This is going to hurt, ovvero “Farà male”: questo è il titolo della
serie della BBC1 (e co-prodotta dalla AMC, in Italia disponibile su Disney+) ideata
e interamente scritta da Adam Kay che l’ha basata sul suo memoir dallo stesso titolo, che racconta le vicende in un reparto
di ostetricia e ginecologia di un ospedale inglese del servizio sanitario
nazionale. Perciò non si può certo dire che non ci abbiano avvertito. È stato in effetti
doloroso, e per la migliore delle ragioni possibili. L’episodio 6 è stata una
delle pagine di televisione più belle e devastanti che abbia visto quest’anno:
costruita lentamente, montata puntata dopo puntata. Ineccepibile nel dire senza
dire, come nessuno meglio degli inglesi sa fare. Se penso all’ultima battuta
del personaggio di Shruti (Ambika Mod) in quella puntata, sono capace di
mettermi a piangere anche ora. E c’è il dolore fisico ginecologico, che è
difficile venga mostrato in un simile ventaglio di situazioni.
All’esordio, nonostante le
eccellenti recensioni che la preannunciavano, ero rimasta un po’ infastidita
dai commenti sarcastici del protagonista che rompeva la quarta parete, alla Fleabag. Mi parevano inadeguati. Poi si
sono fatti più soft o io ho imparato a conoscerlo, chissà…in ogni caso mi ha
conquistata. Adam (Ben Whishaw, A Very
English Scandal) è un giovane medico completamente assorbito e sfinito per
il proprio lavoro nel reparto maternità, tanto che commette l’errore di mandare
a casa una paziente che poi necessita un parto cesareo perché in pericolo.
Nigel Lockhart (Alex Jennings), suo diretto superiore, deve intervenire e anche
Tracy (Michele Austin), la capo ostetrica lo tiene d’occhio. La sua vita
privata ne soffre molto perché trascura il ragazzo con cui esce, Harry (Rory
Fleck Byrne), e inizialmente lo tiene nascosto ai colleghi e alla madre
(Harriet Walter). Il suo affrontare le tensioni con sarcasmo non gli impedisce
di sentirsi pressato dal ritmo incalzante delle richieste, dalla scarsità delle
risorse, dalla burocrazia e dagli interessi personali, dalle aspettative
altrui. Shruti, un’empatica tirocinante, pure è sopraffatta dal lavoro e dallo
studio: un collega la invita fuori, ma non ha tempo; i genitori sono orgogliosi
di lei, ma ne sente la pressione; scoppia e avere il lavoro che per lei era il
sogno di una vita non si rivela quello che si aspettava. Vicky (Ahsley
McGuire), sua supervisora al lavoro, la avverte che è sempre così, è molto
stressante (1.04), e non tutti ci sono portati.
Le descrizioni delle
situazioni sono molto oneste e anche brutali. Io credo di poter dire di sapere
una cosa o due sulla fatica, e non so se l’ho mai l’ho vista rappresentata così
bene. I protagonisti sono davvero esausti e sono spesso lì per crollare,
fisicamente, ma anche proprio per le responsabilità e il burn-out, tirati
continuamente da tutte le parti. In questo senso ha particolarmente brillato la
summenzionata puntata numero 6, dove si fa un confronto fra il servizio delle
cliniche private e quello delle strutture pubbliche e non si dice quello che ci
si aspetterebbe: è un applauso ai medici pubblici sottopagati e sovraccarichi
di lavoro che fanno davvero miracoli in situazioni impossibili. Anche sul fronte delle pazienti le situazioni
sono toste: c’è quella razzista, quella che subisce abusi in ambito domestico,
quella che si taglia con la forbice le grandi labbra perché le trova
esteticamente strane…E il parto nella season finale (1.07) è un unicum: non ne
ho mai visto uno mostrato in tale dettaglio e realismo, con la telecamera sparata
in mezzo alle gambe della partoriente. Non poteva essere più appropriato e di
impatto.
Cruda, ma venata di un umorismo che alla fine è necessario, la serie evita il melodramma, anche lì dove sarebbe facile caderci. La recitazione è al massimo livello. Da non perdere.
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