domenica 11 settembre 2016

THE PATH: la religione dei Meyeristi


È la religione il fulcro dell’interesse di The Path (sul servizio Hulu), che sbircia dietro le porte chiuse di una setta, o  meglio un “movimento”, come ribadiscono loro ad ogni piè sospinto. L’ideatrice Jessica Goldberg  giura che non intende parlare di Scientology in forma mascherata, e c’è da crederle ma solo fino a un certo punto. Certi aspetti richiamano in modo diretto il controverso culto, come l’utilizzo di aggeggi elettronici alla maniera degli e-meter, gli incontri simil-auditing, la gerarchia su più livelli, lo shunning, ovvero il rigetto sociale totale dal contatto con in membri della  comunità religiosa nel momento in cui ne si rinnegano i principi, anche se è vero che che quest’ultima non è una pratica solo di Scientology (basti pensare agli Amish, che pure la praticano). Il suo punto è proprio questo: la mitologia di ciascuna religione sarà anche diversa, ma per la maggior parte hanno elementi in comune: rituali da svolgere, specie in occasione di momenti significativi della vita; aspirazioni comuni; linguaggio e immaginario condiviso;  sistemi per punire chi commette “infrazioni”; concezioni definite su quello che accadrà dopo la morte; gestione del rapporto con coloro che non credono e con i materiali che non seguono i propri principi. Questo a lei interessa indagare e, vissuta a contatto con molte religioni differenti, ha voluto idearne una sua, anche per far fronte a una sua personale profonda crisi spirituale.

I Meyeristi hanno come proprio libro sacro “La Scala”, ovvero le rivelazioni che sta facendo a tappe il loro guru, Stephen Meyer (Keir Duella), che immagina una metaforica scala verso l’illuminazione, un percorso in cui salire superando dolori e negatività verso l’autoconsapevolezza nella Luce. All’inizio della serie tutti lo credono in Perù, intento a scrivere gli ultimi “scalini” della scala, in realtà è in coma. I Meyeristi prendono i voti al compimento del sedicesimo anno di età. I loro leader sono i “Guardiani della Luce”. Il simbolo è un occhio circondato di raggi. La loro “croce” sono delle  pietre, che in qualche caso, quando intraprendono “il cammino” (1.08), mettono in uno zaino e lasciano ad ogni tappa spiritualmente significativa che fanno lungo la via. Il loro modo di confessare le trasgressioni è di “unburden”, ovvero liberarsi di un fardello, “alleggerirsi”, direi, in mancanza al momento dl mio scrivere di una traduzione ufficiale italiana. Sono divisi in una rigida gerarchia.  Quelli che non credono sono per loro gli “ignoranti sistemiti” (IS) e coloro che voltano le spalle alla propria religione i “negatori”. Si aspettano un’apocalisse causata dall’uomo. Dopo la morte si riuniranno insieme nel “Giardino” che hanno costruito insieme sulla terra. La sceneggiatura spiega questi principi in modo naturale attraverso le dinamiche che si creano fra i  personaggi.

Siamo in una piccola comunità del nord-est degli Stati Uniti. Eddie (Aaron Paul, Breaking Bad e Big Love, per citare una serie di cui ha fatto parte che pure aveva la religiosità come tema forte) è un convertito con un passato difficoltoso che ora è sposato con una delle leader del movimento in cui è sempre cresciuta, Sarah (Michelle Monaghan), di cui è di fatto innamorato anche il numero due dei Meyeristi (secondo solo a Meyer stesso), Cal (Hugh Dancy, Hannibal), ex-alcolista che ha trovato redenzione nella fede e che ha un altissimo R10 nella gerarchia. Tutti e tre sono consapevoli del difficile, delicato equilibrio che c’è fra loro, dovuto al profondo legame di Sarah con Cal. Sarah, una R8,  è la più ardente dei tre nella fede. Eddie, un R6,  è in un momento di grande crisi spirituale, perché ritiene, dopo l’estasi  e le visioni causate delle droghe che gli sono state date in Perù, che la Luce in realtà sia una bufala, e il sospetto accresce quando lo contatta la moglie di un ex-fedele, Alison  Kemp (Sarah Jones), che si è tolto la vita e che lei non crede possa averlo fatto se non spinto. Fino a poco prima della finale, Eddie arriva alla conclusione che per lui sua moglie e i suoi figli, la sua famiglia, sono la sua verità, mentre Sarah vuole disperatamente che anche lui creda che la loro importanza sta anche nel fatto che sono parte di qualcosa di più grande di loro stessi (1.09). Lei vede codardia nelle persone che mancano di convinzione, lui ritiene naturale e salutare il dubbio, l’interrogarsi se si stia operando secondo i propri ideali. Cal, estremamente carismatico, da un lato vive la pressione della politica che si accompagna all’essere il leader del gruppo, dall’altra deve resistere al forte richiamo autodistruttivo del suo passato. A vedere chiaro questo suo aspetto è la giovane Mary Cox (Emma Greenwell) che lui ha salvato dalle grinfie del padre che la costringeva a prostituirsi da quando era ragazzina e per cui lei ha una attrazione molto forte. Eddie e Sarah hanno due figli, una bimba e un giovanotto, Hawk (Kyle Allen) per cui sta arrivando il momento in cui deve lasciare la scuola per prendere i voti, cosa che scalpita per fare finché non si innamora di una compagna di scuola, Ashley (Amy Forsyth) che non ne condivide la fede. Intanto un agente dell’FBI, Abe Gaines (Rockmond Dunbar, The Mentalist), la cui figlia appena nata ha problemi di cuore potenzialmente fatali, cerca di infiltrarsi nel movimento perché sospetta che le loro attività non siamo legali.

La serie, che ha fra i produttori esecutivi Jason Katims (Friday Night Lights, Parenthood), ha la sua forza nell’analisi psicologica dei personaggi, recitati in modo spettacoloso da tutti gli interpreti principali, ma anche nell’analisi sociologica del fenomeno della fede, sia negli aspetti positivi che negativi, non divisi in modo manicheo, ma integrati l’uno all’altro. Tutti i personaggi quanto meno si sforzano di essere onesti e di vivere in modo autentico la propria fede facendo una differenza positiva nel  mondo. Tutti loro hanno aspettative e interessi personali che li mettono in conflitto con quanto la religione chiede loro. L’amore, il matrimonio, l’adolescenza, l’identità, l’indottrinamento, il rapporto fra sè e struttura sociale, l’ambizione, il potere, il dolore, la natura umana… sono tutti aspetti che vengono indagati.  Non è tutto bene, come non è tutto male. Una serie notevole, che a dispetto di un tono in fondo quasi sommesso, scava con molta forza e acquista vigore con il procedere delle puntate.  


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