Visualizzazione post con etichetta The Good Doctor. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta The Good Doctor. Mostra tutti i post

lunedì 19 agosto 2024

THE GOOD DOCTOR: una series finale inclusiva

Con una settima stagione più corta delle altre (solo 10 episodi) The Good Doctor (ABC, Rai2) ha chiuso il suo corso con una series finale delicata ed appropriata.

SPOILER SULLA FINALISSIMA

L’arco conclusivo ha visto il dottor Shaun Murphy (Freddie Highmore) dibattersi davanti a due casi importanti per cercare di salvare da un lato il Dr. Aaron Glassman (Richard Schiff), suo mentore e figura paterna, a cui era tornato il cancro, e dall’altro l'amica di sempre, la dottoressa Claire Browne (Antonia Thomas), alle prese con una grade infezione, rientrata negli USA per farsi curare anche lei per un cancro, in questo caso al seno, proprio per questo ultimo atto, dopo lunga assenza giustificata dal fatto che alla fine della quarta stagione aveva deciso di trasferirsi in Guatemala per seguire una clinica lì. Per il primo purtroppo è calato il sipario, e il programma lo ha espresso in modo molto elegante, semplicemente mostrandoci Sean su una giostra da solo; la seconda ha avuto più fortuna, grazie proprio alla brillantezza dei propri colleghi e al sostegno di un ritrovato Jared Kalu (Chuku Modu), nonostante la perdita non indifferente di un braccio.

La serie ha detto ormai quello che aveva da dire: si è portata consapevolezza su alcune problematiche dell’autismo e, come ha rilevato in più di un’intervista l’attore protagonista, si è riusciti a mostrare come anche le persone con autismo possano cambiare ed evolversi , così come le persone neurotipiche. Nella settima stagione si è pure potuto vedere il dottor Murphy nel ruolo di padre. L’evento più significativo è stata la prematura scomparsa del dottor Asher Wolke (Noah Galvin) a causa di un violento attacco omofobico, proprio a ridosso del fidanzamento con Jerome Martel (Giacomo Baessato). E sono stati introdotti due nuovi studenti praticanti, la dottoressa Charlie Lukaitis (Kayla Cromer), pure lei nello spettro dell’autismo e che idolatra Shaun, anche se lui non la vede con lo stesso favore, e Dominick “Dom” Hubank (Wavyy Jonez), molto in difficoltà di  fronte alla vista del sangue.

Già in corso di via si è notato l’impegno a chiudere le vicende. Con l’avvicinarsi della conclusione già avevano dato il lieto fine per altri personaggi come la dottoressa Morgan Reznick (Fiona Gubelmann) e il dottor Alex Park (Will Yun Lee) che si sono finalmente sposati. Della finalissima, che è stata appropriatamente intitolata “Goodbye” (7.10), erano le ultime battute quelle di cui ero più curiosa, vedere in che modo si sarebbe scelto di dire l’addio definitivo al San Jose St. Bonaventure Hospital. Si è andati nel futuro. Nella coda di quella che diversamente sarebbe stata una puntata come le altre, vediamo  Shaun impegnato in un TED Talk – sullo sfondo appaiono i nomi dei pazienti che ha aiutato nella sua carriera: gli effettivi nomi dei personaggi con cui ha interagito nel corso delle puntate; Adam, il primo che compare, è quello che ha salvato nel pilot. Ascoltando il suo discorso, pronunciato in onore del  dottor Glassman, e vedendo chi è presente, veniamo a sapere “come sono andate le cose”: è diventato primario di chirurgia; ha aperto insieme Claire  una fondazione per promuovere la presenza medici neurodivergenti, la Dr. Aaron Glassman Foundation for Neurodiversity in Medicine; con Lea (Paige Spara) ha avuto un altro figlio, una bambina questa volta…Più o meno tutti sono fra il pubblico. La dottoressa Audrey Lim (Christina Chang) la vediamo pronta a partire con “Surgeons for a Better World" per un’altra opportunità lavorativa e la dottoressa Bria Samoné Henderson vediamo che si è sposata con Danny Perez (Brandon Larracuente).

C’è stato insomma un lieto fine che ha cercato di non lasciare fuori nessuno e ci è riuscito. Forse questi personaggi mancheranno, ma ha chiuso in modo appagante e in linea con quello che la serie è stata in questi anni: un appuntamento gradevole che ha sostenuto l’inclusività.

domenica 7 ottobre 2018

THE GOOD DOCTOR (2.02): mutilazione genitale, consenso, menzogna


È cominciata molto sottotono la seconda stagione di The Good Doctor, ma si è subito ripresa con una memorabile, potente seconda puntata scritta da David Shore (House).

Continuo a ripensare a quell’episodio che ha toccato temi importanti e ha dimostrato come questa serie, non eccelsa ma significativa come tavola rotonda sullo Zeitgeist contemporaneo, riesca ad avere momenti che si elevano dall’ordinario.

