martedì 16 febbraio 2016

VINYL: sesso, droga e rock & roll negli anni '70

 
È la classica triade sesso, droga e rock & roll, infarcita di atmosfere mafiose, il piatto forte della nuova attesissima serie della HBO Vinyl, ambientata nel mondo discografico degli anni ’70 e ideata da, nell’ordine in cui appaiono nei credits finali: Mick Jagger – il cui figlio James, bravo attore, ha pure un ruolo nei panni di Kip Stevens, musicista ancora grezzo che spera di sfondare con la band The Nasty Bits; Martin Scorsese (Boardwalk Empire in TV) – regista del notevole pilot, ricco di emozionanti inquadrature e tagli originali; Rich Cohen e Terence Winter (Boardawalk Empire, The Sopranos).
Siamo nel 1973, in una New York livida e derelitta. Richie Finestra (Bobby Cannavale, Boardwalk Empire, Third Watch, in un ruolo che incarna alla perfezione, finalmente protagonista) è un italo-americano che non ha la stoffa per diventare un musicista lui stesso, ma ha gusto e orecchio da vendere. Negli anni ’50 scopre il talento di un cantante di blues, Lester Grimes (Ato Essandoh) e ne diventa il manager, salvo poi lasciarlo legato a un contratto che lo vincola a canzonette che non desidera cantare nonostante le promesse di portarlo con sé. Seguendo l’insegnamento di chi gli dice che gli artisti con cui ha a che fare non sono suoi amici ma semplici prodotti, si costruisce una compagnia discografica, la American Century, che ora è in cattive acque ed è alla disperata ricerca di nuove voci, se non altro per figurare come un’azienda valida da poter essere venduta per un profitto. Richie vuole che i suoi collaboratori e dipendenti vadano per la strada, per la città, in cerca di future star capaci di sfondare, e a capire che cosa intenda sembra essere solo Jamie Vine (Juno Temple), la Peggy Olson (di Mad Men) della situazione, una donna che comincia distribuendo panini, ma ha ambizioni di carriera serie. Sul lato professionale al suo fianco c’è l’amico-collega Zak Yankovich (un Ray Romano che si è già ampiamente provato in ruoli drammatici con Parenthood e ancora più con il rimpianto Men of a Certain Age). Sul lato personale c’è la moglie Devon (Olivia Wilde, House) che ha un passato come membro della Factory di Andy Wharhol.
La serie cerca di fare per una decade, gli anni ’70, quello che Treme ha fatto per un luogo, New Orleans, ovvero mettere al centro di tutto la musica. Con riferimenti colti e appassionati, impregna e satura le vicende. A questo si aggiunge la frenesia e il delirio che vi si accompagnano, senza rivestimenti zuccherini, ma carichi di stati alterati di coscienza, carburati da abbondanti droghe di ogni tipo. L’eccitazione sonora si può facilmente trasformare in rissa, o in orgia. L’eccesso all’inseguimento di una passione, alternato a momenti atmosferici e quasi lenti, da riflessione, costituisce la cifra stilistica più riuscita della narrazione, che è però minata nell’originalità del gusto da una “Soprano-izzazione” delle vicende, problema che già gravava Boardwalk Empire. C’è una costante atmosfera da mafia anche lì dove magari la mafia nemmeno c’è.
Ad un certo punto c’è pure un omicidio, nel corso della prima puntata, un evento superfluo, e inutilmente violento, che peraltro chiude una scena scritta in modo anacronistico. Il personaggio che poi verrà ucciso con fare di disprezzo verso il Connecticut (Stato dove vive il protagonista) commenta che è un luogo dove vivono solo “ciucciacazzi” (parola loro) che abitano nei boschi e persone con la malattia di Lyme. Siamo nel 1973 però, e l’epidemia, se così possiamo chiamarla, di borrelliosi che colpisce la cittadina di Lyme che poi dà il nome alla malattia è del 1975.
Vinyl manderà magari in brodo di giuggiole i veri appassionati di musica, ma quello che ha da dire sembra già consunto, e mostra l’ebbrezza e l’intossicazione dell’esperienza artistico-musicale, ma non riesce a trasmetterla allo spettatore, al di là dello squallore.  

Nessun commento:

Posta un commento