sabato 9 agosto 2025

ĖTOILE: il ritorno al balletto dei Palladino

Non è la prima volta che Amy Sherman-Palladino e Daniel Palladino scrivono una serie ambientata nel mondo del balletto: rispetto alla loro nuova produzione, Ėtoile (Prime), Bunheads si avvicinava di più allo spirito di quel Gilmore Girls che li aveva resi famosi ed era di fatto più convincente sebbene qui il livello della danza effettiva sia incomparabilmente migliore. Il tono è incostante, per lo più umoristico ma, soprattutto inizialmente l’effetto è più cringe che esilarante, nonostante qualche battuta o scena davvero ben riuscita. Non sorprende né rammarica che la serie sia stata cancellata dopo una sola stagione di 8 episodi, nonostante ne fossero in partenza già ordinate due.

Il direttore artistico del Metropolitan Ballet Theater di New York, Jack McMillan (Luke Kirby, La Fantastica Signora Maisel) e la direttrice ad interim del Ballet National di Parigi, Geneviève Lavigne (Charlotte Gainsbourg), per risollevare le magre sorti delle loro compagnie di balletto decidono di scambiarsi i talenti di punta.

Negli Stati Uniti arriva Cheyenne Toussaint (Lou de Laâge), star di prima grandezza tanto apprezzata quanto ruvida, che viene strappata da una protesta ecologista in mare  - in scene che posso valutare come autenticamente pietose, posticce e poco credibili. Rifiuta di essere accoppiata sul palco con chiunque  ̶  e come elimina di proposti partner in 1.02 è a contrario stato un primo vero segnale della vis comica che si voleva infondere. Accetta solo Gael Rodriguez (David Alvarez), con cui inizia una storia, che ha però vecchie ruggini con Jack dopo che ha mandato a monte un matrimonio con la sorella di lui. Nonostante la salute scarsissima, nella gestione del teatro rimane un vecchio ballerino Nicholas Leutwylek (David Haig), che Jack vede come un punto di riferimento, mentre è stringendo i denti che accoglie il supporto economico di Crispin Shamblee (Simon Callow), mecenate appassionato di balletto che finanzia generosamente entrambe le compagnie, ma il cui denaro ha una criticata provenienza che lascia tutti a disagio. Grazie all’intervento di Cheyenne, al Metropolitan viene accolta gratuitamente ad imparare anche la piccola SuSu Li (LaMay Zhang), figlia della donna delle pulizie, che non può permettersi la scuola, ma che si allena guardando le registrazioni delle prove in sala quando non c’è nessuno e la madre lavora.

In Francia arriva un geniale e iper-perfezionista quanto socialmente imbranato e nevrotico coreografo, Tobias Bell (Gideon Glick), che indossa perennemente cuffie con musica ad alto volume. Non senza iniziali contrasti, affida i suoi passi al talento del ballerino Gabin Roux (Ivan du Pontavice) con il quale c’è anche attrazione sentimentale. Grazie allo scambio torna a casa anche la giovane Mishi Duplessis (Taïs Vinolo), mal vista dalle altre per nepotismo, ma brava e appassionata e in contrasto con i genitori, tanto che le si trova una sistemazione presso l’eccentrica madre di Cheyenne, Bruna (Marie Berto). A fare le veci di Geneviève in sua assenza è Raphaël Marchand (Yanic Truesdale, Gilmore Girls), ma fra lei e Jack c’è un intenso rapporto, a momenti di rivalità, a momenti di collaborazione, che va oltre il mero piano professionale.

Ispirata in parte ai documentari sul balletto di Frederick Wiseman e girata a New York e Parigi, con parti del dialogo in inglese e parti in francese, Ėtoile mostra personaggi fortemente carismatici e incredibilmente bizzarri, forse proprio come sembra essere l’autrice, al limite della credibilità. Cheyenne e Tobias qui la fanno da padroni in questo senso e sulla prima in particolare, iperaggressiva ed assertiva, poggia il carico umoristico, con risultati altalenanti, perché si ha la sensazione di andare effettivamente troppo in là. Il secondo fatica a diventare più di una macchietta. Magari non condivido che “Étoile" sia uno spettacolo estenuante incentrato su una serie di persone insopportabili e ossessionate dal sentirsi parlare”, come scrive Variety, ma dialoghi o in questo caso spesso monologhi ad alta velocità sono una caratteristica della Palladino che non manca nemmeno qui e i personaggi di punta sono anche fortemente arroganti e questo in qualche modo viene sopportato di fronte alla declamata unicità e genialità di personaggi che finiscono per essere anche respingenti, finché non si intravede qualche sprazzo di umanità.

Le coreografie sono autenticamente mozzafiato e non è un caso che la serie abbia ricevuto una nomination agli Emmy per questo, oltre che per il casting. Si vede l’amore per questa disciplina e il rammarico della crisi del settore, in bilico fra l’ideale di proporre arte e la necessità pragmatica di guadagnare nel farla. Poca satira, inesistente indagine sugli schemi potenzialmente pericolosi quando non abusanti che possono crearsi nel mondo della danza classica, niente metafore della vita alla Flesh and Bone, ma una commedia leggera e molte bizzarrie.