Nella puntata in questione, “Middle Ground” (2.02), una delle storie principali riguardava la mutilazione genitale femminile.
ATTENZIONE SPOILER. Una ragazza minorenne, Asha/Mara (Camille Hyde) si rivolge al pronto soccorso per chiedere la ricostruzione vaginale, dopo che una mutilazione genitale che i genitori le hanno fatto fare all’età di due anni, l’ha lasciata piena di cicatrici. Lei si vergogna e non accetta quello che le stato perpetrato e chiede aiuto. Pur sapendo che la ragazza è minorenne e ha dato un nome finto, la dottoressa Audrey Lim (Christina Chang) finge di non accorgersene per poterla aiutare senza dover allertare i genitori. Fatta l’operazione, la ragazza si sveglia con fortissimi dolori e risulta chiaro che il motivo è che la mutilazione non è stata completa e rimane del tessuto nervoso sensibile. A questo punto i genitori devono necessariamente essere coinvolti. Le soluzioni, da un punto di vista medico, sono due: o si ricostruisce salvando i nervi che ci sono, con la possibilità di recuperare la sensibilità al piacere; o, cosa chirurgicamente più semplice, si finisce quello che è stato cominciato e si rimuovono tutti i nervi. La dottoressa spinge per la prima opzione. La ragazza, sedata perché sopporti i dolori, svegliata appositamente, di fronte ai genitori dice di volere la seconda. Non convinta, Audrey chiede di sentire la ragazza da sola, e lei ribadisce che non se la sente di tradire la sua cultura e la tradizione. La chirurga, a dispetto di quello che le ha detto la ragazza, mente e dice che lei è favorevole per la prima opzione. Quindi viene fatta una ricostruzione. Al risveglio, tutto è andato bene. I genitori di lei non vengono messi al corrente, ma la Mara si accorge di quale operazione sia stata fatta: le era stato spiegato che per la ricostruzione avrebbero preso del tessuto dall’interno della sua guancia, e toccandosi la guancia con la lingua ha capito. Sorride e ringrazia la dottoressa.

Questa vicenda, è stata significativa in sé e per sé nel contenuto, perché affronta un tema importante e poco dibattuto e fin troppo presente, denunciandone la barbarie e la criminalità. Ma, per quanto sia significativo esplorare diritti umani, si è andati al di là del trattare un social issue importante. Altre questioni sono emerse, anche con l’eco della storia parallela. Il dottor Shaun Murphy (Freddie Highmore) si accorge che un inserviente dell’ospedale soffre di cancro al pancreas. Vogliono fargli dei test, ma senza spiegargli la vera ragione per non spaventarlo. Il giovane medico, nonostante le buone intenzioni, non riesce a mentire - ma nella sua parabola di apprendimento alla fine della puntata invece ce la fa  - e glielo rivela. L’uomo in questione viene spinto ad operarsi, pur non volendolo, dai familiari che vogliono per lui una vita più lunga che l’alternativa consentirebbe, solo pochi mesi di vita. Sebbene l’operazione vada bene, ci sono delle complicazioni e lui muore. La famiglia si colpevolizza, ma Shaun mente dicendo che l’uomo in realtà l’operazione la voleva.

Attraverso entrambe queste storie, si esamina un concetto molto attuale nel dibattito sociale, trasversalmente presente nella società odierna (penso all’ambito del sesso, ma non solo), e molto più labile di quanto normalmente possa sembrare: quello del consenso. Qui, si mostra come il consenso non sia così lineare e apparentemente scontato, ma si presti a delle aree grigie più significative di quanto normalmente non si ammetta, e di come talvolta un sì non sia del tutto convinto. Qui si affronta una tematica morale importante, e si ammette che non ci sia una risposta bianca o nera.

Il secondo grande tema affrontato, che in questo caso si intreccia al primo, e che è un grande favorito dell’autore già dai tempi del dottor House, è quello della menzogna. È sempre la cosa giusta dire la verità? Quando è lecito mentire e quando è bene dire la verità? Che cosa ci fa decidere per l’una o per l’altra cosa? Qui, da entrambe le storie, alla fine si giunge alla conclusione che non è rilevante dire la verità se questa non aiuta. Va bene mentire. Devo dire che non sono del tutto a mio agio con questa conclusione. Non so se la condivido. Tuttavia, non posso negare che qui io abbia trovato corretta moralmente la soluzione dei personaggi. Indipendentemente dalla mia posizione in proposito penso che sia fantastico che la serie riesca porci davanti a questioni etiche così quotidiane e rilevanti.

