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martedì 11 febbraio 2020

KATY KEENE: una favoletta stucchevole


Nello spin-off di Riverdale intitolato Katy Keene, il cui pilot ha debuttato lo scorso 6 febbraio sull’americana CW, Katy (Lucy Hale, Pretty Little Liars, Life Sentence), basata sull’omonimo personaggio dei fumetti Archie Comics, è una aspirante stilista che di notte confeziona i propri abiti, con una inclinazione verso il rosso, con la vecchia macchina da cucire ereditata dalla madre, e di giorno lavora come assistente in un grande magazzino di lusso di New York, Lacy’s, dove ambisce a diventare personal shopper dei ricchi e famosi. Ha un fidanzato, KO Kelly (Zane Holtz), che lavora come buttafuori in un locale e mira a diventare pugile, e vive con due suoi amici: Jorge (Jonny Beauchamp), che sogna una carriera a Broadway e lavora come drag queen con il nome di Ginger Lopez; e Josie (Ashleigh Murray, Riverdale), fresca della città, che intende sfondare come cantante dopo l’esperienza liceale con le Pussycats ed altre successive. Fra le sue amiche più care conta anche l’esperta di social media Pepper Smith (Julia Chan).   

Sviluppata da Roberto Agiurre-Sacasa e Michael Grassi, la serie è senza ritegno e senza vergogna una favola per ragazzine (la prima puntata è pure intitolata “C’era una volta a New York”), con le protagoniste che lavorano sodo per i propri sogni, ma ottengono tutto con una facilità sorprendente: Josie appena arrivata, improvvisa qualcosa a Washington Square insieme a una donna conosciuta lì sul momento e le viene potenzialmente offerto da un discografico super-carino e super-potente il contratto di una vita, anche se poi le cose non vanno come spera. Katy deve far colpo su un principe che spende molto denaro da Lacy’s, per non deludere la sua esigentissima principale, e salva la situazione con la ragazza di lui diventando la preferita del reale, nonostante l’invidia di una collega. Solo il povero Jorge viene ritenuto “troppo gay” in un’audizione per “Mannequin” a cui si è presentato. E dal canto suo KO è, dal pilot, poco più di un accessorio da sbaciucchiare per Katy che altro. La prima scena in cui appare, in mutande, è la definizione del fan service.  

Si sono osservate molte potenziali influenze: Riverdale, Sex and the City, Il Diavolo Veste Prada, Saranno Famosi, Felicity, The Bold Type, Rent, Valley of the dolls…C’è un’estetica retrò, visibile già dalle primissime immagini, oltre che da certi outfit, ma si è chiaramente ancorati al presente anche con riferimenti culturali pop vari. Ci sono colori saturi.  La romanticizzazione è smaccata e gloriosamente stucchevole, ma volutamente tale. Ci sono scene da cartolina, attenzione alla moda, intramezzi musical – è definito un musical dramedy -  e gli intenti e le emozioni dei personaggi sono tutti molto marcarti. Dal pilot ci vedo un potenziale successo, specie fra i giovanissimi, ma io passo.

giovedì 2 febbraio 2017

RIVERDALE: un teen drama imbevuto di citazioni


Dopo un’estate trascorsa a lavorare per l’azienda di costruzione del padre Fred (Luke Perry, Beverly Hills, 90210) per “costruirsi il carattere”, periodo durante il quale ha avuto una relazione sessual-sentimentale con la sua insegnante Geraldine (Sarah Habel), l’adolescente Archie Andrews (KJ Apa) ricomincia la scuola. Viene incoraggiato a giocare a football, ma il suo cuore lo spinge a dedicarsi alla musica, nonostante non abbia fortuna nel cercare di far cantare i suoi testi alla band più popolare della scuola, Josie and the Pussicats, di cui leader è Josie (Ashleigh Murray). Betty Cooper (Lili Reinhart), che si sforza di essere una persona perfetta e che ha da tempo una cotta per lui, è spinta dal suo migliore amico gay Kevin (Casey Cott) a dichiarasi, e lei è incerta se farlo o meno, specie ora che in città è arrivata la bellissima e abbiente Veronica (Camilla Mendes), proveniente da New York insieme alla madre Hermione (Marisol Nichols), dopo che si è lasciata alle spalle uno scandalo che riguarda il padre. Le due ragazze diventano subito amiche, sebbene la madre di Betty, Alice (Mädchen Amick, Twin Peaks), cerchi di metterla in guardia. Come racconta il narratore della serie Jughead (Cole Sprouse), amico di Archie, quella appena passata non è stata un’estate come le altre. La comunità si è appena ripresa dalla tragica morte, il 4 luglio, in circostanze mai del tutto chiarite, di un ragazzo il cui corpo non è stato ritrovato, Jason Blossom. Gli è sopravvissuta la sorella gemella, Cheryl (Madelaine Petsch), ricca e maleducata, che non è la sola in città a mantenere dei segreti su che cosa sia veramente successo il giorno della scomparsa del fratello. Siano a Riverdale.

