martedì 26 ottobre 2021

GHOSTS: una sit-com di spiriti e di spirito

Avevo casualmente visto il pilot della versione inglese di Ghosts in un viaggio aereo di ritorno dagli Stati Uniti, nel 2019, anno in cui ha debuttato. Mi era piaciuto a sufficienza da voler vedere subito il remake americano, che gli rimane molto fedele, nell’incipit. Da quello che ho letto – non ho modo di verificarlo di prima mano – se ne discosta dalla terza puntata.

Il concetto è forte, e l’umorismo non manca. Una giovane giornalista freelance newyorkese, Samantha (Rose McIver, iZombie) riceve in eredità una grande dimora di campagna che non sa essere abitata da fantasmi. Nonostante l’iniziale diffidenza di lui, lei e il marito Jay (Utkarsh Ambudkar), un cuoco, decidono di rinnovarla per farne un bed&breakfast. Durante la permanenza sul luogo, lei cade dalle scale. Tecnicamente morta per 3 minuti a seguito dell’esperienza, quando torna a casa, questi fantasmi li vede come se fossero in carne e ossa. Non è pazza. E per gli spiriti che vagano per la casa è fantastico avere una viva con cui comunicare. Loro sono morti in varie circostanze e epoche diverse.

Hetty (Rebecca Wisocky) è l’originaria proprietaria della casa. Issac (Brandon Scott Jones) è un veterano della guerra d’Indipendenza morto per dissenteria, evidentemente ma non esplicitamente attratto dagli uomini. Pete (Richie Moriarty) è un capo dei boy scout morto nel 1985 per una freccia conficcata nel collo. Flower (Shelia Carrasco) è una hippie morta per l’attacco di un orso con cui cercava di fare amicizia (complici le droghe). Trevor (Asher Grodman) è l’ultimo deceduto in ordine di tempo, un trader di Wall Street donnaiolo e amante della bella vita, morto senza pantaloni. Alberta (Danielle Pinnock) è una cantante flapper morta per un possibile attacco di cuore, anche se lei è convinta di essere stata assassinata. Sasappis (Roman Zaragoza) è un nativo americano della tribù dei Lenape. Thorfinn (Devan Chandler Long) è un tonitruante vichingo che ha visto la fine colpito da un fulmine. Crash (Hudson Thames), decapitato, è per ora apparso solo nel pilot, ma la produzione dice che potrebbe tornare in episodi futuri. Poi ci sono una serie di fantasmi senza nome morti di colera, emaciati, puzzolenti.

Le dinamiche fra i fantasmi sono scoppiettanti. Sono un gruppo di mal-abbinati che difficilmente si sarebbero trovati volontariamente insieme, ma che ora devono passarci l’eternità, o quanto meno il tempo necessario a, finalmente, raggiungere l’aldilà a loro negato. Parte dell’umorismo viene da fatto che arrivano da contesti e epoche molto diverse fra loro per cui non colgono i reciproci riferimenti culturali, o hanno modi di pensare diversi. Molti di loro non hanno idea di che cosa possa essere un film, ad esempio, e Thorfinn è esaltato quando vede per la prima volta un televisore e vede che parlano della sua gente; Isaac è entusiasta all’idea che in Internet si possa sapere qualcosa di lui, in che modo viene ricordato, avvilito che Alexander Hamilton sia diventato più famoso di lui; Hetty ha vissuto in un’epoca in cui alle donne non era concesso votare, e lei è contraria che lo facciano, e ci vuole Alberta a farle vedere la situazione in una prospettiva differente, quando si tratta di scegliere qualcuno che faccia loro da rappresentante con i vivi...  

Ideato da un nutrito gruppo di autori (Mathew Baynton, Simon Farnaby, Martha Howe-Douglas, Jim Howick, Laurence Rickard, e Ben Willbond) la sit-com è stata adattata per l’americana CBS da Joe Port e Joe Wiseman, già produttori di Zoey’s Extraordinary Playlist. L’umorismo è ora buffo e un po’ svitato, ora profondo e intenso. Da una premessa anche sufficientemente sciocca infatti c’è il potenziale di riflettere col sorriso in termini storico-antropologici su diverse questioni, volendo. La serie è stata confermata per un’intera stagione per cui ci sarà tempo di approfondire gli archetipi messi in scena. Inizialmente non ero troppo convinta dell’intesa fra i due sposini, che apparivano poco in sincronia, ma già dalla seconda puntata questa sensazione per me è sparita – forse ero io. Se regge nel tempo quello che le prime puntate offrono, si ha garantita una serie allegra, con cuore, leggera ma non stupida, insomma piena di spiriti e di spirito.     

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