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venerdì 9 agosto 2024

LA REGINA CARLOTTA: uno spin-off di Bridgerton

La regina Carlotta (Netflix), la serie che ha debuttato il 4 maggio 2023, con molta consapevolezza adotta il sottotitolo Una storia di Bridgerton. La ragione non è solamente che è, appunto, uno spin-off di Bridgerton, ma che sebbene sia ispirata infatti alle vicende della Regina consorte del re del Regno Unito, Carlotta di Meclemburgo-Strelitz, non è storia vera, è una rilettura rosa che si prende molte licenze poetiche.

La più significativa di tutte è che molti studiosi ritengono fondatamente che la regnante avesse un'eredità culturale mista e fosse nera, ma questo è stato spesso insabbiato. La serie, che non a caso è stata ideata e prodotta da Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy), si è invece chiesta che cosa sarebbe successo se la società avesse accolto queste differenze invece di ignorarle e negarle e avesse elevato le persone nere (o di colore in senso più ampio) a posizioni e ranghi di rilievo. Nelle vicende ci si riferisce a questo come al “grande esperimento”, che non è avvenuto nella realtà, ma nella fantasia degli autori che reimmaginano come sarebbe potuto essere il mondo se fosse stata fatta una scelta simile. Urge domandarsi che tipo di valore epistemologico abbia un simile esperimento, in questo caso non sociale ma narrativo, se ne abbia uno al di là della mera soddisfazione di un mondo più equo almeno nella fantasia e dell’aprire la mente ad immaginarlo come possibile.

Queen Charlotte si muove fra due assi temporali: uno nel 1817, il presente di Bridgerton (si è debuttato fra la seconda e la terza stagione di questa), in cui la regina (Golda Rosheuvel) fa pressione sui suoi numerosi figli perché si decidano a fornirle un/a erede al trono – nella realtà, solo il quarto è stato in grado di produrne uno, quella che poi sarebbe diventata la regina Vittoria, quando lei era ormai scomparsa; uno nel 1761, che ci fa scoprire la backstory di Carlotta, quando giovanissima (una perfetta India Amarteifio) viene data in sposa dal fratello Adolfo (Tunji Kasim), a un uomo che non conosce nemmeno, re Giorgio III (Corey Mylchreest, e se nel suo scarnissimo curriculum ha interpretato Adone in The Sandman è perché brutto non è, mettiamola così), conosciuto dalla storia come il “re pazzo”.  

Le vicende, che portano tutte la regia di Tom Verica (che per me sarà sempre il papà nella rimpianta serie American Dreams), si concentra sullo spaesamento delle nuova venuta e sul matrimonio con il re che mal vive la pressione del suo ruolo. Vorrebbe poter essere “solo Giorgio”, dedicarsi alla scienza, all’astronomia e all’agricoltura e non agli impegni imperiali che gravano su di lui, anche perché periodicamente ha episodi psicotici. Ufficialmente si dice che soffrisse di porfiria, ma oggidì si sono avanzate altre ipotesi (avvelenamento da arsenico, disturbo bipolare, problemi psichiatrici di altra natura). Sebbene nella sue fasi buone il consorte fosse amabile e affascinante, il pubblico empatizza subito con la neo-arrivata che si ritrova a dover far fronte a comportamenti inspiegabili che la lasciano profondamente triste e sola, anche perché per questi non vi è alcuna spiegazione. Quando la spiegazione arriva (dedicando una puntata a “riempire i vuoti” che c’erano dall’aver visto la sola prospettiva di lei al comportamento di lui, mostrando così l’immagine completa) si soffre con il paziente che si fa sottoporre a letterali torture da un medico sadico che promette di guarirlo, pur di star meglio, e si ha nuovo rispetto per Carlotta che gli sta vicino e fornisce il balsamo migliore con il suo amore. E se la “malattia mentale” è tabù e si brancola nel buio ora, immaginarsi fra ‘700 e ‘800.

