Sesso, droga e iperlavoro,
non necessariamente in quest’ordine, sono gli elementi fondanti di Industry
(HBO, BBC2), su un gruppo di neolaureati che cominciano un periodo di prova
presso un’importante banca londinese, la Pierpoint & Co.: alla fine del
ciclo (e della stagione televisiva) verranno valutati per capire chi di loro
vale la pena assumere. Giovani donne e uomini che si mettono alla prova e
scoprono chi sono in un mondo del lavoro ulttracompetitivo. Il pilot trasmette
proprio quella tensione performativa e quell’ansia da prestazione che vivono i
protagonisti, uno dei quali per questa ragione fa una brutta fine. Il titolo è
comunque generico perché, sebbene qui si sia nel mondo dell’alta economia e
finanza, è applicabile anche ad altri settori: quello che è sotto i riflettori
sono le mircopolicy di certi ambienti (cfr l’intervista con gli autori in
TV’s
Top5).
Harper (Myha’la Herrold) è
un’americana che ha mentito sulle proprie credenziali per essere lì, ma supera
la paura di venire scoperta quando Eric (Ken Leung, Lost), suo mentore, la
prende sotto la sua ala. Yasmin (Marisa Abela), che ha genitori di origina
libanese e parla fluentemente anche arabo e spagnolo, viene da una famiglia economicamente
e socialmente privilegiata, e vive con il fidanzato con il quale c’è un
rapporto un po’ fiacco. Robert (Harry Lawtey) è un laureato a Oxford proveniente
dalla classe operaia che è desideroso di apprendere i costumi del nuovo
ambiente in cui ora si trova a navigare e presto comincia a provare attrazione
per Yasmin e a flirtare con lei. Augustus "Gus" (David Jonsson), un
gay nero britannico laureato in studi classici a Eton e Oxford, che condivide
un alloggio con Robert, sa di valere. Hari, un laureato della scuola pubblica, figlio
di immigrati di lingua urdu, è tesissimo e ansioso: finisce per dormire nella
toilette perché non ha nemmeno il tempo di tornare a casa. A supervisonarli ci
sono numerosi dipendenti senior della banca, ma in particolare creano un rapporto
con Daria (Freya Mavor). Sara Dhadwal (Priyanga Burford) è la presidente della
banca.
Mickey Down e Konrad Kay,
che hanno una formazione nel mondo dell’alta finanza e hanno ideato la serie, hanno
reso quel mondo in modo realistico, riuscendo a rendere appetibili e
comprensibili situazioni economiche complicate: anche quando non capisci,
riesci a comunque a comprendere che cosa sta accadendo. Hanno attivato anche l’interesse
di Lena Dunham (Girls), che ha diretto il pilot, e si sente come possa
essere vicino alla sua sensibilità, specie nelle relazioni personali. Anche
nella descrizione degli atti sessuali la serie è molto esplicita, anche se non
l’ho mai percepita come volgare.
Come si possa essere molto
bravi e molto inesperti viene reso alla perfezione qui: è uno dei punti di forza
del programma, che nel finale decolla proprio, mostrandosi più di mero escapismo.
Poco dopo la metà della stagione, Eric chiude la porta della sala riunioni,
dove le chiede di andare per parlarle in privato, e fa una ramanzina ad Harper.
ATTENZIONE SPOILER. Su quel chiudere quella porta si costruiscono successivi
ben calibrati colpi di scena, fino alla detonazione finale. La regia è stata
sottile a sufficienza da far notare che la porta veniva chiusa – io so di aver
percepito che mi sarei sentita a disagio, per il fatto che veniva chiusa a
chiave, se fosse capitato a me nella vita vera -, ma non così tanto lì per lì,
da far capire che poteva essere un potenziale problema. Quando Harper chiede di
aprire la porta, lui lo fa subito senza problemi. Questo mi aveva rilassata, e
mi sono detta che forse ero io che avevo percepito una situazione “di
potenziale pericolo”.
Appena Harper nella
puntata successiva (1.06) lo menziona a Daria, lei sottolinea come sia un
comportamento inadeguato, e Eric viene licenziato, e ad Harper viene chiesto di
firmare una sorta di NDA. In chiusura però Harper viene messa davanti a una
scelta: dire che è stata forzata da Daria a fare quella dichiarazione, e così
reintegrare Eric, oppure lasciare che le cose stiano come stanno. Daria e la presidente
della banca, Sara, le dicono che vogliono l’opportunità di cambiare la cultura.
All’uomo invisibile vogliono sostituire la donna visibile.
La scelta finale di Harper,
che non spoilero, è interessante perché in qualche modo apparentemente mette in
contrapposizione istanze e aspirazioni femministe e lealtà personali, ma in
realtà fa riflettere su che cosa significhi anche eventualmente fare delle scelte
femministe. In questo entra in gioco anche una molestia che Harper ha dovuto
subire da una cliente proprio nel pilot. E che cosa significhino l’integrità e
la relazione personale in una ambiente in cui apparente non hanno un valore. Ad
un certo punto, viene insegnato alla ragazza come misurare, con la clessidra,
il tempo al telefono in cui, prima di parlare d’affari ci si dedica alle
vicende personali del cliente, per dare l’illusione di un legame, che in realtà
ha interesse solo in termini economici. Su quello standard ci si misura. E si riflette,
anche su quello che è apparente e performativo, e quello che è sostanziale.
Alla fine, un programma
notevole, che alla luce della prima stagione intendo proseguire. Che avesse menzioni agli Emmy in qualche categoria non mi sorprenderebbe.
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