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venerdì 15 dicembre 2023

FONDAZIONE - seconda stagione: qualche riflessione

Non intendo fare un commento o una recensione sulla seconda stagione della “Fondazione” (AppleTV+), che in generale è stata appagante ed epica memorabile la 2.09, con le rivelazioni su Derzemel e con il destino finale di Terminus, e a seguire una chiusura ricchissima di colpi di scena  ma ci tengo a buttare giù a flash qualche spunto di riflessione.

·         Gli intrecci sono davvero complessi e sono molte le vicende che vengono palleggiate dagli abili giocolieri della sceneggiatura. Si vede che la narrazione è di ampio respiro e non si presta a una visione casuale e rilassata: è chiaro che bisogna davvero prestare attenzione per non perdersi, avendo la pazienza di attendere per eventuali risposte. La Trilogia della Fondazione di Asimov su cui la serie è basata era stata ispirata da Declino e Caduta dell’Impero Romano di Edward Gibson, e in questa stagione appare particolarmente evidente, dai militari, ad esempio e un applauso va al fatto che fra questi ne abbiano fatto una magnifica coppia gay , ai clerici, ai costumi, allo spirito tutto.

·         Sarà che nel writing team è arrivata anche Jane Espenson, che non c’era nella prima stagione, ma si sente l’eredità di Joss Whedon (Buffy, Angel, Firefly), con cui in passato ha estesamente lavorato. In particolare questa sensazione c’è dalla concezione etica di fondo per cui alla fine non sono i grandi nomi, i grandi scienziati o governanti o intellettuali che cambiano la storia del mondo, ma le persone comuni, e i più coraggiosi e coinvolti a volte sono dei poveri scalcagnati armati di coraggio e buona volontà. E ci sono eroine molto combattive. Certo, rimane legittimo domandarsi se quella che qui vedo come l’impronta di Joss, non fosse in Buffy in realtà l’impronta di Jane, solo non attribuita (almeno da me) a lei, ma a lui: forse sono vere un po’ entrambe le cose. Così come è un piacere notare, qui e lì, piccoli riferimenti ai lavori di Asimov estranei al Ciclo delle Fondazioni

·         Hari Seldon (Jared Harris), sempre di più è stato presentato in un parallelismo con la figura di Cristo: attorno alla sua figura si crea un movimento religioso, muore e risorge, si sdoppia, incarna sè stesso nel corpo di una donna, non verrà crocifisso ma la sorte che gli capita legato con le braccia a dei pali certo non si distanziano molto da quel genere di iconografia…e piccoli accenni vanno in quella direzione, anche nella diegesi, e alla critica a quelle credenze.

·         In questa stagione vengono introdotti i Vedenti (Mentalics in originale), sul pianeta Ignis, un gruppo di persone che ha il potere di percepire quello che gli altri pensano e provano e sono fortemente empatici. La storyline che li riguarda per me ha avuto forti echi dello Star Trek originale, anche se non riesco a motivarlo in modo specifico. Sono guidati da Tellem Bond (Rachel House), che da subito si presenta come una villainess manipolatrice, una cattiva della situazione insomma. In “Una morte necessaria” (2.07) si esplora attraverso di loro un concetto molto interessante. Gaal (Lou Llobell) e Salvor (Leah Harvey) vengono invitate ad un banchetto, e per l’occasione vengono cucinati dei molluschi che, bolliti, emettono grida di dolore che pure loro, influenzate dalla comunità in cui si trovano, percepiscono in modo molto forte e disturbante. Chiedono se non sia possibile optare per dei vegetali. Tellem risponde loro che le piante non soffrono meno degli animali, hanno solo un modo di manifestarlo differente che noi non percepiamo con la stessa intensità solo perché apparteniamo ad un genere diverso. Questa è un’idea con cui io sono molto in accordo. Aggiunge poi che sopravvivere comporta il provocare dolore, e sofferenza e morte ad altri esseri viventi, ma che gli esseri umani scelgono di illudersi che non sia così. Loro ne sono consapevoli, vegetale o animale non fa differenza, e scelgono di accettare questa verità ed essere riconoscenti, perché quella sofferenza non vada sprecata, per così dire, perché non sia non riconosciuta. Tendo, almeno in parte, a ritrovarmi anche in questa linea di pensiero. Il fatto che queste parole siano in bocca a una cattiva, e funzionali alla storia che si narra in seguito, non le rende meno vere, eventualmente. Non di meno  fanno fare una pausa di riflessione, se il dare per scontato che l’inevitabilità di essere artefici di sofferenza per gli altri non possa rischiare di rendere ciechi ai dolori altrui e anche crudeli lì dove non è necessario. In ogni caso è stato un buon spunto di riflessione per una puntata scritta da David Kob e Eric Carrasco.

