mercoledì 4 aprile 2018

FOR THE PEOPLE: nulla di nuovo


La Corte Madre, ovvero la Corte Distrettuale Federale del distretto sud di New York, è il tribunale americano più importante insieme ala Corte Suprema: questo viene detto ai giovani avvocati che, per l’accusa e per la difesa, si prestano a fare giuramento in For the People, la serie della ABC ideata da Paul William Davies e prodotta da Shondaland (Grey’s Anatomy, Scandal, Le Regole del Delitto Perfetto) - e il marchio di fabbrica si vede.

Fra i difensori pubblici ci sono l’idealista Sandra (Britt Robertson, Life Unexpected, The Secret Circle, Girlboss); la sua migliore amica Allison (Jasmin Savoy Brown, The Leftovers); e Jay (Wesam Keesh), che viene da una famiglia di immigrati e aiuta occasionalmente i suoi nella tintoria di famiglia. Come pubblici ministeri, i loro avversari sono Kate (Susannah Flood), che ricorda una versione non umoristica di Paris Gellar in Gilmore Girls, iper-organizzata che dichiara di non aver dormito più di quattro ore per notte dalle elementari e di aver sempre pensato che in paragone a lei i suoi insegnanti fossero dei pigri; Seth (Ben Rappaport) che ha una storia d’amore con  Allison; e Leonard (Regé-Jean Page), figlio di una senatrice.

Tutti loro sono ambiziosi e determinati, fortemente focalizzati sulla carriera in un mondo dove non c‘è posto per i perdenti – la serie stessa trasmette quel genere di ansia. Cercano di essere degni del prestigioso impiego che ricoprono, e sentono fortemente la pressione nello svolgerlo, desiderosi anche di provarsi agli occhi dei loro capi e mentori, che non lesinano loro lezioni di vita: Jill Carlan (Hope Davis, Wayward Pines), per i difensori d’ufficio, che ha la passione per le metafore sul baseball; Roger Gunn (Ben Shenkman), dell’ufficio del procuratore, che non è un fan dell’umiltà nei suoi sottoposti e nella vita privata è amico di Jill; e Tina Krissman (Anna Devere Smith), rigorosa cancelliera. L’aspirazione per questi giovani è anche quella di fare la differenza e mettere la propria impronta sul mondo. E alle vite personali di mescolano brandelli di vite personali.

Dei casi, risolti nell’arco della singola puntata, autoconclusiva con rispetto ad essi, vengono enucleati gli elementi essenziali, e con velocità. Affrontano questioni spinose (terrorismo, traffico di esseri umani…) e lo fanno anche con delle soluzioni eleganti (penso alla difesa di un giovane nazista in 1.02). Si è lineari, puliti, essenziali, anche negli scambi umani. Con la sola eccezione forse di Jay, un po’ più caratterizzato, i personaggi in partenza sono sagome. Si è emozionalmente piatti, nella foga di raggiungere le tappe con cui le storie vengono snocciolate. Non si sfigura, ma non c’è nemmeno grande impatto. In grande misura, nulla di nuovo sotto il sole.       

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