Personalmente non ho mai avuto in particolare simpatica il personaggio della regina, troppo capricciosa e distante per i miei gusti, né al di là di questo aspetto in fondo irrilevante l’ho mai trovata degna di un secondo sguardo. Eppure, questo approfondimento l’ha davvero umanizzata e resa vulnerabile e amabile: una donna risoluta, forte, ma mossa da cervello e cuore al posto giusto, si direbbe. E allo stesso tempo si è dato ampio e gradito rilievo ad altri personaggi: la dinamica, frizzante Lady Agatha Danbury (Adjoa Andoh), che diventa presto la migliore amica della regina, ma che era inizialmente (Arsema Thomas) incastrata in un matrimonio con un uomo molto più vecchio di lei e alla sua morte si era innamorata niente meno che del padre della giovanissima Violet (Connie Jenkins-Greig), che ora conosciamo come la viscontessa madre di tutti i Bridgerton (Ruth Gemmell) e assistiamo a come è nata quella amicizia e le vediamo ora vedove confidarsi sul proprio “giardino” (il luogo principe del piacere sessuale insomma), sulla solitudine e le relazioni; e, grande sorpresa, scopriamo un giovane Brimsley (Sam Clemmett), segretario e valletto personale della regina, sempre pochi passi dietro a lei: siamo abituati a vederlo ritto accanto a lei (Hugh Sachs) ormai anziano, ma è magnifico infilarsi nei ricordi che lo vedono avere una romantica storia con Reynolds (Freddie Dennis), segretario e valletto del re, e scoprire quello che i due hanno fatto per la coppia di cui sono fedelissimi servitori. Plot secondari molto ben calibrati. La voce di Lady Whistledown (Julie Andrews in originale, Melina Martello nella versione italiana) assicura continuità. L’ampiamento del worldbuilding dell’epoca antecedente a quella Regency in cui abbiamo conosciuto i personaggi è appagante per chi segue le vicende.

In costumi mozzafiato e gloriose ambientazioni, non mancano balli e occasioni mondane, l’attesa riflessione su protocolli e convenzioni sociali, e c’è naturalmente il classico must del genere rosa in cui lui confessa di non poter vivere senza di lei, ragione di vita, con un fluire di sentimenti e passione che non si riescono a trattenere. Però si va oltre: Carlotta acquisisce progressivamente consapevolezza della sua posizione e del suo ruolo, così come Agatha sa mantenersi in buon equilibrio facendo valere i propri interessi, ma allo stesso tempo mantenendosi fedele all’amicizia con la regnante. E non c’è l’asettico “vissero felici e contenti”, ma vissero felici nella misura in cui le circostanze della vita lo hanno consentito, che vista la malattia di lui non è stata poi così generosa. In mezzo a tanta fantasia, un nocciolo amaro che non ha reso meno apprezzabile la serie, anzi. Molti l’hanno salutata come la migliore. Non disdegnerei altre incursioni del passato dei personaggi con appositi spin-off.

lunedì 1 luglio 2024

BRIDGERTON: la terza stagione

Anche con la sua terza stagione Bridgerton si conferma una gustosa caramellina. Questa stagione mi ha convinta meno di altre rispetto alla coppia che era sotto i riflettori, Colin Bridgerton (Luke Newton) e Penelope Featherington (Nicola Coughlan), ma solo perché sono stati un po’ affrettati nel far sì che lui si rendesse conto dei suoi veri sentimenti, diversamente sono rimasta soddisfatta. E quante scene hot! Chi si sarebbe immaginato che una serie così mainstream e “di buoni sentimenti” (non siamo Game of Thrones, voglio dire) mostrasse scene a tre non con uno, ma ben due dei suoi leading men? Una era proprio con Colin con delle prostitute, e francamente non l’ho trovata particolarmente in linea con il personaggio, se non nella misura in cui lo si voleva far vedere ora smaliziato uomo di mondo. Potevano trovare un altro modo. L’altra era con Benedict (Will Tilston) e c’erano di mezzo i sentimenti e una storia vera e propria e in quel caso non mi è affatto dispiaciuta, anche perché per come era stato visto finora quel personaggio che non mostrasse attrazione anche per gli uomini mi era parso poco credibile. Audace, per quello che siamo abituati a vedere.

