso dello zio paterno re William e, nelle 8 puntate del primo arco, la si vede imparare i rudimenti del nuovo ruolo guidata da Lord Melbourne (un sottile, magistrale Rufus Sewell, The Man in the High Castle), per cui ha un’infatuazione (esagerata nella finzione, si dice), e innamorasi del cugino coetaneo il principe Albert (Tom Hughes), fino alla nascita della sua prima figlia.

Quello che rende affascinante la serie è che si mostra la crescita di una giovane donna che era sicuramente impreparata a fare da monarca  - come in The Crown, si sottolinea la sua ignoranza rispetto a molti aspetti della vita, il distacco dalla realtà dei suoi sudditi, il peso metaforico della corona, pur nella preparazione costituzionale (le fanno studiare i commentari di Blackstone, ben noti tuttora agli studenti di giurisprudenza che fanno studi transnazionali); allo stesso tempo si fa capire che non è solo fortuna a farla sedere su quel seggio regale, ma anche determinazione, diplomazia e scaltrezza, di fronte ai molti tentativi di sminuirla (fosse anche solo deridendo la sua bassa statura), di metterla di parte, di farla passare per folle anche, se necessario.

Davvero notevole, e inusuale da vedere, quando invece della vita l’ho incontrato molte volte, è il reiterato sottolineare la sua paura per il parto. Se è ragionevole tuttora quel genere di timore, quanto più doveva esserlo in un’epoca in cui la morte per parto era all’ordine del giorno. La cugina, è stato ripetuto da più parti e dai lei stessa, è morta proprio in circostanze simili e lei manifesta in più di una occasione i suoi timori, tanto più che molti altri non aspettano altro. Si sviscera questa possibilità nelle sue implicazioni politiche, con le discussioni anche in parlamento della necessità di un reggente che sostituisca il neonato fino alla maggiore età, nel caso di scomparsa di Sua Maestà; e si esamina la questione da un punto di vista personale: lei è giovane, sana, innamorata, da poco regina e non ha nessun desiderio di morire, ma è costretta a tenere a bada gli avvoltoi che girano a corte e a prendere comunque in considerazione la propria eventuale scomparsa in modo pragmatico.

La serie si fonda appunto su effettivi dati storici – il difficile rapporto con la madre; l’aver costretto ad una visita ginecologica Lady Flora, una delle dame di compagnia della madre, accusandola di una relazione con Sir John Conroy (Paul Rhys), da lei odiato, e di esserne rimasta incinta, quando lei aveva in realtà un tumore; la sua riluttanza a rinunciare alle dame di compagnia da lei volute invece di quelle suggerite da sir Robert Peel, del partito Tory, nel momento in cui gli era stata proposta la carica di primo ministro; l’atteggiamento nei confronti del principe Albert visto con sospetto perché tedesco; l’attentato alla sua vita mentre era incinta…- ed è visivamente molto curata e sensuale. C’è ampio spazio comunque per quotidianità immaginate della vita a Buckingham Palace, compresa una storia secondaria dell’attrazione fra la sua guardarobiera e il pasticcere di corte.

Confermata per una seconda stagione, la serie, leggera e appagante, è previsto che ne abbia sei, anche se non è chiaro se sarà sempre la stessa interprete a dare il volto alla regina Vittoria.