La poetica che fonda Lovecraft Country (HBO, Sky Atlantic), tratto dall’omonimo
romanzo di Matt Ruff, è piuttosto esplicita: creare una serie a tinte horror con
mostri, magia e antichi culti per mostrare che il vero orrore non sta lì, ma nella
vita quotidiana per i neri che devono vivere il pervasivo razzismo sistemico.
Siamo negli Stati Uniti degli anni ’50, ma il Country, il Paese in questione, è qualunque presenti quella realtà e
di qualunque epoca. Lovecraft è in
riferimento allo scrittore americano Howard Phillip Lovecraft (1890 – 1937) che
è uno dei padri fondatori di questo genere di letteratura – e se ne recuperano
in TV temi ed estetica – ed era dichiaratamente razzista. Come scrivono su
Slate: “Il romanziere nero N.K. Jemisin ha sostenuto in modo convincente
che il razzismo di Lovecraft è al centro dell'orrore che intendeva trasmettere
nella sua opera: un terrore cosmico ed esistenziale unito a un profondo disgusto
fisico”.
Sottotitolato “La Terra
dei Demoni” in italiano, e ideato da Misha Green, la serie di HBO ha come
protagonista Atticus detto “Tic” Freeman (Jonathan Majors), un veterano della
guerra in Corea che, di ritorno a Chicago, legge una lettera del padre
scomparso, Montrose (Michael K. Williams) che lo invita a scoprire un
misteriosa eredità di famiglia nel Massachussetts. Si mette così in viaggio
nell’America dell’epoca della segregazione.
Con lui va suo zio George (Courtney B. Vance), che scrive una guida
stile-Green Book (qui
una buona spiegazione di che cosa fosse, nel caso) e che è sposato con
Hippolyta (Aunjanue Ellis), che ha passione per l’astronomia e da cui ha una
figlia, Diana (Jada Harris). Insieme a loro va anche l’amica Letitia “Leti”
Lewis, abile fotografa che ha un contrastato rapporto con la sorellastra
maggiore, Ruby (Wunmi Mosaku). Sulla via incontrano orrori soprannaturali e fin
troppo umani e presto si imbattono nella Loggia di Ardham, progettata da Titus
Braithwhite, schiavista di cui Atticus sarebbe un discendente e fondatore di
una società segreta dedita all’occulto chiamata i Figli di Adamo, ora reclamata
dalla figlia di lui, Christina (Abbey Lee). Nel corso delle vicende, Atticus
ritrova anche una giovane aspirante infermiera che aveva conosciuto in Corea,
Ji-Ah (Jamie Chung), che è più di quello che sembra.
Alcune atmosfere –
specie quelle legate alla Loggia di Ardham - ricordano Watchmen, che ne condivide le tematiche razziali. Quest’ultimo lo
valuto come intellettualmente, narrativamente ed esteticamente più ambizioso e
riuscito, anche se più astruso. Qui la trama è solida e avvincente e fra
orribili creature che divorano gli umani, scheletri che si rianimano,
resurrezioni, pozioni trasfiguranti, rituali magici, case infestate e spiriti
demoniaci, esperimenti e viaggi nel tempo e nello spazio, l’aspetto più
propriamente ludico è assicurato, ed è una visione molto easy. Ma il piano metaforico e allegorico, o anche quello più
propriamente reale – penso anche solo al pilot dove lo sceriffo locale dopo il
tramonto ha il diritto di linciare chiunque trovi e i protagonisti sono
costretti a una rocambolesca fuga in macchina - sono quelli più pregni di significato
e non sono mancate vette notevoli.
Qui ci si affida a molti
aspetti iconici dell’horror, di cui conosce bene il canone, ma per l’autrice
nulla è sacro, tutto è opzionale, e fa di questa libertà la sua forza. Si vuole
comprendere il passato, ma per andare al futuro. La serie è al contempo anche un
family drama che mostra dolore e
ingiustizia e che cosa significa doversi battere per la liberà. Ed è una
storia on the road. La Green,
apprezzata per Undergroud, che
considera una serie “sorella” (cfr. TV
Top 5, del 14 agosto 2020), e che ha scritto anche per Heroes, ha dichiarato che nella sua
formazione, e quindi nell’intendere i propri programmi, molto ha influito Battlestar Galactica. Puntate come la season finale poi hanno un gusto molto
alla Buffy per me.
Non vedo, come ha
sostenuto il New York Times, nel ben
scritto e ben argomentato articolo
firmato da Maya Phillips, che nel cercare di capovolgere gli stereotipi
razziali, sessuali e di genere abbia finito per rinforzarli lanciando messaggi
offensivi e privi di gusto in modo gratuito, facendo riferimenti a vere persone
della storia nera solo in modo “ornamentale”, come riferimento, senza che
abbiano una pregnanza tale da rendere onore a quelle sofferenze e ferite
personali e generazionali. Colgo l’osservazione, ma mi pare un peccato veniale,
così come è vero che si trattano temi come l’essere gay o trans volendone
esplorare l’umanità e i traumi, ma non vedo che si faccia conflagrare l’essere queer con l’essere i cattivi della
situazione, semmai si mostra come chi è marginalizzato dall’essere nero non si
accorge, nonostante quello che vive, che chi è demonizzato per altre
caratteristiche fa esperienza di una situazione similare. Rigetto in toto le
accuse di colorismo per il fatto che la più chiara Leti sarebbe più centrale
rispetto alla sorella dalla pelle più scura.
Un aspetto che ho
apprezzato molto sono gli effetti speciali, che di solito non mi interessano
granché. In particolare le trasformazioni di Ruby che attraverso una pozione diventa
una donna bianca e poi torna nera, sono state estremamente viscerali e soddisfacenti,
ogni volta che sono state mostrate, sia nell’aspetto visuale che metaforico.
Non tutte le puntate sono ugualmente riuscite, ma si riesce nel delicato compito di rendere godibilmente leggere tematiche molto toste e sgradevoli.
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