In primis bisogna riconoscere a Shondaland, che produce la serie, di aver saputo dimostrare con i fatti che non è poi così difficile realizzare la diversità sullo schermo se proprio lo si vuole. Inclusività e varietà basta volerle. Quand’è l’ultima volta che si sono visti tanti neri e bianchi insieme a pari merito? Evviva. E si è fatto lo stesso con la forma corporea. Non si non può notare l’ovvio. Parte del personaggio di Penelope è narrativamente condizionato dal fatto che è grassa.

Quando una giornalista ha commentato sul coraggio che la Coughlan ha avuto a mostrarsi senza veli, lei brillantemente ha risposto: "Sapete, è difficile, perché penso che le donne con il mio tipo di corpo, le donne con un seno perfetto, non si vedono abbastanza sullo schermo. Sono molto orgogliosa di far parte della comunità dei seni perfetti. Spero che vi piaccia vederli". È stata una battuta intelligente che ha creato ilarità, ma sappiamo ben tutti, anche perché in passato ha sempre riferito il fatto che le facevano bodyshaming grassofobico, che vedere una protagonista con la sua mole oggetto del desiderio romantico e sessuale maschile, al pari di chiunque altra, non è qualcosa che si veda di frequente. Ed è fantastico che ci sia.

La prima scena di sesso fra Pen e Colin (3.05) è stata davvero magnifica. Hanno mostrato lei nuda frontalmente dalla vita in su e lui totalmente nudo da dietro. Sono stati spinti, ma hanno saputo calibrare alla perfezione anche il consenso e il fatto che lei era vergine e “ingenua” – per tutte e tre le sorelle Featherington è stato reso chiaro che non se ne intendessero molto su quello che significasse andare fino in fondo, cosa giocata anche sull’ilarità, quando al “sorellastre di Cenerentola” della situazione dovevano cercare di rimanere incinte, ma era evidente che non mettessero in pratica attività consone all’ottenimento del risultato. Quindi un applauso su questo fronte.

E poi, per rimanere in tema di peso, la protagonista di questo arco non è mai stata definita solo dal suo aspetto fisico e ridotta a quello e basta. Certo, nessuno si aspettava attirasse un marito, ed è sempre stata la “carta da parati” dei balli, ignorata e sottovalutata da tutti;  anche per questo era potuta diventare la temuta scrittrice Lady Whistledown, che fa tremare l’alta società con i suoi gossip veritieri, e spesso impietosi. Penelope è sempre stata un personaggio a tutto tondo: tenera, amabile, intelligente, arguta, osservatrice, attenta, generosa, ma a tratti anche crudele. Attraverso il suo alter ego ha potuto prendersi delle rivincite, ma in primis esprimere se stessa.

Inizialmente il futuro sposo non gradiva questa sua attività, per il fatto di esserne stato ferito in passato, ma anche per invidia, come ha ammesso in seguito. Messa alle strette nello scegliere fra l’amore e la sua attività di scrittrice, che le dava potere e indipendenza, non è stata pronta a rinunciare alla seconda per il primo. Ha combattuto per mantenere questa parte della sua identità. Quando Cressida (Jessica Madsen) per un momento (3.05), mentendo, confessa di essere lei la temuta penna, Penelope se ne sente ragionevolmente usurpata. Alla fine, al centro dei riflettori di una grande festa da ballo ammette la verità e se ne prende oneri e onori (3.08).

Negli ultimi anni vari articoli hanno esaminato come il gossip abbia avuto un ruolo importante nelle relazioni sociali, per le donne in particolare, a cui non era permesso molto altro, e come sia stato spesso vilipeso proprio perché associato a loro, svilito a chiacchiera oziosa e demonizzato anche per il ruolo di solidarietà fra loro che creava. Sempre più studi lo esaminano non necessariamente come arma in negativo ma come strumento di potere sovversivo femminista.