La nota principale del nuovo teen drama della CW (di cui Netflix ha acquisito i diritti di distribuzione internazionale) è quanti echi rimanda. Già i personaggi non sono degli originali, ma sono basati esplicitamente su quelli dei classici fumetti della casa editrice Archie Comics  - gli stessi nomi di Archie, Betty e Veronica, coinvolti in un triangolo amoroso, sono forse familiari a tutti, anche a quelli che i fumetti non li hanno mai letti; il personaggio di Archie ha debuttato nel 1941. Nel DNA della serie però si riconoscono facilmente, anche senza citazioni dirette (pur visibili nel casting adulto, ad esempio), ma solo per le formulazioni dei dialoghi e per le pure sensazioni evocate, i molti progenitori, da Berverly Hills, 90210 (basterebbe la giacca indossata dal protagonista), a Dawson’s Creek (la storia d’amore con l’insegnante), The OC (la ragazza arrivata da fuori), Gossip Girl (il narratore, la mean girl), Pretty Little Liars (il compagno di scuola scomparso), Twin Peaks (il cadavere, l’epoca evocata), Peyton Place (i segreti), Happy Days (il locale dove si ritrovano i ragazzi), Mad Men (a Betty si nomina Batty Draper)… Fra parentesi ho indicato un piccolo aggancio, ma l’homage va più a fondo di un unico elemento. Ogni puntata poi rende ossequio a un diverso film: River’s Edge, The Last Picture Show,  Body Double, Touch of Evil(EW) E i riferimenti espliciti al’immaginario culturale high e low brow sono innumerevoli.

Siamo indubbiamente nella seconda decade degli anni 2000, e si è più dark, ma l’estetica (nella scenografia e nei costumi ad esempio) e una qualche sensibilità emozionale riportano a galla il periodo a cavallo fra la fine degli anni ‘40 e gli inizi degli anni ‘50. Il retrogusto pure è quello che si associa a quegli anni, una sorta di innocenza che è anche perfezione apparente che maschera inconfessate pulsioni e verità di cui ci si vergogna. Imbevuta com’è di passato, la serie fatica a dimostrarsi originale, ma riesce ad esserlo a sufficienza da avere qualcosa da dire. Non ha il sapore di un pastiche, se non nella misura in cui nel volto di un bimbo si vedono i tratti dei genitori. Ha detto bene Entertainment Weekly (link sopra) dichiarandola una serie post-tutto e “la somma di tutti i trend: estensione del franchise, adattamento di un fumetto, cripto serial adesca-teorie, audace storia d’amore YA, e decostruzione densamente ironica. Riverdale è acutamente consapevole di ciò: codificata entro il suo essere un pulp giovanile solidamente soddisfacente c’è una astuta parodia di se stessa e del lavoro di reinvenzione”.

Portata sullo schermo da Roberto Aguirre-Sacasa (anche direttore creativo per la Archie Comics) e con l’instancabile Greg Berlanti come produttore esecutivo, è una storia di scoperta di se stessi in primo luogo, con in questo l’adolescenza come luogo biografico principe, e di disvelamento. Una critica interessante è venuta da parte di chi ha lamentato il fatto che si sia deciso, almeno nel corso della prima stagione, di considerare il personaggio di Jughead come eterosessuale, quando secondo il canone è asessuale, cosa di cui tutti, dagli autori agli attori, sono di fatto consapevoli. La comunità asessuale, fortemente sottorappresentata, è ragionevolmente rimasta delusa da quella che poteva essere un’occasione importante di visibilità. (Si legga in proposito l’interessante articolo su Polygon). Ci dovrebbe però essere un margine per cambiare traiettoria in futuro.

È difficile valutare se questa serie diventerà un culto per le nuove generazioni, ma le premesse ne garantiscono quantomeno il potenziale. Della prima stagione di questo mistery a tinte soap sono previste 13 puntate.