Niente sophomore slump per The Bold Type, niente calo creativo nella seconda stagione insomma:
la serie si conferma una positiva, femminista, incoraggiante serie di e per
giovani donne che parla di amicizia, lavoro, amore e vita in generale. Ancora
una volta si è espliciti nella diegesi nel definire, con un valore metatestuale,
il proprio intento programmatico: essere di ispirazione offrendo materiali a
cui le ragazze possano relazionarsi (2.01) affrontando temi rilevanti per le
loro vite.
All’esordio, parlando
del rapporto che lega i millennials a
internet, commentano che “Non si tratta della storia, si tratta della
conversazione a cui dà inizio”. Gli exempla pedagogici in cui si ritrovano le
tre protagoniste sono proprio questo, conversation-starters,
come si direbbe in inglese, occasioni per dare il là all’affrontare tematiche
importanti.
Come va gestito il
rapporto fra lavoro e amore? Come vanno calibrati? Che cos’è l’intimità e che
cosa la esalta o la ostacola? Come va usata la propria sessualità? Che valore
ha la reputazione di una persona? Se ne è parlato molto con Sutton (Meghann
Fahy) e Richard (Sam Page), con lei che lo lascia perché teme che sul lavoro
credano che avanzi non per talento e merito, ma perché va a letto con lui, con
Adena (Nikohl Boosheri) la cui produzione artistica è messa in pausa dalla
relazione con Kat (Aisha Dee). Che valore ha la propria identità razziale? Kat
è bi-razziale e non si sente di definirsi nera, quando la spingono a farlo
nello scrivere la propria bio per il sito web. Perché non vogliamo
etichettarci? Perché farlo? Perché non farlo? Che senso ha reclamare una
propria identità? Che importanza ha valorizzare la diversità? Sei a favorevole
finché non intralcia i tuoi interessi, è l’accusa che rivolge Kat (2.05) a Jane
(Katie Stevens), demoralizzata dal fatto di non aver avuto un lavoro che voleva perché cercavano una voce
che non fosse di una donna bianca. Si riflette sui privilegi (di disponibilità
economica e di colore della pelle) quando Kat vuole dare una possibilità a una esordiente
ideale per la sua piattaforma digitale, ma che non ha il titolo per accedere
ala posizione lavorativa. Si insiste sulla responsabilità che hanno le donne
nei confronti della altre donne, che sia appunto nel creare occasioni di
carriera le une per la altre o nel parlare contro le aggressioni sessuali per
evitare che ci siano future vittime (2.06). Si affronta il modo in cui le
notizie debbano essere presentate, senza sensazionalizzazioni, evitando di
distruggersi a vicenda, incoraggiando i commenti e l’ingaggio personale (2.02).
E poi ragazze che non
vanno a scuola perché non hanno gli assorbenti (2.01); rapporto con Dio e la
religione (2.04); uso e porto d’armi (2.07
- in una delle poche puntate che non mi hanno convinto, perché pur essendo
io ideologicamente in linea con il punto
di vista che hanno fatto prevalere, non è stata ben argomentata e non si è
saputo riconoscere il valore dell’uso delle armi come sport lì dove Sutton era
una appassionata di tiro al piattello, equiparandolo in modo pedestre a un
qualunque altro uso delle armi da fuoco); body-positivity,
ovvero l’importanza di trasmettere modelli di fisicità sani e veri; maternità
da giovani…
Se sembra che la serie
sia un grande predicozzo la carenza è mia, perché la narrazione incarna queste
tematiche nelle tre giovani donne in modo mai forzato, con vicende spumeggianti
e attraenti, briose e piene d’affetto. Sarebbe il tipo di serie che se avessi
una figlia, la incoraggerei a guardare. Si è caramellosi, ma non stucchevoli, e
si lavora, ma ci si sa svagare.
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