In Bridgerton si è ragionato con leggerezza sulla condizione della donna e sul fatto che poter spettegolare significa poter avere una voce. In questa stagione si è parzialmente riabilitata la figura negativa e macchiettistica della madre di Pen, Portia Featherington (Polly Walker). Parlando con lei, la figlia si chiede che cosa ne sia dei suoi sogni se rinuncia alla sua scrittura. L’amara replica è stata “le donne non hanno sogni, hanno mariti”, con la conseguenza che una volta sposate sono i sogni dei mariti a diventare i loro. Se ci si crogiola nella fantasia della storia romantica e del vissero per sempre felici e contenti, non ci si limita alla favola da romanzo rosa, ma si mostra anche la verità della spietatezza del “mercato matrimoniale”, come viene chiamato senza mezzi termini, dove il valore della donna è solo legato al suo essere “sposabile”, nulla di meno romantico. Il personaggio di Cressida, che pure un po’ di backstory ha reso più umano e tridimensionale, è pure visto in quella prospettiva. Tanto zucchero e qualche pilloletta, insomma.

Come sempre ci sono stati costumi e  scenografie da sogno, e ci si può lamentare di storyline secondarie e scene riempitivo occupate da altri personaggi che hanno tolto spazio alla coppia, a cui un po’ più di tempo insieme non sarebbe guastato, e ci si sarebbe avvantaggiati di qualche episodio in più, se si escludono le considerazioni dei costi di produzione, ma al di là di molte critiche condivisibili, motivi per celebrare questo period drama che tanto buzz suscita ce ne sono anche al di là del semplice godersela come scacciapensieri.

venerdì 1 aprile 2022

BRIDGERTON: la seconda stagione

La seconda stagione di Bridgerton (Netflix), che mi sono goduta più della prima, è la definizione di frivolezza disimpegnata: un perfetto scacciapensieri che si basa su gusto del gossip, i più tradizionali schemi di romanzo rosa all’insegna del senso del dovere versus i desideri del cuore, una lieve vena parodistica e costumi da fare invidia. “Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze”, diceva Oscar Wilde, e qui di apparenze ce ne sono molte e il suo famoso aforisma calza a pennello allo spirito del programma, anche se lui è lievemente posteriore rispetto all’epoca Regency in cui la serie è ambientata. Ci si è lamentati per le poche scene di sesso, ma io penso che sia stata una buona scelta, e spiegherò perché. Questa creazione di Chris Van Dusen basata sui popolari libri di Julia Quinn, non è alta televisione, ma di certo non è nemmeno trash: sa quello che vuole fare e lo fa bene.

Protagonista di questa seconda stagione è il primogenito della famiglia, Anthony (Jonathan Bailey) - ricordo che i figli sono stati chiamati in ordine alfabetico. Intende prendere moglie ed è subito uno degli scapoli più desiderati della stagione. Lady Danbury (Adjoa Andoh) ha sponsorizzato la famiglia Sharma: lady Mary (Shelley Conn), che a causa della sua scelta di marito è stata ripudiata dai genitori e rientra in Inghilterra dall’India dopo anni di assenza, ha due figlie, Miss Kate Sharma (Simone Ashley), l’altra metà della coppia per cui si fa il tifo in questo arco, e Miss Edwina Sharma (Charithra Chandran). La regina sceglie ogni anno quella che ritiene essere il “diamante” della stagione, e la sua scelta ricade proprio su Edwina. L’obiettivo della regina (Golda Rosheuvel) è quello di scoprire, attraverso di lei, chi sia Lady Whistledown, la misteriosa persona che rivela i pettegolezzi di tutta la città in una periodica newsletter, e che noi dalla fine della scorsa stagione sappiamo essere Penelope (Nicola Coughlan). Anthony decide di sposare Edwina: non è interessato all’amore, vuole solo adempiere a un dovere. Per farlo deve però superare il vaglio della sorella di lei, Miss Sharma, che gli è ostile dal momento che gli ha sentito dire che non è per amore che si sposa. Vuole il meglio per la sorella e sa anche quello che nessun altro di loro sa: i nonni di Edwina, nobili, hanno offerto l'accesso alla fortuna di famiglia se lei sposerà un pari rango per ripristinare l’onore perso a causa della figlia ripudiata. Il visconte Anthony corteggia Edwina, ma è presto evidente che dietro l’apparente ostilità e i battibecchi, la vera attrazione è fra lui e Miss Sharma, che si innamorano progressivamente l’uno dell’altra.

