Generation (dell’americana HBO Max),
reso graficamente come “Genera+ion” racconta di un gruppo di liceali alla
scoperta della sessualità e della vita. La serie ha fatto parlare di sé perché è
stata ideata da una ragazza ora diciannovenne, ma sedicenne quando ha iniziato
il progetto, Zelda Barnz, insieme a uno dei suoi due padri, Daniel Barz. L’altro
suo padre pure è parte del team come produttore esecutivo, così come lo è Lena
Dunham (Girls), che a sceneggiato la quinta puntata. E sebbene il titolo
si intenda come gruppo di persone nate anagraficamente nello stesso periodo, in
questo caso la cosiddetta Generazione Z, con il “più” ad indicare una
consapevolezza LGBTQ+ (gruppo a cui appartiene la maggior parte dei personaggi),
vuole avere anche il senso di “creazione”.
Siamo nel sud della
California. Chester (Justice Smith) è un ragazzo gay molto disinibito, ma anche
molto solo, che vive con sua “nonna” (in italiano nell’originale), e finisce
per innamorarsi del nuovo consulente scolastico, Sam (Nathan Stewart-Jarrett) dal
quale viene spedito per reiterate violazioni del codice d’abbigliamento
scolastico. Greta (Haley Sanchez) è una ragazza Latinx che gode un momento di
libertà ora che la madre è stata deportata e vive con la zia Ana (Nava Mau), ma
sa che non durerà, e non riesce a concedersi di poter avere una storia con la
ragazza da cui è attratta, Riley (Chase Sui Wonders), appassionata di
fotografia. Nathan (Uly Schlesinger) è bisessuale, ma quando la sorella gemella
Naomi (Chloe East) scopre che se la fa con il suo ragazzo, viene presto a
scoprirlo anche la madre Megan (Martha Plimpton). Arianna (Nathanya Alexander),
sebbene etero, si permette battute dagli altri considerate omofobe in virtù del
fatto che ha due padri gay (J. August Richards e John Ross Bowie). Delilah
(Lukita Maxwell), che non si era resa conto di essere incinta, partorisce nel
bagno di un centro commerciale, ma non si sente di dirlo ai suoi, e d’accordo
con il ragazzo che l’ha messa incinta, J (Sandy Mae Diaz), decide di dare la neonata in adozione.
Nel pilot e in alcune
altre puntate, ma non sempre e oculatamente (sarebbe diventato troppo pesante),
le stesse situazioni vengono riprese guardando allo stesso momento da più punti
di vista. Ci sono i classici tropi dei teen drama di generazioni
precedenti. Una differenza significativa è che i ragazzi sono iperconnessi: la
tecnologia, cellulari e social in particolare, sono onnipresenti. Sebbene
questo sia realisticamente rappresentato, non è grande spunto di riflessione,
pare. Un teen contemporaneo che come tale potrebbe venir richiamato è Euphoria,
ma se quello è artisticamente più riuscito, è anche più disperato, liminale e
lisergico. I personaggi qui meglio messi a fuoco sono Chester e Greta, decisamente
più tridimensionali. E il rapporto di Chester con Sam, è stato veramente ben
costruito, anche se la gestione da parte di quest’ultimo dell’intera faccenda mi
ha lasciato qualche perplessità.
Uno degli aspetti che mi
ha colpita di più, e che non riesco a decifrare quanto sia voluto e quanto sia
un difetto, è il fatto che si sbanda continuamente fra una cosa che si vuole dire,
e il fatto di dirla in modo eccessivo, esagerato, come se non si avesse il
controllo di quell’idea. Credo che sia vero dell’adolescenza. Si testano in
qualche maniera i propri limiti, e si approcciano certe idee di cui non sempre
si ha la maturità di gestire in modo appropriato. La storia di Delilah che
partorisce, che ci accompagna nel teaser prima dei titoli di testa, spezzettata
per tutta la stagione, è proprio emblematica di questa caratteristica.
Tuttavia, appunto, non riesco a capire in che termini propriamente interpretarla.
Mi spiego meglio calandola in un paio di situazioni specifiche.
