martedì 30 settembre 2014

OUTLANDER: inaspettatamente, mi ha conquistata

 
È da poco andata in onda negli USA su Starz la midseason finale di Outlander, serie sviluppata per la televisione da Ronald D. Moore (Battlestar Galactica, Caprica) sulla base di una popolarissimo ciclo di romanzi scritti da Diana Gabaldon. Tornerà per gli altri otto episodi che costituiscono i 16 della prima stagione ad aprile.
Protagonista è una giovane infermiera della fine della seconda guerra mondiale, Claire Beauchamp (Caitriona Balfe). Con il marito Frank (Tobias Menzies) si reca ad Inverness, in Scozia, per una seconda luna di miele e, per aver toccato delle antichissime pietre in una località chiamata Craigh na Dun, si ritrova catapultata indietro nel tempo, e specificatamente del 1743. Spaesata e in pericolo, grazie alle sue doti nel curare le persone viene accolta dal clan dei MacKenzie, residenti al Castello di Leoch. Il suo obiettivo è quello di tornare alla sua epoca, e nel frattempo cerca di sfuggire al sadismo di un antenato del marito, “Black Jack” Randall, una giubba rossa. Inizialmente, dai suoi ospiti è trattata come una possibile spia, e percepita fortemente come una “Sassenach”, una “forestiera”, in quanto inglese - la serie su You Tube fornisce delle brevissime lezioni di gaelico, utilizzato nella finzione, proprio a partire da quella parola (qui). Presto però Claire accetta di sposare Jamie Fraser (Sam Heughan), membro di quel clan, ricercato dai soldati inglesi.
La serie, in misto di fantasy, avventura e storia romantica, è cominciata in modo lento e pacato, e sulla base del solo pilot, se non avessi saputo quanto vocali sono i fan di questa saga, ammetto che non avrei continuato a seguirla. Ma l’ho fatto, e ne sono sinceramente contenta. Sullo sfondo di scenari magnifici e un contesto storico inusuale, si profilano personaggi che si fanno via-via più definiti e ben più complessi delle classiche storie di genere, cosa che giustifica la critica generalmente molto favorevole.  
La puntata “The Garrison Commander” (1.06), che ha come fulcro Black Jack che frusta Jamie, è stata molto violenta, ma ha messo a fuoco per la prima volta sul serio per me che cosa è in grado di farne questa narrazione, ovvero dare una pregnanza umana anche ad accadimenti apparentemente disumani e senso a circostanze che potrebbero altrimenti essere solo di servizio in quanto funzionali alla trama.
Ugualmente la puntata successiva, “The Wedding”, sul matrimonio fra Claire e Jamie, ha saputo costruire intimità come rare volte si vede fare. Quello che mi è piaciuto di più è stata la calibrata lentezza con cui sono state costruite le scene di sesso fra i due protagonisti ed il mutare di significato e valore degli incontri sessuali che si sono susseguiti. È stata notevole. Maureen Ryan sull’Huffington Post, in un articolo la cui lettura caldeggio,  la definisce rivoluzionaria. Io ho visto troppo daytime per ritenerla così sovversiva del mainstream – le soap opera hanno per anni costruito nella direzione che lei incontra qui per la prima volta  - ma nondimeno condivido che per il prime-time propone una visione radicale, una prospettiva dove la preminenza è data alla female gaze, allo sguardo femminile, e dove nudità, desiderio, reciprocità, sessualità e intimità vengono unite con deliberata e appagante consapevolezza.   
Insapettatamente, Outlander mi ha conquistata. Non vedo l’ora che riprenda.

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