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giovedì 10 luglio 2025

TASTEFULLY YOURS: gustosamente romantico e umoristico

Mi mancheranno i personaggi di Tastefully Yours (Netflix), una miniserie umoristico-romantica in 10 puntate (ma ne sarebbero benvenute altre), che di primo acchito ho trovato poco convincente, ma  poi mi ha conquistata con il suo cuore. È una favola con lieto fine, in parte prevedibile sulla base degli stilemi del genere, dove al massimo fra i protagonisti si arriva a un paio di baci e un “ti amo”, ma realizzata con garbo. È una di quelle storie  che sai che andrà a finire bene, ma vuoi vedere come e con i tuoi occhi, e se le immagini dei fotogrammi scelti alla fine di ogni puntata mi ha trasportato nostalgicamente all’infanzia perché mi ha ricordato fortemente gli album di figurine dei vari programmi TV, ho molto gradito anche il saluto finale di autori e attori che hanno ciascuno lasciato un messaggio personale in linea con il tema del programma.

ATTENZIONE SPOILER

Il potenziale erede dell’impero culinario del Gruppo Hansang, il direttore esecutivo Han Beom-woo (Kang Ha-neul), vuole a tutti i costi far sì che il proprio ristorante, il Motto, riceva tre stelle. Per questo è in competizione col fratello Han sun-woo (Bae Na-Ra) che ha un ristorante chiamato La Lecel, che pure cerca di raggiungere lo stesso obiettivo. Chi prima otterrà il riconoscimento avrà in eredità l’intero impero. A metterli l’uno contro l’altro è la madre anaffettiva, Han Yeo-ul (Oh Min-ae ), unicamente interessata al proprio conglomerato. Il cibo e i suoi ristoranti sono più importanti dei suoi figli, non è nemmeno andata al funerale della madre, anche se era giustificata dal fatto che l’azienda sarebbe fallita se non fosse andata, mentre questa è stata una nonna amorevole verso i nipoti facendo loro apprezzare piatti deliziosi (1.10), e se la si vede piangere sulla tomba della defunta è solo per il tempo in cui viene filmata dalle telecamere ai fini pubblicitari.

Beom-woo non ha una grande cultura culinaria, per lui un ingrediente vale l’altro, gli interessa solo il successo a cui viene spinto dalla genitrice. Per questo ha assunto una valente cuoca Jang Young-hye (Hong Hwa-yeon) che, molto ambiziosa, inizialmente è più interessata ai riflettori che non a essere messa sotto pressione in cucina. Quando stanno per lanciare il loro nuovo menu con un piatto esclusivo, si rende conto che c’è un altro locale che lo propone. Vi si reca e scopre con sorpresa che è una piccola locanda gestita da una giovane cuoca in bolletta, Mo Yeon-joo (Go Min-si) che al contrario è appassionata di quello che rende la cucina veramente speciale, dei sapori, degli ingredienti accuratamente selezionati, anche per stagionalità e biologici, della maestria con cui si realizzano i piatti che impara a pensare per le persone che li mangeranno. Chef Mo, che è stata abbandonata in fasce davanti a un convento e lì cresciuta, si è in seguito laureata con lode alla prestigiosa scuola di cucina CIA e ha esperienza in un rinomato ristorante, dal quale se ne è andata dopo essersi presa la colpa di un errore compiuto dal ragazzo di cui era innamorata, Jeon Min (Yoo Yeon-seok), pure lui uno chef.

Quando il giovane protagonista perde il suo locale a favore del fratello, a causa di uno sgambetto di quest’ultimo, decide perciò di fare una proposta a questa giovane cuoca mirando a diventare lui il numero uno sulla piazza. Segretamente vuole fare quello che ha fatto sempre ovvero rilevare ristoranti più piccoli, rubarne le ricette e poi chiuderli. Dovrebbe farlo anche in questo caso, ma si innamora, scopre il valore della cucina fatta non solo per soldi, l’esserci gli uni per gli altri. A condividere le avventure culinarie di Beom-woo e Yeon-Joo ci sono Jin Myeong-sook (Kim Shin-rok) la dipendente di punta del ristorante di gukbap più famoso della zona che sogna lei stessa di diventare un’autentica cuoca, e Shin Chun-seung (Yoo Su-bin) figlio del proprietario di quel ristorante di gukbap, che tutti considerano un buono a nulla finché in questo contesto non riesce a dimostrare le proprie capacità. Lavorano insieme a imparano a volersi bene.