In storie secondarie, Portia (Polly Walker), accoglie il nuovo erede dei Featherington e si trova a dover far fronte alle finanze in bolletta, Penelope cerca di non farsi scoprire e continua ad essere innamorata di Colin (Luke Newton), Eloise (Claudia Jessie) si scalda alle rivendicazioni femministe, Benedict (Luke Thompson) aspira a dedicarsi alla pittura, rivediamo Daphne (Phoebe Dynevor), ora mamma. È tutto un susseguirsi di incontri mondani, feste, giochi balli, cene…E qualche colpo di scena.

Bridgerton ha aggiunto un po’ di colore e necessaria, benvenuta inclusività ai nostri schermi: delle eroine di origine indiana, tanto più nell’ottica del colonialismo inglese, sono una scelta brillante. La serie è una delle più viste al mondo, attingere a un bacino di rappresentazione più ampio del solito è sensato, anche facendo solo dei biechi calcoli interessati. E qui vengo alla presunta carenza di scene di sesso nella storia. Non tutte le culture mostrano il sesso con la stessa facilità di quella americana come coronamento dell’amore. Qui, visto il contesto culturale dei personaggi, un maggiore riservo non è sembrato fuori luogo, e con i k-drama che spopolano e che fanno penare a lungo anche solo un bacio, perché non dovrebbe essere apprezzabile usare lo steso tipo di metro? In fondo è quello che hanno fatto le soap opera e le telenovele per anni. E anche in fondo certa letteratura: farci sospirare perché una coppia si avvicini, e farci appassionare più con la costruzione del rapporto reciproco e la tensione frustrata dell’uno verso l’altra. Il piacere sta nel desiderio e dell’attesa, in questo caso, più che nel suo appagamento. E sta bene così. Mi godo sempre buone scene di sesso, ma allo stesso tempo, penso che siano anche troppo spesso la regola e mi fa piacere che ci sia varietà anche in questo senso. Già di fronte agli onnipresenti allosessuali, se anche ci fossero personaggi che non provano attrazione sessuale non sarebbe poi la fine del mondo, anzi, ma qui non è nemmeno quello: è bello vedere personaggi provare attrazione reciproca non solo per il sesso, ma per temperamento. Probabilmente, se non mi fosse stato fatto notare dalle molte voci che si sono espresse in tal senso, nemmeno ci avrei fatto caso alla scarsità di sesso. La costruzione delle vicende era tale da non renderlo necessario. Poi, quando finalmente cedono alla passione, il climax è stato goduto da loro come dagli spettatori. E anche in chiusura. Io sotto questo profilo sono del tutto soddisfatta.     

Pensieri sparsi: quanto è meta sentire i personaggi parlare della “stagione” (loro pensano a quella sociale, noi a quella televisiva)? Ma perché continuo a sorprendermi che a Benedict piacciano le donne? Non faccio spoiler, era chiaro dove sarebbero arrivate Eloise e Penelope, ma che commozione. Mamma Bridgerton, Violet (Ruth Gemmell). meriterebbe una stagione sua, ma chissà che le sue vicende non abbiano spazio ne vociferato spin-off dedicato alla regina.  Certo, Newton (il cui vero nome è Austin), il corgi delle Sharma, lo avrei voluto un po’ più protagonista. Amo i corgi!