Penso che sia stata una puntata coraggiosa su più livelli, e rispetto al tema della menzogna in particolare, penso che si sia adottata una prospettiva di fatto abbastanza impopolare. È più comune sentire difesa la verità sempre e comunque. Qui i personaggi optano per la soluzione opposta, con delle implicazioni anche deontologiche importanti. Mi è tornata in mente una citazione di Brian Kinney in Queer As Folk, a cui ho ripensato più volte negli ultimi mesi, ovvero che, parafrasando, non è mentire se la sola verità che riescono ad accettare è la loro. Mi ha sempre fatto pensare molto, e qui penso che si adatti alla prima delle due storie raccontate. 

Di fatto io non sono sicura che avrei agito con i personaggi, ma mi piace essere messa nella posizione di interrogarmi su che cosa avrei fatto io e essere lasciata in sospeso a riflettere su quale sia il comportamento morale più giusto. Penso che questo sia uno dei grandi poteri della televisione e della narrazione in generale. Qui, la serie ha davvero dimostrato un potenziale realizzato, mostrando come anche serie di fatto qualitativamente meno ambiziose di molte altre possano offrire intrattenimento pregnante.

giovedì 5 ottobre 2017

THE GOOD DOCTOR: dall'autore del dottor House


Aiuta sapere che The Good Doctor, la nuova serie dell’americana ABC appena confermata per un’intera stagione, è stata sviluppata, sulla base di un successo della TV sudcoreana firmato da Park Jae-bum, da David Shore, già ideatore di House. Questo perché, intuendone il potenziale, si è più ben disposti a chiudere un occhio su alcune ingenuità del pilot.

Shaun Murphy (un eccelente Freddie Highmore, Bates Motel) è un giovanissimo chirurgo che soffre di autismo e con la sindrome del savant. Nell’infanzia è stato oggetto di bullismo da parte dei coetanei, incompreso e oggetto d’abuso in famiglia, in particolare da parte del padre. Solo il fratello minore, finché ha potuto, lo ha difeso e protetto. Suo mentore da quando aveva 14 anni, il dottor Aaron Glassman (Richard Schiff, The West Wing), presidente del San Jose St. Bonaventure Hospital, si batte perché possa essere assunto come residente nel suo ospedale, e, nonostante all’inizio abbia solo il sostegno di Jessica Preston (Beau Garrett, Girlfriend’s Guide to Divorce),  alla fine la spunta. Non tutto lo staff è convinto però perché i colleghi temono che i suoi problemi possano essere un ostacolo maggiore di quanto non sia d’aiuto la sua brillantezza. Lo sostiene con veemenza il primario di chirurgia Marcus Andrews (Hill Harper) e lo fa capire al diretto interessato in sala operatoria il dottor Neal Melendez (Nicholas Gonzales). Chi lo prende in simpatia è la dottoressa Claire Browne (Antonia Thomas,  Lovesick), che ha una storia di sesso con il collega Jared Hulu (Chuku Modu).

Dal pilot, che introduce parecchi personaggi (e relazioni fra i residenti declinati un po’ alla Grey’s Anatomy), è chiaro che ci sono temi cari a Shore, come la presenza di una persona particolarmente dotata intellettualmente che si trova sotto altri aspetti in difficoltà, che deve imparare a convivere con gli altri; i problemi di non essere neurotipici e l’importanza di vedere questa diversità come un potenziale piuttosto che un ostacolo; l’interrogarsi su quanto contino per un medico non solo l’abilità tecnico-professionale, ma anche l’empatia e la capacità di rapportarsi con i propri pazienti sul piano umano; la sinergia e le frizioni fra la parte burocratico-amministrativa e quella clinico-medica di un ospedale… Qui poi, la visione si arricchisce di una sorta di “realtà aumentata” alla CSI poiché i ragionamenti spazio-visuali sul corpo umano (e non solo) che fa il protagonista vendono illustrati per noi con dei disegni in sovrimpressione, con le indicazioni mediche, così come certi termini e procedure vengono spiegate con delle scritte che appaiono sullo schermo: notevole, anche se concretamente un po’ faticoso da seguire per la velocità con cui avviene.

Un punto debole sono stati i flashback del protagonista, ma solo perché un po’ troppo lacrimevoli e “manipolatori” da un punto di vista emozionale, scontati nelle loro conclusioni (la sorte del fratello e il discorso che tiene Shaun che convince tutti a dargli una possibilità) – forse è dovuto alla matrice sudcoreana? E nella narrazione non si sono state molte sottigliezze, per cui si è rimasti tiepidi. Una critica sensata è venuta da Crippled Scholar, che ha le credenziali di un vero esperto (si veda qui),  secondo cui il personaggio è troppo stereotipato, un’incarnazione troppo smaccata dei criteri diagnostici del DSM, con capacità al limite della credibilità e solo inteso come “ispirazione”, infantilizzato e interessato più a vivere per gli altri che per se stesso, cosa che viene rimproverata ad Hollywood per essere il modo standard di ritrarre le disabilità (Crippled Scholar).  Osservazioni pregnanti. Comunque, appunto, il pedigree di Shore permette di trascurare questi aspetti, almeno per ora, e di dare alla serie una possibilità.