lunedì 5 dicembre 2022

THIS IS GOING TO HURT: crudo e venato di umorismo

This is going to hurt, ovvero “Farà male”: questo è il titolo della serie della BBC1 (e co-prodotta dalla AMC, in Italia disponibile su Disney+) ideata e interamente scritta da Adam Kay che l’ha basata sul suo memoir dallo stesso titolo, che racconta le vicende in un reparto di ostetricia e ginecologia di un ospedale inglese del servizio sanitario nazionale. Perciò non si può certo dire che non ci abbiano avvertito. È stato in effetti doloroso, e per la migliore delle ragioni possibili. L’episodio 6 è stata una delle pagine di televisione più belle e devastanti che abbia visto quest’anno: costruita lentamente, montata puntata dopo puntata. Ineccepibile nel dire senza dire, come nessuno meglio degli inglesi sa fare. Se penso all’ultima battuta del personaggio di Shruti (Ambika Mod) in quella puntata, sono capace di mettermi a piangere anche ora. E c’è il dolore fisico ginecologico, che è difficile venga mostrato in un simile ventaglio di situazioni.

All’esordio, nonostante le eccellenti recensioni che la preannunciavano, ero rimasta un po’ infastidita dai commenti sarcastici del protagonista che rompeva la quarta parete, alla Fleabag. Mi parevano inadeguati. Poi si sono fatti più soft o io ho imparato a conoscerlo, chissà…in ogni caso mi ha conquistata. Adam (Ben Whishaw, A Very English Scandal) è un giovane medico completamente assorbito e sfinito per il proprio lavoro nel reparto maternità, tanto che commette l’errore di mandare a casa una paziente che poi necessita un parto cesareo perché in pericolo. Nigel Lockhart (Alex Jennings), suo diretto superiore, deve intervenire e anche Tracy (Michele Austin), la capo ostetrica lo tiene d’occhio. La sua vita privata ne soffre molto perché trascura il ragazzo con cui esce, Harry (Rory Fleck Byrne), e inizialmente lo tiene nascosto ai colleghi e alla madre (Harriet Walter). Il suo affrontare le tensioni con sarcasmo non gli impedisce di sentirsi pressato dal ritmo incalzante delle richieste, dalla scarsità delle risorse, dalla burocrazia e dagli interessi personali, dalle aspettative altrui. Shruti, un’empatica tirocinante, pure è sopraffatta dal lavoro e dallo studio: un collega la invita fuori, ma non ha tempo; i genitori sono orgogliosi di lei, ma ne sente la pressione; scoppia e avere il lavoro che per lei era il sogno di una vita non si rivela quello che si aspettava. Vicky (Ahsley McGuire), sua supervisora al lavoro, la avverte che è sempre così, è molto stressante (1.04), e non tutti ci sono portati.

Le descrizioni delle situazioni sono molto oneste e anche brutali. Io credo di poter dire di sapere una cosa o due sulla fatica, e non so se l’ho mai l’ho vista rappresentata così bene. I protagonisti sono davvero esausti e sono spesso lì per crollare, fisicamente, ma anche proprio per le responsabilità e il burn-out, tirati continuamente da tutte le parti. In questo senso ha particolarmente brillato la summenzionata puntata numero 6, dove si fa un confronto fra il servizio delle cliniche private e quello delle strutture pubbliche e non si dice quello che ci si aspetterebbe: è un applauso ai medici pubblici sottopagati e sovraccarichi di lavoro che fanno davvero miracoli in situazioni impossibili.  Anche sul fronte delle pazienti le situazioni sono toste: c’è quella razzista, quella che subisce abusi in ambito domestico, quella che si taglia con la forbice le grandi labbra perché le trova esteticamente strane…E il parto nella season finale (1.07) è un unicum: non ne ho mai visto uno mostrato in tale dettaglio e realismo, con la telecamera sparata in mezzo alle gambe della partoriente. Non poteva essere più appropriato e di impatto.

Cruda, ma venata di un umorismo che alla fine è necessario, la serie evita il melodramma, anche lì dove sarebbe facile caderci. La recitazione è al massimo livello. Da non perdere.

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