Meritatamente
miglior serie drammatica agli Emmy del 2025 (ne ha vinti 5 in varie categorie
su 13 nomination), The Pitt, ideata da R. Scott Gemmill, è figlia
putativa ed erede spirituale di ER: è ambientata nel pronto soccorso (the
pitt, “la fossa” appunto, come ama chiamarla il protagonista principale) di un
grande ospedale, in questo caso quello del fittizio Pittsburgh Trauma Medical Center;
ha un nutrito cast che lavora in ensemble; ha come lead actor
Noah Wyle, che ha letteralmente fatto la gavetta nella serie medica che vediamo
come genitrice e che qui interpreta il dottor Michael "Robby"
Robinavitch, medico a capo del posto di lavoro; produttori esecutivi sono John
Wells e Noah Wyle. Se nel DNA si riconosce ER, non è un reboot, con
buona pace degli eredi del creatore di quest’ultima, Michael Crichton, che
hanno intentato una causa ritenendo che lo fosse, e non autorizzato. A me è
indubbiamente piaciuto molto di più,
anche per il tono meno frenetico. C’è molto gergo tecnico, ma come ha ben
osservato lo stesso Wyle in un’intervista
a Fresh Air, non è necessario che il pubblico comprenda, è sufficiente
che veda che i medici sanno quello che fanno in quella che scherzosamente
chiama “pornografia della competenza”. Esteticamente tende ad essere
iperrealistico (un parto in 1.11 ne è un bell’esempio) e notevole a mio avviso
è stata la decisione di non avere musica, con lo specifico obiettivo di
rimuovere un “artificio”: la colonna sonora è data dai rumori della
strumentazione e dal gergo di cui sopra.
Qui ogni
puntata corrisponde esattamente a un’ora di un turno di lavoro di 15 ore,
stratagemma che rende la fruizione particolarmente adatta al binge watching
anche se nella programmazione ne viene consegnata al pubblico solo una puntata
alla settimana. La giornata della prima stagione segna per il dottor Robby
l’anniversario della morte del suo mentore, morto di COVID anni prima, evento
che si porta dietro ancora lutto ed emozioni represse, e disturbo
post-traumatico da stress che trova molti trigger nell’uomo nel corso
dell’impegnativa giornata lavorativa. L’amministratrice dell'ospedale Gloria
Underwood (Michael Hyatt) si presenta periodicamente e pungola Robby
pretendendo una maggiore attenzione per avere migliori valutazioni da parte dei
pazienti. Insieme a lui lavorano medici, alcuni dei quali sono alla loro
primissima esperienza in un pronto soccorso, paramedici e infermieri.
LIEVI
SPOILER
La
dottoressa Heather Collins (Tracy Ifeachor), è una medica specializzanda
all'ultimo anno che è, segretamente, agli inizi di una gravidanza molto
desiderata. Il dottor Frank Langdon (Patrick Ball), anche lui specializzando all'ultimo anno, ha
un passato non troppo superato di problemi di dipendenza da sostanze. La
dottoressa Cassie McKay (Fiona Dourif), specializzanda al secondo anno, è una
42enne, separata e con un figlio undicenne, che indossa un braccialetto
elettronico per ragioni non chiarite. La dottoressa Samira Mohan (Supriya Ganesh),
specializzanda al terzo anno, è più lenta di altri perché ci tiene a stabilire
un rapporto importante e curato con i propri pazienti. Loro sono la vecchia
guardia, completati dalla caposala Dana Evans (Katherine LaNasa), infermiera
con decenni di esperienza. I neofiti sono poi Victoria Javadi (Shabana Azeez), precocissima
brillante studentessa figlia di una nota dottoressa che lavora nello stesso
ospedale che si prende subito una cotta per l’infermiere Mateo Diaz (Jalen
Thomas Brooks); Dennis Whitaker (Gerran Howell), un insicuro studente di
medicina del quarto anno, un po’ “campagnolo” tanto che una collega lo
ribattezza Huckleberry; la dottoressa Trinity Santos (Isa Briones, Picard), specializzanda al primo anno apparentemente molto determinata, ma con un
passato evidentemente difficile; la dottoressa Melissa "Mel" King,
specializzanda del secondo anno, molto empatica e neurodivergente, sebbene non
sia mai indicata una diagnosi in termini espliciti, (per l’efficace
rappresentazione di questo aspetto della sua vita si legga questo
articolo sul Time), e con una sorella autistica.
Li vedi
solo in un contesto lavorativo, e non c’è molto spazio per la parte personale.
Eppure, ora dopo ora, frammenti di loro emergono e li si conosce così. Nel Pronto
Soccorso sovraffollato e sottofinanziato, capitano ogni genere di casi e si
affronta una panoplia di situazioni e tematiche, molto attuali: l’aborto,
volontario e spontaneo, la donazione di organi, le molestie sessuali, gli
abusi, la transfobia, le dipendenze, il burn-out, professionale e dei
caregiver, il razzismo, la violenza legata alle armi, il traffico sessuale, le
lunghe attese e la carenza di personale, le personalità difficili, la mancanza
di medicina preventiva, la solitudine
maschile, i genitori che invecchiano, le vaccinazioni e le mascherine e
l’ostilità contro queste, il “dottor Google” (1.14), l’aggressione al personale
sanitario, la fatica (ho proprio notato per quanto tempo debbano stare sempre
in piedi!), la difficoltà di equilibrio fra reazione emotiva e professionale, il
fine vita… Wyle ha dichiarato in più occasioni di sostenere anche nella vita
privata i professionisti del settore, cooperando con loro, e rispetto a
quest’ultimo aspetto la serie ha anche collaborato espressamente con una noprofit,
End Well, perché venisse impostata un’adeguata conversazione su questo
argomento, evitando i modi tipici in cui solitamente è affrontato nel
prime-time (per approfondire, si veda questo
articolo sul loro sito). Le ultime puntate vedono in protagonisti impegnati
nel soccorrere gli oltre 100 feriti di una grande sparatoria di massa, in
quello che è apparentemente un’impresa da Sisifo.
In un
momento di crisi della sanità americana, esacerbata dal clima politico, sociale
ed economico che si vanta di posizioni antiintellettualiste e anti-scientifiche
che rischiano una forte regressione, la si commenta, ma si riesce comunque a
mostrare speranza guardando alle gesta di questi “first responders”, persone
che per prime intervengono, eroi nella misura in cui sono soprattutto umani,
persone a cui importa degli altri.