Rispetto alle storie occidentali di questa natura, i personaggi si preoccupano meno di spiegare i propri comportamenti o errori per arrivare al perdono e all’avvicinamento reciproco. Lo vediamo noi e tanto basta. Sono più riservati. Spesso quando c’erano dissapori avrei voluto gridare ai personaggi: spiega all’altro che cosa ti spinge a comportarti così, non aspettare che ti legga nel pensiero! Il bello in ogni caso, quello che tante produzioni occidentali sembrano spesso aver dimenticato è vedere la costruzione del rapporto e come l’innamoramento non sia istantaneo, ma graduale, quando ci si conosce.   Ci sono momenti delicati, minimi, di attrazione accennata: lui la vede che si addormenta sull’autobus e le cade la testa contro il vetro e si siede accanto a lei e lei appoggia la testa contro la sua spalla, lui la prende per mano per correre a ripararsi dalla pioggia, lei lo tira verso di sé quando vede che la pensilina della fermata dell’autobus ha un buco sulla tettoia che rischia di bagnarlo… C’è il primo castissimo bacio su fuochi d’artificio a forma di cuore e quando lui vuole mettersi con lei arriva l’ex di lei (1.05) l’ostacolo-tropo per eccellenza. Ci sono le innocue schermaglie amorose e battute. Quando lui la accompagna al mercato a comprare dei granchi, la invita con entusiasmo a guardare come al maschio piaccia la femmina, lei lo fredda ribattendo che sono tutte femmine, cosa che spegne il suo sorriso in modo per noi esilarante.

Scritta da Jung Soo-yoon, con la regia di Park Dan-hee mostra anche cibo da far venire l’acquolina in bocca ha un peso notevole, sia sul fronte propriamente gustativo che su quello valoriale: una competizione di food truck dove loro presentano Gimbap classico avvicina i quattro come squadra. Un padre opposto a matrimonio del figlio con una francese cena con i genitori di lei e, sebbene ostile, attraverso il cibo si avvicinano (1.05). Veniamo da Paesi diversi ma il palato non fa distinzioni, osservano. Un pasto casalingo fuori competizione (1.10) costringe i due fratelli a sedersi con la madre intorno a un tavolo e a riassaporare piatti che evocano ricordi intimamente connessi con sentimenti radicati aprendo spiragli emozionali.

Si riflette sui rapporti familiari (i fratelli con la madre, dei due fratelli che si riavvicinano, Chef Mo con la monaca che le ha fatto da madre o sempre lei con il cuoco del ristorante da cui si è licenziata, in una storia secondaria, Shin Chun-seung con il proprio padre), sul valore dell’onestà e dell’importanza delle persone che contano più del denaro. La recitazione è solida.

domenica 10 giugno 2018

Addio a ANTHONY BOURDAIN: appunti sulla quinta stagione di NO RESERVATIONS


Photo credit: CNN

Si rincorrono i tributi alla memoria dello chef-narratore e personalità televisiva Anthony Bourdain, che si è tolto la vita nei giorni scorsi. Mi piaceva molto e mi ha rattristato la sua scomparsa. Mi sono resa conto che “avevo nel cassetto” alcuni “appunti”, scritti ancora nel 2011, sulla quinta stagione di No Reservations with Anthony Bourdain. Non li avevo mai pubblicati perché mi mancavano delle puntate da vedere. Non importa, lo faccio ora anche così. È il mio piccolo modo di rendergli omaggio.

