Non mi aspettavo che
Patriot fosse così divertente. E in questo momento non avrei scoperto questa
piccola gemma che ha debuttato nel 2015 (e disponibile su Amazon Prime), se non
fosse stata scelta per il club della TV di Tim Goodman, a cui partecipo.
Su incarico del padre Tom
(Terry O’Quinn, Lost), John Tavner (Michael Dorman), deve portare una somma di denaro in Iran
per avvantaggiare la vittoria di un politico che impedisca la proliferazione di
armi nucleari. Il compito in teoria è semplice, ma molte cose vanno storte. John,
per svolgere il suo ruolo come funzionario di intelligence, si fa assumere in
un impego di copertura, quello di ingegnere dipendente di un’impresa di
tubazioni industriali di Milwakee, che per lavoro gli permette di andare in
Lussemburgo, dove si svolge molta dell’azione. Da tutti è conosciuto come John
Lakeman. Compone canzoni folk come valvola di sfogo raccontando quello che gli
accade. Questo eroe controvoglia detesta il suo lavoro ed è progressivamente
sempre più depresso, ma si piega ai desideri del padre. Ad aiutarlo dove
necessario c’è il fratello Edward (Michael Chernus), mentre la moglie Alice
(Kathleen Munroe) è all’oscuro di tutto. Sul luogo di lavoro, la McMillan, che
molto tiene allo spirito aziendale, è costretto ad avvalersi di un collega,
Dennis (Chris Conrad) che gli diventa amico, ma non brillando in quello che è
chiamato a fare, distratto da i suoi altri compiti, si attira l’aperta ostilità
del suo superiore Leslie (Kurtwood Smith, That 70s Show), che ripetutamente
cerca di venirgli incontro. Alle calcagna di John, coinvolto in un omicidio,
c’è la detective Agathe (Aliette Opheim) della polizia di Lussemburgo.
Patriot è ricco di azione.
È evidente che la narrazione è progettata meticolosamente, così come è chiaro
da subito quello che viene esplicitato in seguito: quello che stanno facendo a
livello narrativo ha a che fare con la dinamica di flusso, quello di cui si
occupa l’azienda per cui lavora John, ovvero spostare qualcosa da A a B e
affrontare gli elementi (attrito, gravità e altri, in campo ingegneristico) che
ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo. Forma e contenuto insomma
coincidono, e in maniera geniale, anche perché in questa creazione di Steven
Conrad una gran parte dell’umorismo nasce proprio da questi stessi ostacoli, che
sottolineano la frustrazione del protagonista e lo umanizzano. Come ha ben
osservato Steven Rubio, uno dei partecipanti al club della TV menzionato sopra,
“il personaggio di base di John è impostato come il tipico eroe maschile, ma a
John non viene mai permesso di esserlo. Sarebbe più adatto a un film
esistenzialista francese degli anni Cinquanta” (qui).
Molto ha a che vedere con
le obbligazioni familiari. Si riflette su quanto non sia facile liberarsene
anche quando lo si desidera. La pressione di Tom sul figlio è atroce – e la
sigla di apertura con i video dei due fratelli costretti a competere fin da
piccoli reitera ad ogni episodio il terreno su cui il rapporto padre-figlio è
costruito. John pur magari vedendo possibili alternative di vita che potrebbe
prendere che lo renderebbero felice, non riesce a prenderle.
La primissima cosa che mi
ha colpito già nel pilot è stata l’evento brutale di John che spinge sotto un
camion il rivale Tchoo (Marcus Toji) per il posto di lavoro che deve
assolutamente avere – quest’ultimo si riprende, ma ha grandi problemi
cognitivi, tanto che deve essere assistito da una terapeuta occupazionale, Ally
(Charlotte Arnold), cosa che dalla serie è usata sia in declinazione umoristica
che di possibile minaccia per John nel caso in cui questo sventurato ricordasse
la dinamica del suo incidente. La mia mente ha avuto un flash su Mr Robot, dove
pure accade qualcosa di similare, mutandis mutandis – anche se poi Mr Robot ci
ha dato nel tempo una spiegazione molto diversa. Anche se la serie a cui ho
ripensato di più, è stata Barry, che è evidentemente in debito nei confronti di
Patriot: c’è lo stesso senso di essere costretti a compiere atti violenti e
crudeli che sono visti come un modo di andare contro la propria natura pacifica
e come un modo di rendersi infelici. Non sono una grande amante della brutalità
e della violenza coniugate all’umorismo, ma in Patriot funziona proprio bene. E
me lo sono goduto in tanti piccoli dettagli. È sempre sull’orlo della parodia,
ma non arriva mai ad esserlo. Le canzoni folk sono brillanti, perché non fanno
che dichiarare in modo molto diretto, quasi banale, quello che è successo, e
ridiamo perché lo abbiamo visto, ma allo stesso tempo ci fa riflettere su una
modalità di costruzione di quel genere di canzoni, e su come probabilmente
siamo soliti leggere significati metaforici anche lì dove magari non ci sono.
Non so se ho mai visto una tale sicurezza nell’equilibro fra dark e funny.
La connessione
perfetto-imperfetto è un tema portante del programma: quello a cui miriamo
e il modo in cui viene realizzato. La vita di John è costruita su menzogna e
manipolazione, e assistiamo a numerose lezioni in questa direzione. In modo
paradossale proprio attraverso questi comportamenti che allontanano il
protagonista dalla serenità personale si riflette su come il contatto umano ci salvi e l’importanza di concedersi di essere quello che si è a dispetto di
quello che appariamo. Questo, che è il grande messaggio positivo della serie in
generale, viene comunicato anche in positivo. Anche le interazioni con i
personaggi minori (Icabod, Numi, Mahtma, Jack Birdbath, Lawrence) hanno un
ruolo essenziale.
Questo è il ritratto di un
uomo triste, descritto con empatia e con molto humor.
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