martedì 21 agosto 2012

HUSBANDS: seconda stagione per l'esilarante web series


È esilarante, si guarda in un soffio (la prima stagione è di 11 episodi di un paio di minuti ciascuna), è ideata e sceneggiata da Jane Espenson (Buffy, Caprica) e Brad Bell (per i fan delle soap, no, non quel Brad Bell, non quello di Beautiful insomma): Husbands (“Mariti”) è una serie TV (si era pensato di trasferirla poi su una TV via cavo), ma solo per il web (si è rinunciato per evitare sgradite alterazioni di copione o di cast), e visibile gratuitamente – al link sopra o su YouTube con i sottotitoli in italiano .
Brady (Sean Hemeon), mascolino e che ha fatto outing da poco, è una star del baseball, Cheeks (Brad Bell) - che in italiano si traduce “Guance”, ma anche “Chiappe” -, effemminato e teatrale, è un artista. Una sera a Las Vegas si ubriacano e quando si svegliano la mattina dopo si rendono conto che sono sposati. Entrambi famosi, per non fare una figuraccia e per non ledere alla causa dei matrimoni omosessuali da poco resi legali, decidono di rimanere sposati e provare ad essere i “mariti” del titolo. Ad aiutarli con i suoi consigli c’è anche la migliore amica di Cheeks, la perennemente sbronza Haley (Alessandra Torresani, Caprica). Ne esce una commedia romantica di opposti che si attraggono, che ha il gusto dei vecchi film hollywoodiani reinterpretati con una sensibilità contemporanea e con un primato, essere la “prima commedia sull’eguaglianza matrimoniale”, come è stato detto.
La critica si è subito innamorata di questo gioiellino che riesce a far ridere di gusto, anche con un pizzico di follia, ma che si rivela a tratti tenero e romantico e in cui si infiltrano anche interessanti riflessioni sociali e culturali (sulla tecnologia, sulla morale, sull’opinione pubblica, sulla femminilità…) – basta scorrere la pagina “press” (“stampa”) sulla pagina ufficiale per accorgersene. Su tutte svetta l’apprezzamento di Russell T. Davies, ideatore di Queer As Folk: “Che buon copione, delizioso e rilevante… Ha il sapore del futuro. Di una comunità, di un segreto. Di una mania. Meraviglioso!”.
La seconda stagione, appena partita, prevede tre soli episodi di circa 10 minuti scarsi ciascuno, e un sacco di guest star, fra cui spicca nel primo episodio (2.01, “Appropriate is not the word”) niente meno che Joss Whedon, del ruolo di Wes, l’agente di Brady. Oltre ad avere un paio di battute che hanno scritto sopra “citami”, ho adorato il modo in cui gli hanno fatto usare termini legati alla cultura della lotta dei diritti per i gay come “arcobaleno” o “pride” nella maniera in cui certi rapper usano “pace”, “fratello” e via dicendo… Fra le tematiche della nuova stagione ci sono la televisione e ciò che è considerato intrattenimento e i “due pesi due misure” riservati a certe categorie di persone.
Un difetto? Ce n’è troppo poco!

domenica 10 aprile 2011

CAPRICA: una space opera riuscita



Caprica, in onda su Steel (lunedì, ore 22.40), è il prequel di Battlestar Galactica, ambientato 58 anni prima: le dodici colonie sono in pace, e i cyloni (robot sofisticatissimi che finiranno per ribellarsi agli umani) ancora non sono stati inventati. A farlo sarà Daniel Graystone (Eric Stoltz), grazie anche alla figlia Zoe (Alessandra Torresani) che prima di morire in un attentato terroristico aveva realizzato una copia virtuale di se stessa. Joseph Adamo (Adama in originale), padre di quello che sarà il comandante William Adamo, è un avvocato.

Mi piacciono le storie, costruite in modo forte e asciutto in un arco. La serie è ideata da Ronald D. Moore, Remi Aubuchon, David Eick, ma si coglie anche l’influenza di Jane Espenson (soprattutto in come si sviluppano i personaggi che diventano a poco a poco padroni di se stessi - penso a Tamara), e si vede che lei è una “alunna” di Whedon. È Galactica con una spruzzata di Max Headroom e de I Soprano. Galactica è post-apocalittico, Caprica è una civiltà nel suo picco massimo che pianta semi per il suo futuro distopico. Funziona bene come space opera, con elementi di fantascienza mischiati con relazioni familiari (fra genitori e figli in particolare), intrighi e commento sociale e politico (esplicitamente l’11 settembre e il terrorismo, ma anche il ruolo della tecnologia, il successo, la comunicazione, le relazioni di potere, la religione, l’educazione dei giovani).

Il look anni ’40-’50-’60 (che amo), intrecciato agli elementi futuristici (come oggetti del futuro, non elementi del movimento del Futurismo, chiaramente) è piuttosto appropriato nel senso sia che pur essendo ambientato nel futuro dà la sensazione di passato rispetto ad un futuro ulteriore che è quello di Galactica appunto, sia perché la serie evoca temi che sono distintivi dell’America di quegli anni: un certo senso di reale o immaginata innocenza, il vago rendere romantico del gangster, le tensioni razziali e culturali e i movimenti per i diritti civili… e allo stesso tempo dà per scontati e come non-conflittuali altre realtà sociali, come le relazioni gay o i matrimoni plurimi.

Come tutta la miglior fantascienza riesce al meglio come allegoria e metafora. Il tema principale è quello dell’identità: uomo vs. macchina, virtuale vs, reale, di Tuaron vs. di Caprica… che cos’è che ci rende umani e come definiamo l’essere umano? Il corpo, la mente, l’anima, originali e copie, tradizioni e rituali… tutti argomenti filosofici.

Mi piace molto anche il fatto che a poco a poco emerge una mitologia ben sviluppata. Il programma è godibile di suo, ma in più, considerato che sappiamo che cosa viene dopo, nel futuro che è quello che accade in Battlestar Galactica, riusciamo ad aggiungere agli eventi un’altra dimensione e vediamo come specifiche azioni porteranno a determinate conseguenze (la distruzione delle 12 colonie, la ribellione dei cyloni, Adamo) che a questo punto non sono ancora prevedibili.

Occasionalmente la scrittura è piuttosto ingenua, per non dire cattiva, e la cinematografia è povera – o almeno potrebbe essere meglio – non nel complesso vengo molto intrattenuta e genuinamente stimolata a riflettere su questi temi. E la parte geek di me ama molto anche i gadget che i personaggi hanno. Sono così pronta ad averli anch’io!