Ogni città ha uno stile e un’atmosfera tutta sua e Bourdain ne tiene conto nel modo con cui la racconta. Scrive, viaggia, mangia… e parla con le persone, famose al grande pubblico e famose per coloro per cui cucinano ogni giorno, fosse anche solo per i propri familiari. Le relazioni fra le persone sono importanti tanto quanto il cibo, si costruiscono attraverso di esso e rendono l’esperienza del suo consumo più ricca e intensa. E lui vi si sofferma, chiedendo spiegazioni, accomodandosi intorno al tavolo delle case che la gente apre per lui mettendosi così a sua disposizione. Un misto di vita sociale e di esperienze gustative casalinghe. In un mondo globale si mostra l’eccezionalità dei luoghi singoli, dove permangono tradizioni conservate spesso da tempi immemorabili. Irripetibili. Il locale sopravvive su tutto con la sua ricchezza, particolarità, gusto.

Mexico (5.01). Prendersi il tempo di fare le cose per bene. Ore di lento sobbollire. Persone che ti parlano attraverso il cibo, ti dicono qualcosa su di sé, della propria famiglia, del loro Paese, della loro zona, della loro città, e alcuni dei venditori di cibo di strada più veloci del mondo. Guida è il suo amico-cuoco Martin, entrato negli Stati Uniti in modo illegale a 17 anni, per poi trovare successo dietro ai fornelli e riuscire a ottenere in seguito la cittadinanza. Dieci anni ci sono voluti perché tornasse nel suo Paese la prima volta. Un corrida, le tacos, bevande impronunciabili, l’isola delle bambole, dove bambole mostruose tengono lontani gli spiriti… Le mani del Messico: persone che fanno le cose a mano, tutto a mano, quello stesso giorno;  il passaggio del cibo da una mano all’altra. L’abile preparazione dei piatti, sapori, consistenze, colori, dice qualcosa di personale: da dove viene il cuoco, qui è dove sono stato, questa è la mia storia, questo è quello che amo.

Venezia (5.02). Un ritratto incantato fra calli e canali, fra gli echi del passato e le suggestioni del presente, fra palazzi, ristoranti e tavole di casa in giardino e trattorie e bacari. In Piazza San Marco, alla Giudecca, a Burano, a Marghera, al Lido… Si scopre la Venezia più tipica, dai cicchetti (che però sono bicchierini alcolici, non stuzzichini, nel solo piccolissimo fraintendimento in un abbondantissimo rincorrersi di specialità) alle ombre, dalle moleche  al fragolino, al fegato alla veneziana, alle sarde in saor, baccalà mantecato, bigoli in salsa, risotto Go e pasta: perché “senza la pasta la vita è un peccato contro Dio e tutto ciò che c’è di buono e decente a questo mondo”. Veneziani come artisti, in cucina e fuori, con passione, pazienza, e la piccola presunzione di essere migliori degli altri. È catturata nella sua essenza e scoperta di nuovo anche per chi la conosce bene, con osservazioni pregnanti e un sapiente uso di filtri che trasmette il senso della storia e della civiltà che si condensa sulle superfici di Venezia. Una lettura colta e golosa.

Washington DC (5.03). Città visibile e invisibile, di potere e di impotenza, città dove ci sono bellissimi monumenti a rappresentare bellissime idee: così la descrive Bourdain dopo un inizio in cui le interruzioni di aerei, elicotteri, macchine, sirene, bambini hanno bloccato qualunque ripresa. Dal locale di chili esistente dai tempi di Martin Luther King, all’apparente banale tipico hamburger vicino al “museo delle spie” sulla cui “arte” impara qualche trucco, alla conversazione con George Pelecanos, al pollo di cui tutti parlano, al megacentro di specialità vietnamite fra cui uno dei tanti locali tipici prepara carne cruda molto lunga da masticare accanto a formaggio fatto in casa, da raccogliere con un pane spugnoso e immergere in una salsa fatta fermentare perfino con la coca-cola, agli artistici assaggini di un raffinato mini bar, all’ex-galeotto che lavora in una cucina che non solo aiuta gli affamati, ma insegna un mestiere ai fornelli e offre un futuro a persone che non ne avrebbero uno diversamente… La capitale non è solo potere e politica, ma gente comune, con passati talvolta difficili, che lavora duramente.

Le Azzorre (5.04). Il verde, l’Oceano, la natura rude, i “buchi” nella terra che odorano come se le terra scoreggiasse, le isole sperdute dove si mangiano frutti di mare, la terra incontaminata e i sapori che mescolano oceano e Mediterraneo, staccandosi da quest’ultimo e dal vicino Portogallo in modo deciso, nella percezione di una identità autonoma.

