domenica 22 marzo 2015

HOW TO GET AWAY WITH MURDER: una serie feroce


È terminata con due colpi di scena potenti la prima stagione di How to get away with murder,  Le regole del delitto perfetto in italiano, una serie la cui poetica si può probabilmente riassumere in una delle frasi pronunciate dalla protagonista nell’ultima puntata (1.15) a circa dieci-quindici minuti dalla fine:  “Non c’è verità in un’aula di tribunale, c’è solo la vostra versione della verità contro la loro; è così che funziona la giustizia: non è che cosa è giusto o equo, ma è chi racconta la storia più convincente”. Nei casi di tribunale che discutono, nelle loro vite private, e in modo meta-testuale nel racconto che guarda lo spettatore, la filosofia è che si deve raccontare la storia che ha più senso e che ci permette di andare avanti, e a ripeterla a sufficienza diventerà realtà.  
La serie ha come protagonista Annalise Keating (Viola Davies), brillante avvocato difensore pronta a tutto per i suoi clienti. Insegna anche all’università, e ogni anno seleziona gli studenti più dotati per seguire con lei i suoi casi. Si tratta di Connor Walsh (Jack Falehee), ragazzo gay pronto a usare la propria sessualità per ottenere quello che vuole; Michaela Pratt (Aja Naomi King), ambiziosa sul lato professionale e prossima alle nozze; Laurel Castillo (Karla Souza), ragazza quieta che ha un rapporto conflittuale con la famiglia;  Asher Millstone (Matt McGorry, Orange is the New Black), figlio di un rinomato giudice; e Wes Gibbins (Alfred Enoch), che la docente prende sotto la sua ala protettrice. Con Annalise, che nella vita personale ha una storia extramatrimoniale con il detective Nate Lahey (Billy Brown), lavorano Frank Delfino (Charlie Weber) , pronto a fare il lavoro sporco, e Bonnie Winterbottom (Liza Weil, Gilmore Girls), altro avvocato, ma non brava quanto Annalise.
Tutta la prima stagione, nella sua storia orizzontale, ruota intorno all’omicidio di una studentessa universitaria, Lila, della cui morte viene accusata Rebecca (Katie Findlay), vicina di casa di Wes e presto sua fidanzata. È nel cercare di proteggere lei che Wes e tutti i ragazzi tranne Asher, che ne resta all’oscuro, uccidono accidentalmente il marito di Annalise, Sam Keating (Tom Verica, American Dreams), che lei sa aver avuto una storia con la ragazza uccisa, che aveva messo incinta. I ragazzi si liberano del cadavere e comincia per loro la paura di essere scoperti. Il resto della stagione, al di là della storia verticale della singola puntata, cerca di ricostruire che cosa sia realmente accaduto e chi sia il vero colpevole (si scopre nell’ultima puntata), con una narrazione che per la prima parte della stagione (le prime nove puntate andate in onda nel 2014) ha presentato gli eventi solo in modo frammentario,  procedendo a ritroso con progressive rivelazioni che sono partite dal momento in cui hanno cercato di sbarazzarsi del cadavere. Una ricostruzione unitaria è avvenuta solo prima della pausa invernale.      
Ci sono molti aspetti che questo progetto di ShondaLand (la compagnia di Shonda Rhimes che è qui produttrice esecutiva) ideato da Peter Nowalk che funzionano a dovere: l’uso de tempo, con scarti che rendono le vicende dinamiche a sufficienza senza essere confuse; la sensazione di tensione e urgenza costanti; la diversità nel cast; l’idea che la realtà spesso non è così come sembra;  le magnifiche scene di sesso (e penso a Connor in particolare); il profondo senso di infelicità che attanaglia tutti i personaggi, Annalise e Bonnie in primis; la costruzione narrativa in sé e per sé che è chiaro essere timonata con destrezza e senza incertezze.
Eppure, non mi è piaciuto. E forse per me le ragioni sono solo l’irruente leggerezza con cui di fatto vengono trattate questioni complesse, accennate ma mai davvero approfondite, l’aggressività dell’atmosfera, e l’etica che sta a fondo del programma, che impila menzogna su menzogna, come modalità di sopravvivenza, ma alla fine come stile di vita. Annalise è un avvocato feroce almeno quanto How to Get Away with Murder è una serie feroce. Forse è un pregio, ma non posso dire mi piaccia.

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