lunedì 24 agosto 2015

GIRLFRIENDS' GUIDE TO DIVORCE: altalenante

Sono rimasta altalenante nella mia soddisfazione durante tutto il corso della prima stagione di Girlfriends’ Guide to Divorce, sviluppata da Marti Noxon (una delle più note sceneggiatrici di Buffy) sulla base di una serie di libri di Vicki Iovine, e già rinnovata per una seconda.
Un po’ Sex and the City, un po’ un Girls adulto con un leggerissimo tocco di reality show nello stile della rete Bravo che la ha mandata in onda come suo primo esempio di scripted show, la serie ha come protagonista principale Abby McCarthy (Lisa Edelstein, House), autrice di successo di libri di consigli su matrimonio e famiglia, che vede crollare il suo prestigio e la conseguente possibilità di monetarizzarlo e mantenere così sè e famiglia, quando si scopre che sta divorziando dal marito Jake Novak (Paul Adelstein, Scandal), regista di scarso successo che ha presto una relazione con la giovane e popolare attrice Becca Reilly (Julianna Guill)  - che non può non far pensare sia stata modellata come una ipotetica Sarah Michelle Gellar di Buffy. Abby deve cercare di rilanciare la sua vita professionale e personale e prendersi cura dei figli, trovando una nuova dimensione nel gestire il suo rapporto con il suo ex.
A starle vicino e a condividere i suoi successi e i suoi rovesci di fortuna sono le amiche: Lyla (Janeane Garofalo), un’avvocato piena di rabbia nei confronti dell’ex marito che spende i soldi che lei guadagna con una dominatrix, e un personaggio che esce di scena a metà stagione;  Phoebe (Beau Garrett), ex-modella da poco divorziata e spirito libero; Delia (Necar Zedegan), il suo avvocato divorzista, una donna di origini iraniane che ha un difficile rapporto col padre e cerca di tenere in equilibrio vita personale e professionale che spesso si intersecano; e Jo (Alanna Ubach), vecchia compagna di liceo che si trasferisce a Los Angeles dopo la separazione, e che compare a metà della stagione, prendendo idealmente il testimone, come personaggio, da Lyla. Accanto a lei ci sono anche il fratello Max (Patrick Heusinger) e suo marito Ford (J. August Richards, Angel).
Lisa Edelstein è assolutamente eccezionale in questo ruolo (ma a dire il vero anche negli altri in cui l’abbiamo vista in passato): determinata senza essere astiosa, vulnerabile ma non piagnona, competente ma anche insicura, disillusa ma aperta… in una parola, adulta e credibile. E la serie riesce davvero a interessarci alla sua vita. Molto meno rispetto alle amiche (con forse la sola eccezione di Delia). O quanto meno bisognerebbe fare un distinguo. Queste donne non sono nate per farsi piacere, e almeno in questo ci riescono benissimo: Lyla è rabbiosa, Phoebe superficiale, Jo sbandata. Si fatica a capirne la multidimensionalità, e sono fastidiose al punto che si desidererebbe solo tenerle a distanza perché ti danno la fin troppo realistica impressione di avvelenarti un po’ la vita e che staresti meglio senza di loro. Hanno atteggiamenti tali per cui ti viene da credere che, se sono infelici come sembrano, se la vadano anche a cercare e dovrebbero farsi un serio esame di coscienza. Non si guardano con piacere. Forse è il  vero intendimento e sono io che non sono in grado di apprezzarlo. È davvero originale e pregevole però che fra loro alcuni personaggi non si vedano di buon occhio, perché accade così di rado nella finzione.
Le dinamiche di  un matrimonio che si rompe, il cercare di salvaguardare le esigenze di tutti, le fratture che si creano (in questo caso tanto fisiche quanto non troppo sottilmente metaforiche – in seguito ad un terremoto, la casa coniugale ha una profonda crepa che la spacca), il ricostruirsi di rapporti nuovi, le ammaccature che la vita ti procura, il tradimento, i figli che crescono in un mondo che la tecnologia rende una sfida poco conosciuta, le difficoltà economiche, le dinamiche sociali nei rapporti di coppia e di amicizia sono un campo di battaglia in cui ci si muove agevolmente, riuscendo in un buon equilibrio fra il lieve tono umoristico che si cerca di mantenere  e trovare anche nelle situazioni più dolorose e una seriosa ponderazione di tematiche di quotidianità domestica e sociale. Si è consapevoli delle aree grigie nelle scelte di vita. Non si è mai stucchevoli nei buoni sentimenti. Si decolla nelle molte situazioni, sempre quando è coinvolta la Edelstein, in cui senti la verità del momento e la sua pregnanza. Nel disastro e nell’umiliazione, così come nella gioia e appagamento del momento. Un buon esempio è la cena di Thanksgiving in “Rule No. 46: Keep The Holidays Low Key” (1.11) nel momento in cui c’è una discussione sul senso della festa e sull’opportunità di affrontare conversazioni e tematiche serie in un’occasione conviviale come quella. Azzeccata e notevole. Altre volte però, troppe per me, la serie sembra una relazione che non funziona, ma che non è completamente cattiva: vai avanti per inerzia, e diverse situazioni ti infastidiscono, ma sei comunque legato, non c’è niente di così catastroficamente negativo da fartici allontanare, ma niente che ti risvegli passione e desiderio di essere lì sul serio.
Prima del debutto, c’è stata controversia sulla locandina che fotografa la protagonista che mostra l’anulare alzato con la scritta “Go Find Yourself” (Va a trovare te stesso), con evidente riferimento al dito medio alzato e alla frase “Go Fuck Yourself” (Va a farti fottere). Personalmente trovo pretestuose le polemiche e brillante l’idea che peraltro trasmette bene, anche nella lettura in parallelo, lo spirito di fondo del programma.    

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