martedì 5 gennaio 2021

BRIDGERTON: "Gossip Girl" incontra Jane Austen

È un incrocio fra Gossip Girl e Jane Austen la goduriosamente romantica Bridgerton (rilasciata da Netfllix il giorno di Natale), tratta dal ciclo di romanzi rosa di grande successo di Julia Quinn, ed in particolare dal primo volume “Il Duca e io” (che diventa qui il titolo del quinto episodio). Siamo nell’Età della Reggenza, quindi nell’arco fra il 1811 e il 1820, e specificatamente nel periodo del 1813 in cui le debuttanti dell’alta società vengono presentate a corte. I Bridgerton sono una famiglia inglese, composta da otto figli, quattro maschi e quattro femmine, che hanno l’iniziale del nome in ordine alfabetico per età, e dalla loro madre vedova. La prima stagione è dedicata a Daphne (Phoebe Dyenevor), la più vecchia delle sorelle, e alla sua appassionata storia d’amore con il Duca di Hastings, Simon (Regé-Jean Page), il più desiderato fra gli scapoli. Anche i familiari hanno rilievo nella storia, così come la famiglia Featherington, con le tre figlie, e la temuta scrittrice misteriosa, Lady Whistledown, in originale con la voce di Julie Andrews e in italiano di Melina Martello,  che, proprio come in Gossip Girl, rivela gli scandali e i pettegolezzi in una periodica pubblicazione che attira la curiosità di tutti e la cui identità viene rivelata (ma solo al pubblico a casa, non ai personaggi intra-diegesi) nell’ultimo episodio.

Superati i primi dieci minuti di messa in onda, in cui la narrazione mi pareva troppo smaccata, ho apprezzato questa serie, di cui mi auguro future stagioni dedicate agli altri fratelli, che indossa i propri riferimenti e influenze con consapevolezza e gusto. A momenti ha avuto il sapore di una favola e di una soap opera, e in particolare penso alle vicende dei Featherington o alla figura del padre del Duca, e il gusto naturalmente di un romanzo rosa, visto il materiale d’origine, e la sua forza è stata proprio quella di conoscere bene i cliché dei vari generi attigui, sapendo quando usarli e quando distanziarsene. Li ha irrisi, evidenziandoli, e penso in particolare alle scene in cui i protagonisti commentano i comportamenti di alcune dame e gentiluomini (gli sguardi, i finti svenimenti…), così rivelando le convenzioni e i mores della società dell’epoca, ma al contempo li ha utilizzati senza ritegno (i giuramenti, il duello, i balli…), rinnovandoli anche. Scenografia e costumi sono stati mozzafiato. Il trucco, specie maschile, l’ho trovato un po’ troppo carico, ma è un peccato veniale. 

Questa creazione di Chris Dan Dusen è riuscita anche ad elevarsi dai propri modelli, mostrandosi moderna e intelligente, lì dove ha constatato con realismo come di fronte all’apparente romanticismo ci fosse una pressione inaudita per le giovani donne ad essere il “diamante della stagione”, a trovare marito come unico modo di sopravvivenza, e lì dove con altrettanta precisione ha mostrato come il mantenere la virtù fosse un costo non indifferente non solo per le giovani donne coinvolte, ma per le loro famiglie tutte, che potevano esserne onorate o disonorate, e per gli uomini che le avevano sotto la propria tutela. Ne andava letteralmente della vita, in qualche caso. La politica dei rapporti interpersonali e di coppia come transazione economica è emersa a ogni piè sospinto, da frasi come il pretendente che dichiara che se intende comprare un cavallo non lo chiede all’animale, ma al proprietario, quando ci si rivolge al fratello per avere la mano di Daphne, alla indicazione di “mercato matrimoniale” (1.08) per indicare il senso delle varie soirée, promenade e balli a cui sono tenuti a partecipare i personaggi.

Non si è totalmente cinici, si aspira all’amore che si riconosce come un bene raro, ma si riflette su che cosa faccia un buon matrimonio, talvolta un vero “campo di battaglia” (1.03), arrivando alla conclusione che è una solida amicizia di base che tiene unite le coppie. E solitamente in questo genere di narrazioni le nozze sono il premio ultimo, dopo di che “vissero per sempre felici e contenti”. Non qui: la cerimonia nuziale (1.05), sfarzosa ma ridotta a pochissimi momenti essenziali, non è l’apice, né il traguardo a cui si giunge superati numerosi ostacoli. È solo una tappa, fra le tante di un percorso accidentato, nella consapevolezza che le relazioni sono sempre in fieri, e nella riflessione su questo il rapporto madre-figlia ha avuto bei passaggi.

