sabato 3 settembre 2016

SUPERGIRL: una "clintoniana" prima stagione


Una storia orizzontale continuata su microarchi che fluidamente si collegano l’uno all’altro mixata con storie verticali autoconclusive per il singolo episodio con il kick finale di un cliffhanger che concatena un episodio all’altro ha costruito la struttura della prima stagione di Supergirl. A esclusione di qualche guizzo, la narrativa è stata didascalica, quando non proprio pedestre, nella maggior parte degli episodi, ma non peggiore di tanta fiction seriale degli anni Ottanta e nella sua essenza anche gradevole nonostante l’imbarazzante livello di alcune scene. Non è mancato un certo intento pedagogico.

Fedele agli intenti pilot, le puntate hanno regalato molti momenti di benvenuto, necessario “femminismo” in pillole. Viene quasi da commuoversi a sapere che le bambine e i bambini di oggi possono ricevere questi messaggi positivi e propositivi guardando una propria eroina sul piccolo schermo. E il lavoro e l’impegno per l’uguaglianza lavora su più fronti. In modo esplicito e no le donne sono sempre in primo piano e, aspetto fondamentale, non solo perché la protagonista è una donna, ma perché i personaggi secondari sono ugualmente donne e non di default uomini, come troppo spesso accade (si pensi a questo proposito alla critica che viene mossa ai film Disney con le varie principesse di turno, lasciate sole a rappresentare il proprio genere). Ci sono vari tipi di donne, non sono tutte intercambiabili o fatte con lo stampino. Alle donne è permesso di coprire tutto lo spettro, nemiche (Astra, Siobhan/Silver Banshee, Indigo…) e amiche (Alura, Cat, Lucy), di ricoprire ruoli in cui solitamente siamo più abituati a vedere uomini (Alex, Lucy). Se famiglia (biologica e acquisita) e amicizia (James, Winn) sono importanti, c’è molto anche il senso della sorellanza specificatamente e il legame fra le effettive sorella Kara (Melissa Benoist) e Alex (Chyler Leigh) è uno delle forze maggiori all’interno dello show.

Ma si oltre, perfino in piccoli dettagli. In un riuscito cross-over che ipotizza mondi paralleli (1.18), il supereroe Flash (Grant Gustin) dell’omonima serie, aiuta l’eroina proveniente da Krypton in uno scontro con altre due donne. Si augura che si possa risolvere il problema “da donne”. Venendo la frase da parte di un uomo, alla stessa Supergirl suona strano: siamo abituati a sentire frasi come “affrontare una situazione da uomini”. Lui difende la sua scelta terminologica facendo notare che sono tre donne e un uomo, di fatto. Fa riflettere: le parole contano. Quando (1.19) Maxwell Lord (Peter Facinelli), ora nemico ora amico dei “buoni” fa una osservazione dicendo “se ci fosse un Dio…”, il pronome personale che segue è femminile “she”, lasciando intendere di concepire Dio al femminile.

E ancora, nella season finale (1.20) il capo della DEO Hank Henshaw (David Harewood), che era stato trattato come un criminale dopo che si era scoperto essere un marziano mutaforma unico sopravvissuto del suo pianeta, J’onn J’onzz, viene reintegrato nel suo ruolo. Questo, gli dice l’ufficiale Lane, dopo averne parlato con “the President” e che cosa segue a quel “presidente”? Il pronome personale “she”. Che qui non si stia pensando solo a un femminile generico, ma a la possibile futura presidentessa degli Stati Uniti Hillary Clinton? Non è azzardato pensarlo, anche perché bisogna ammettere che in tutto il corso della stagione risuonano parole chiave del partito democratico americano. Se nella prima parte della stagione l’eroina d’acciaio deve vedersela con la zia Astra (Laura Benanti), ecologista che, pur di salvare il pianeta Krypton poi distrutto e ora la Terra, si macchia di gravi crimini, in seguito alla sua scomparsa il nemico è il marito della zia, Non (Chris Vance). Grazie alla tecnologia Myriad, questi riesce a piegare alla propria volontà tutti gli abitanti di National City (tranne Cat e Maxwell).  L’eroina riesce a liberarli dal giogo del controllo della mente grazie ad un accorato discorso che elicita speranza. “Hope” è la parola che ricorre, associata al logo di Supergirl. Non è un mistero per nessuno che quella fosse la parola chiave della campagna elettorale di Obama. E non sfugge che in più puntate (in 1.19, ma non solo) ricorra il concetto quando proprio non la dicitura “Stronger Together”, ovvero “più forti insieme”, che è uno dei motti più significativi della campagna elettorale della Clinton in queste elezioni del 2016, e che i personaggi in contesti diversi ritengono sia la via migliore per essere vincenti. Non si è così ingenui da non vedere che si cerca di dire che se Supergirl votasse, la sua preferenza andrebbe alla ex-Segretario di Stato ed ex-First Lady.  

La serie riflette in più occasioni anche parecchio sugli “alieni”, gli immigrati del pianeta Terra, termine usato in inglese anche per indicare i non-Americani,  proprio attraverso la protagonista, e attraverso Hank/J’onn, estendendo la riflessione alle questioni di genocidio e di fuga da Paesi in guerra. La detenzione di alieni criminali alla DEO senza “due process”, senza garanzie legali, è comparata esplicitamente a Guantanamo. James Olsen (Mehcad Brooks) insiste perché Kara si renda conto di quanto sia sbagliato procedere in questo modo e di come non c’è solo un scontro fra forze opposte, ma in gioco c’è anche una “battaglia di valori” (1.15). Discorsi seri e impegnativi per una serie sufficientemente stupidotta e scaldacuore. Ci si gode anche l’aspetto sentimentale, i riferimenti alle altre serie, le battutine, che si può essere sempre certi escano dalla bocca di Cat Grant (Calista Flockhart), la visibile consapevolezza del potere della comunicazione.

Supergirl, rinnovata per una seconda stagione, volerà non più sulla CBS, ma sulla più giovanile e adatta CW (di co-proprietà della CBS) - e le riprese saranno fatte nella più economica Vancouver e non a Los Angeles. È atteso l’arrivo di Superman, e un cross-over con altre serie dell’Arrowverse (Arrow, The Flash)  - grazie al fatto che Greg Berlanti è produttore esecutivo di tute e tre - compreso un episodio musical che dovrebbe avere la regia niente meno che di Joss Whedon (Buffy). La serie nel tempo è cresciuta in spessore, e così le capacità recitative dell’attrice protagonista, e una ragione o due per continuarla a vedere ci sono.  

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