venerdì 14 maggio 2021

I HATE SUZIE: sfrontata, emozionale, dolorosa, spiritosa

Shock (1.01), Negazione (1.02), Paura (1.03), Vergogna (1.04), Negoziazione (1.05), Colpa (1.06), Rabbia (1.07), Accettazione (1.08): attraverso queste otto fasi, rielaborazione delle ben note cinque fasi del lutto, e titoli delle puntate corrispettive, si snoda la notevole I Hate Suzie (Sky Atlantic).

Suzie Pickles (Billie Piper, Secret Diary of a Call Girl – Diario di una squillo perbene) è un’attrice che è una celebrità fin da bambina. Sta per firmare un pingue contratto con la Disney quando qualcuno sottrae dal suo telefonino e diffonde in rete delle foto pornografiche che la ritraggono mentre pratica la fellatio a un uomo che non è il marito Cob (Daniel Ings), ma come presto si viene a scoprire lo showrunner del programma in cui lei lavora, Carter (Nathaniel Martello-White). Questo manda all’aria tutto il suo mondo e deve capire come affrontare e superare l’accaduto, sia sul fronte familiare, dove ha anche un bambino sordo, Frank (Matthew Jordan Caws), che su quello professionale. Ad aiutarla e sostenerla c’è la sua amica e agente Naomi (Leila Farzad), lei stessa in crisi, anche perché vorrebbe un figlio ma il suo orologio biologico dice che il suo tempo per questo sta per scadere.

Billie Piper, che ha co-ideato la serie insieme all’amica Lucy Prebble che ha scritto tutte le puntate, riservandosi il ruolo di protagonista ha co-costruito un mezzo ideale per veicolare la sua indubbia bravura: vulnerabile, esposta improvvisamente al mondo anche nei propri aspetti più intimi, è una girandola di emozioni, e riesce a trasmetterle con potenza, meditando su temi come l’essere donna, l’amicizia, l’amore, la cultura della celebrità, la libertà morale della persona qui violata dalla diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite, la rappresentazione visuale dell’amore fisico, le decisioni di vita, il desiderio, la felicità... E anche stilisticamente, la narrazione è intensa e coinvolgente in un istante, apparentemente fuori fuoco e controllo il momento successivo, un po’ come la protagonista che è crollata a pezzi e cerca di trovare un nuovo equilibrio.

Una puntata che ha particolarmente colpito nel segno è stata “Shame” (1.04) in cui Suzie deve gestire la stampa: come si sente e come è accettabile far vedere che si sente? Non è sicura. Dovrebbe fingere di vergognarsene e mostrare di sentirsi una sgualdrina o fiera di essere libera di fare quello che le pare? I passaggi dell’intervista, che la vedono ora rispondere in una direzione ora nell’altra a seconda della percepita reazione dall’altra parte, sono emblematici di queste opposte tensioni. Il resto della puntata è per la gran parte lei che si masturba, prima usando la mano, poi un vibratore. Per fortuna, sempre di più si vede le donne farlo sullo schermo, e non solo per titillare le fantasie degli uomini eterosessuali o ai fini umoristici (e si legga questo articolo già del 2015 sull’importanza che questo avvenga). Qui l’aspetto insolito e prorompente è che, mentre lo fa, passa da fantasia a fantasia, senza riuscire a trovare quella giusta. Nella sua mente compare Naomi che la critica e la spinge a interrogarsi su che cosa sia realmente il suo desiderio e che cosa invece siano idee maschili perpetrate nei secoli. Se il fatto che l’amica le appaia mentalmente come modo per ragionare sui propri desideri è umoristico, il contenuto della riflessione sulla politica del desiderio non potrebbe essere più serio, o più rilevante per una donna contemporanea che cerca di riscrivere il proprio ruolo nel mondo scardinando tabù e concezioni che nel tempo non le sono stati favorevoli. Su questo tema in parte si torna.

Una componente della forza del programma sta nell’essere presente nello Zeitgeist di questo momento storico, consapevole delle tensioni multiple che la singola persona vive e su cui si interroga. In “Bargaining” (1.05) Naomi esce con un uomo che si macchia di mansplaining nella forma più smaccata, ed è evidente che lei non apprezza, ma alla fine sono altri gli impulsi che la guidano nel relazionarsi a lui. Alla stessa maniera ci si pone nei confronti dell’amore, e dell’amicizia, osservando l’importanza della capacità delle donne di esserci per le altre donne. E ovunque è casa se è un luogo dove ci si sente al sicuro, e protetti e sostenuti: questa è la convinzione di base.

Con il fatto che la protagonista è un’attrice, e la si vede recitare, si mostrano gli scarti fra realtà e sua rappresentazione. In “Fear” (1.03) si mettono a confronto la paura che si vive alla paura che lei come attrice deve mostrare di avere nell’horror che sta girando. E ci si concede dei momenti in cui ci sono apparenti variazioni di registro che rivelano l’intimo animo della protagonista. Alla fine del pilot, ad esempio, stravolta, Suzie balla e canta per la strada in un soliloquio in cui sfoga tutte la furia delle sue emozioni negative.

Scrive bene Allison Shoemaker quando scrive che la serie verrà inevitabilmente paragonata a Fleabag perché in entrambi i casi al centro c’è una donna che fa infuriare le persone che la amano, se stesse incluse, sono particolarmente franche su  argomenti come sesso e il dolore emozionale, non mostrano trepidazione nel chiedere al pubblico di empatizzare con loro e la loro furia, e usano i trucchi narrativi e di genere necessari a raccontare la storia, così condivido quando osserva che è una storia sulle conseguenze delle proprie azioni in un mondo che non accetta una via di mezzo fa “essere una principessa” (il ruolo professionale che la Disney aveva offerto a Suzie) ed essere la strega cattiva. La serie vive in quell’area intermedia, brutale e senza compromessi: è una posizione estenuante, ma intenzionale: “con essa arriva l'onestà, la bruttezza, l'empatia, l'ambizione, e alcune battute molto divertenti, spesso sporche”.

È una storia sfrontata ed emozionale, ricca di contraddizioni, dolorosa e spiritosa.  

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