Il ruolo del vil denaro e dello status, così come dei gender issues, escono dalla bocca dei protagonisti di continuo e danno spessore ideologico piuttosto esplicito alle vicende, così come c’è una pregnante riflessione sul sesso. L’ignoranza in cui erano tenute le giovani donne è un liet motiv che si rivela la spina dorsale della storia, ed è stata declinata ora come occasione di seduzione e intimità - Simon che chiede a Daphe se si tocchi e lei che viene mostrata poi masturbarsi (1.03) sono stati da applauso, sia per la loro deliziosità nella costruzione della relazione fra i due, che per la pregnanza valoriale – ora come ostacolo alla felicità della coppia - il coito interrotto di Simon ai danni dell’ignara neosposa è stato emblematico (1.06). Se questa serie è in una certa misura “l’educazione di Daphne Bridgerton”, come si è espresso l’ideatore (EW), è anche appropriatamente l’educazione sessuale della giovane donna. Le scene di sesso sono davvero sexy, un piacere da guardare, e anche qui, come era successo per Normal People, si è usato sul set un coordinatore di intimità, una figura emersa negli ultimi tempi che si sta rivelando molto importante.

Intelligente è stato anche  il modo di mostrare come le donne dell’epoca, fortemente ristrette nelle proprie libertà, abbiano usato come arma quello che avevano a disposizione, e in questo caso proprio il gossip, che lunghi dall’essere solo qualcosa di frivolo per gente che non ha nulla da fare, è stato uno strumento di  potere e liberazione e difesa (1.02). E attraverso la parola si costruisce anche la bellissima gioiosa amicizia che si mette in scena fra due delle protagoniste femminili, Eloise (Claudia Jessie) e Penelope (Nicola Coughlan), due fra i personaggi più riusciti.  

Questa è stata la prima scripted series per Netflix targata Shondaland, ovvero la casa di produzione di Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy, Scandal) che con la piattaforma di streaming ha stretto un contratto da 150 milioni di dollari. Sebbene questo programma non sia scritto da lei (per quello dobbiamo aspettare Inventing Anna, il cui atteso debutto è previsto per quest’anno), si sente ugualmente la sua sensibilità, ed in primis con un casting inclusivo con molti attori BIPOC, come si dice ora  - che sta per Black, Indigenous and People of Color, ovvero Neri, Indigeni e Persone di Colore -, nel ruolo di nobili britannici, in un’epoca in cui presumibilmente non ce n’erano altrettanti. Ci è proprio domandati: è storicamente accurato? Alcuni storici suggeriscono che ci siano prove che nell’aristocrazia britannica ci fosse sangue nero (in proposito, volendo, si legga questo articolo del Post), ma in realtà è poco significativo. Non è un documentario, e la produttrice esecutiva Betsy Beers spiega come non sia un casting daltonico, ma hanno cercato di immaginare la storia e il mondo nel modo in cui volevano vederlo (Entertainment Weekly), nello stesso modo in cui sono state prese licenze poetiche nelle musiche scelte o nell’abbigliamento (e su questo si legga su Vogue l’intervista alla costumista).

Se mi calo per un momento dei panni di Lady Whistledown, e faccio un piccolo volo pindarico metatestuale, non posso che osservare che le debuttanti in società sono le attrici alle audizioni, e che la regina Charlotte (Golda Rosheuvel), nera, è la controfigura di Shonda Rhimes: una malignità senza un fondamento, da parte mia? Scherzi a parte, a meno di non considerare “storia rosa” alla stregua di una parolaccia, e anche però nei limiti di quell’etichetta, Bridgerton è per la gran parte un vero piacere.