giovedì 3 dicembre 2020

LOVECRAFT COUNTRY: il vero orrore è il razzismo

 


La poetica che fonda Lovecraft Country (HBO, Sky Atlantic), tratto dall’omonimo romanzo di Matt Ruff, è piuttosto esplicita: creare una serie a tinte horror con mostri, magia e antichi culti per mostrare che il vero orrore non sta lì, ma nella vita quotidiana per i neri che devono vivere il pervasivo razzismo sistemico. Siamo negli Stati Uniti degli anni ’50, ma il Country, il Paese in questione, è qualunque presenti quella realtà e di qualunque epoca. Lovecraft è in riferimento allo scrittore americano Howard Phillip Lovecraft (1890 – 1937) che è uno dei padri fondatori di questo genere di letteratura – e se ne recuperano in TV temi ed estetica – ed era dichiaratamente razzista. Come scrivono su Slate: “Il romanziere nero N.K. Jemisin ha sostenuto in modo convincente che il razzismo di Lovecraft è al centro dell'orrore che intendeva trasmettere nella sua opera: un terrore cosmico ed esistenziale unito a un profondo disgusto fisico”.

Sottotitolato “La Terra dei Demoni” in italiano, e ideato da Misha Green, la serie di HBO ha come protagonista Atticus detto “Tic” Freeman (Jonathan Majors), un veterano della guerra in Corea che, di ritorno a Chicago, legge una lettera del padre scomparso, Montrose (Michael K. Williams) che lo invita a scoprire un misteriosa eredità di famiglia nel Massachussetts. Si mette così in viaggio nell’America dell’epoca della segregazione.  Con lui va suo zio George (Courtney B. Vance), che scrive una guida stile-Green Book (qui una buona spiegazione di che cosa fosse, nel caso) e che è sposato con Hippolyta (Aunjanue Ellis), che ha passione per l’astronomia e da cui ha una figlia, Diana (Jada Harris). Insieme a loro va anche l’amica Letitia “Leti” Lewis, abile fotografa che ha un contrastato rapporto con la sorellastra maggiore, Ruby (Wunmi Mosaku). Sulla via incontrano orrori soprannaturali e fin troppo umani e presto si imbattono nella Loggia di Ardham, progettata da Titus Braithwhite, schiavista di cui Atticus sarebbe un discendente e fondatore di una società segreta dedita all’occulto chiamata i Figli di Adamo, ora reclamata dalla figlia di lui, Christina (Abbey Lee). Nel corso delle vicende, Atticus ritrova anche una giovane aspirante infermiera che aveva conosciuto in Corea, Ji-Ah (Jamie Chung), che è più di quello che sembra.

Alcune atmosfere – specie quelle legate alla Loggia di Ardham - ricordano Watchmen, che ne condivide le tematiche razziali. Quest’ultimo lo valuto come intellettualmente, narrativamente ed esteticamente più ambizioso e riuscito, anche se più astruso. Qui la trama è solida e avvincente e fra orribili creature che divorano gli umani, scheletri che si rianimano, resurrezioni, pozioni trasfiguranti, rituali magici, case infestate e spiriti demoniaci, esperimenti e viaggi nel tempo e nello spazio, l’aspetto più propriamente ludico è assicurato, ed è una visione molto easy. Ma il piano metaforico e allegorico, o anche quello più propriamente reale – penso anche solo al pilot dove lo sceriffo locale dopo il tramonto ha il diritto di linciare chiunque trovi e i protagonisti sono costretti a una rocambolesca fuga in macchina - sono quelli più pregni di significato e non sono mancate vette notevoli.

Qui ci si affida a molti aspetti iconici dell’horror, di cui conosce bene il canone, ma per l’autrice nulla è sacro, tutto è opzionale, e fa di questa libertà la sua forza. Si vuole comprendere il passato, ma per andare al futuro. La serie è al contempo anche un family drama che mostra dolore e ingiustizia e che cosa significa doversi battere per la liberà. Ed è una storia on the road. La Green, apprezzata per Undergroud, che considera una serie “sorella” (cfr. TV Top 5, del 14 agosto 2020), e che ha scritto anche per Heroes, ha dichiarato che nella sua formazione, e quindi nell’intendere i propri programmi, molto ha influito Battlestar Galactica. Puntate come la season finale poi hanno un gusto molto alla Buffy per me.

Non vedo, come ha sostenuto il New York Times, nel ben scritto e ben argomentato articolo firmato da Maya Phillips, che nel cercare di capovolgere gli stereotipi razziali, sessuali e di genere abbia finito per rinforzarli lanciando messaggi offensivi e privi di gusto in modo gratuito, facendo riferimenti a vere persone della storia nera solo in modo “ornamentale”, come riferimento, senza che abbiano una pregnanza tale da rendere onore a quelle sofferenze e ferite personali e generazionali. Colgo l’osservazione, ma mi pare un peccato veniale, così come è vero che si trattano temi come l’essere gay o trans volendone esplorare l’umanità e i traumi, ma non vedo che si faccia conflagrare l’essere queer con l’essere i cattivi della situazione, semmai si mostra come chi è marginalizzato dall’essere nero non si accorge, nonostante quello che vive, che chi è demonizzato per altre caratteristiche fa esperienza di una situazione similare. Rigetto in toto le accuse di colorismo per il fatto che la più chiara Leti sarebbe più centrale rispetto alla sorella dalla pelle più scura.     

Un aspetto che ho apprezzato molto sono gli effetti speciali, che di solito non mi interessano granché. In particolare le trasformazioni di Ruby che attraverso una pozione diventa una donna bianca e poi torna nera, sono state estremamente viscerali e soddisfacenti, ogni volta che sono state mostrate, sia nell’aspetto visuale che metaforico.

Non tutte le puntate sono ugualmente riuscite, ma si riesce nel delicato compito di rendere godibilmente leggere tematiche molto toste e sgradevoli. 

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