mercoledì 14 dicembre 2022

THE BEAR: televisione stellata

Intenso, serrato, gridato, anche nelle inquadrature che si affidano a primissimi piani, ansiogeno, con ritmi incalzanti, The Bear (Hulu, in Italia su Disney+), che è il nomignolo con cui è conosciuto il protagonista, porta dietro le quinte di una paninoteca-tavola calda di Chicago.

Carmen “Carmy” Berzatto (Jeremy Allen White), un brillante chef di origine italiana abituato a lavorare nell’alta ristorazione, dove si confezionano manicaretti che finiscono sulle riviste patinate ma dove si subiscono anche pensati abusi verbali sul lavoro, torna a casa per gestire il locale di famiglia dopo il suicidio del fratello maggiore Mikey (Jon Bernthal, The Walking Dead), che si è sparato quattro mesi prima di quando cominciano le vicende. Co-proprietaria del locale, che si chiama The Beef ed è in un mare di debiti, è la sorella minore dei due, Natalie detta "Sugar", ma il manager di fatto dell’umile ristorante è Richard "Richie" Jerimovich (Ebon Moss-Bachrach), loro cugino e miglior amico del defunto. Carmy, si ritrova una cucina fatiscente e uno staff mal organizzato. Assume come sous-chef la giovane Sydney Adamu (Ayo Edebiri) desiderosa di fare esperienza con il talentuoso Carmen, riconoscendone la bravura: lei ha una formazione accademica assicurata dalla CIA (l’Istituto Culinario Americano) e l’impazienza di lasciare la propria impronta. Insieme riorganizzano la cucina, nonostante l’iniziale ostilità di alcuni dello staff che presto però comprende la svolta che possono avere sotto la nuova guida. Fra loro spiccano Tina (Liza Colón-Zayas), determinata cuoca storica del posto, e Marcus (Lionel Boyce), panettiere che aspira a diventare pasticcere.

Ideata da Christopher Storer, che ha scritto una buona porzione degli episodi e ne ha diretti diversi, condividendo i credits della regia con Joanna Calo, la serie, con otto episodi di circa 30 minuti (ma variabili a seconda della puntata) racconta dei ritmi frenetici delle cucine di trincea, ma si trattano temi come il lutto, le ambizioni fallite e quelle nascenti, il mentoring, la famiglia, il cibo, la mascolinità, la salute mentale. Carmy vuole che come forma di rispetto tutti si riferiscano gli uni con gli altri come “chef”, e per evitare incidenti in un luogo ristretto dove c’è continuo movimento e pressione si gridi "Angolo!" o "Dietro!" quando ci si muove vicino a uno spigolo o dietro a qualcuno. È un’impresa corale, dove ciascuno ha un suo ruolo ben definito, che deve funzionare alla perfezione per non crollare nella pressione frenetica delle richieste. Il pianosequenza di quasi venti minuti di 1.07, in cui esplode la tensione in cucina, che The Atlantic (qui) ha definito “semi-sadistico”, e il monologo di circa sette minuti di Carmy nel successivo ultimo episodio (tempesta e quiete), sono memorabili.

Ho trovato molto acuta Lucy Mangan su The Guardian quando osserva come parte della genialità di questo programma consiste nel non rendere Carmy torturato dalla propria brillantezza. Lo è dal dolore, ma “il suo genio è una cosa imbrigliata e controllata. Non lo usa per alimentare un ego mostruoso o per giustificare l'aggressività verso i sottoposti, o per fare altre cose narcisistiche che siamo abituati a credere siano la naturale conseguenza di doni smisurati. Quando perde il controllo, nel penultimo episodio, deve lavorare per fare ammenda. The Bear non perde mai di vista l'impegno necessario non solo per guadagnarsi da vivere, ma anche per essere un essere umano funzionante e semi-decente”.

Se siete disposti a immergervi in un ambiente caotico e fenetico che è certo di provocarvi ansia al solo guardarlo, chiamatela feel-bad television se volete, potete essere certi di venire premiati con un manicaretto di primordine. Televisione stellata. 

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