È più che evidente che si
è molto consapevoli di questioni progressiste sociali e di equità, tuttavia il
modo in cui vengono usate darebbe ragione a coloro che ritengono certe
battaglie senza senso, solo performative, un modo di atteggiarsi ma di fatto
ridicole. Porto qualche esempio. Durante una lezione di matematica (1.01), Delilah
si lamenta con il professore che, all’interno del problema da risolvere, si
divide la classe in maschi e femmine, perpetrando l’idea della binarietà della
sessualità che la studentessa oppone. Il professore le risponde nei termini di
orientamento sessuale (“facciamo finta che tutti gli studenti in questa classe
fittizia siano etero”), piuttosto che di gender, cosa che non sfugge alla
ragazza che lo rimarca (“penso che la parola che intendesse usare fosse
cisgender”). Se da un lato, si simpatizza con la preoccupazione della
studentessa, perché certi stereotipi e certe idee a volte passano più in modo
trasversale che in modo diretto, contemporaneamente sembra completamente ridicolo
e pretestuoso, una fesseria, quando quello che lì si deve fare è imparare la
matematica. Si ci può stare che una ragazza molto zelante si comporti così, sembra
che qualche volta lo faccia anche la serie. Arianna cade in questo più volte: al supermercato, dice all’addetto alla sicurezza che sta cercando di spiegarle
una cosa, di smetterla di fare mansplaining, cosa
che di fatto non stava facendo. Quando prende un gran numero di bicchieri da
un’attività commerciale dicendo che non intende pagarli e scappa via gridando
“Reparations” (Riparazioni) – ovvero il risarcimento pecuniario che alcuni
ritengono si debba ai neri contemporanei per il fatto che i propri avi sono
vissuti in una situazione di schiavitù - di certo non fa una bella figura, o
bene alla causa.
Si vede perciò grande consapevolezza
di determinate questioni, ma vengono usate in modo tale da avere l’effetto
contrario. Forse bisogna constatare che è il modo in cui vengono usate da tanti
ragazzi. Forse non è un limite della
sceneggiatura, ma un limite della società, se così vogliamo dire, che viene
riflettuta da questo tipo di rappresentazione. È questo che non riesco a
stabilire, se sia una cosa una cosa o l’altra.
Esamino un altro piano in
cui lo vedo verificarsi. La serie è sboccata, ma mentre in alcune situazioni ci
sta completamente ed era anche appropriato all’età dei personaggi, in altre
sono rimasta molto perplessa. Concretamente, quando ragazzi partono per andare
in gita a San Francisco (1.06) e devono salire sul pulmino, qualcuno suggerisce
di battezzare con un nome l’autobus su cui viaggeranno. Qualcuno suggerisce
“bussy”, partendo dalla radice “bus” (autobus), ma che in slang gay indica
l’ano di un uomo (in italiano lo tradurrei “pulm-ano”, per quando questa in
italiano non sia una effettiva parola, diversamente da “bussy”). I ragazzi lo
usano più volte in più frasi, in modo divertito, con gli adulti uno che
sorride accettandolo come la ragazzata che è, l’altra senza avere idea del
significato. Ci stava completamente, è stato sia divertente, sia realistico.
Quando invece Megan (1.08) chiama i figli perché ha visto un bacio a tre di
Nathan filmato da Naomi, la ragazza dice al fratello un equivalente di “sta
cercando di fotterci entrambi”. Quello che io qui ho tradotto come “fotterci”
perché non sarei in grado tradurlo con una sola parola, nell’originale era
“fisting” (la penetrazione con il pugno). L’ho trovato un po’ forte e stonato, detto
da un’adolescente etero rispetto alla propria madre. Magari mi sbaglio, magari
è una cosa che un adolescente direbbe, ma a me è sembrato fuori luogo.
In fondo, come dicevo quando ho introdotto questa mia osservazione, lo si vede proprio anche da Delilah che decide di dare in adozione la bimba che appena partorito. Non sapeva di essere incinta, e deve far cercare su Google alle amiche come procedere per partorire, o come lasciarla perché venga data in adozione (con anche un momento di gruppo molto toccante, sul dunque), ma poi quando decide di farlo, esprime un lungo elenco di desideri e aspettative di giustizia sociale in cui vorrebbe che sua figlia fosse cresciuta. Da un lato si è infantili e inconsapevoli, dall’altro molto maturi e fin troppo coscienti. Suppongo sia in effetti una definizione di adolescenza e quindi promuovo questo progetto che continuerò a seguire se verrà rinnovato per una seconda stagione.
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