Chicago (5.05). La sola altra metropoli degli Stati Uniti, secondo il conduttore, a parte New York. I migliori hot-dog del mondo e il miglior panino, una bomba chiamata “i tre porcellini”, e una quantità di cibi da strada “cattivi” in senso buono e cibi iper-raffinati di pesce e frutti di mare, o di cucina “terroristica”, dove anche il menù è commestibile. Una metropoli, ma rilassata.

Food Porn (5.06). Cibo e pornografia usano un “linguaggio visuale” simile e in questo parallelo tracciato da Bourdain è facile vedere fino a che punto: dalle inquadrature dei dettagli, ai mugugnii di piacere, al money shot dei programmi televisivi. Ma pornografia è anche piacere di guardare senza poi di fatto fare, e quello è anche il senso di “pornografia del cibo” in questa puntata: i cuochi più diversi preparano per Bourdain (mentre lui li guarda da una sala cinematografica) quello che è per loro il non plus ultra del cibo, siano capelli d’angelo in una salsa di ricci di mare e una copertura di caviale o sia un uovo basotto ricoperto da una fonduta di formaggio e scaglie di tartufo nero. Giapponese, coreano, francese e italiano che trovano unità creativa sotto lo stesso menù al Momofuku per un originalissimo pantagruelico pasto che vede il cuoco dichiarare che pane e burro sono per lui la pornografa del cibo. Il maiale usato in tutte le sue parti, dalla coda ripiena al naso, da una impossibile ghiottoneria all’altra appoggiate, una volta cotte, in modo da  ricostruire l’animale su un tagliere che ne riproduce l’immagine, pezzo per pezzo: sono la specialità di un gruppo di cuochi che se lo consumano mezzi nudi. Cioccolata trattata in modo tale da sembrare gioielli. Il porno personale di Bournain: pho vietnamita, una zuppa di pasta lunga, carne, verdure e ingredienti vari – calda, gustosa, “slurp”osa. E si vuole una versione culinaria di qualche feticcio? Basta andare magari in Corea o in qualche altra parte del mondo dove i piatti qui guardati sono comunemente apprezzati – insetti compresi. Piacere, voluttà, peccato. A volte viene in forma semplice, altre volte in vesti sofisticate. Un’orgia di cibo di proporzioni epiche.

Filippine (5.07). Polpettine di pollo fritte immerse in salse e mangiate da un lungo stuzzicadenti, tofu con sciroppo di tapioca bevuto da un bicchierino di plastica, “pansit” (tagliolini di pasta di riso conditi in modo vario)… Un giro in una “dampa”, mezzo mercato, mezzo locale dove ti cucinano a piacimento ciò che hai comprato. Un vero melting pot in cui è difficile indicare le influenze culinarie e in cui il cibo nazionale è l’adobo (ovvero qualunque combinazione di cibo passata con aglio, cipolla, peperoncini piccanti, salsa di soia). Tanto latte di cocco. Sisig.

La Manhattan che sta sparendo (5.08), lo Sri Lanka (5.09)

Vietnam (5.10). Un viaggio fra passato e presente, un Paese dove la guerra del Vietnam è chiamata “la Guerra americana”, dove marito e moglie subito dopo sposati hanno dovuto combattere uno contro l’altro negli scontri fra Vietnam del Nord e del Sud. Un Paese brulicante di gente dove Bourdain pensa di magari trasferirsi un anno con la famiglia e dove dice addio a una cuoca che  si è presa cura di lui e di cui incontra la famiglia e alle cui ceneri rende omaggio.  Un Paese dove la gente vive ancora in gran parte come un secolo fa e dove il tempo si ferma il lasso di una deliziosa minestra calda, un Paese che sembra immune alla globalizzazione salvo poi scoprire nel centro boutique di Dolce & Gabbana, Luis Vuitton, Gucci. Le campagne delle risaie, il locale dove si cucina illegalmente che si nasconde per il tempo di un passaggio della polizia per poi riprendere alacremente, le baguette farcite di ogni ghiottoneria…

Chile (5.11), Australia (5.12), la Rust Belt (5.13), Cibo di strada (5.14), San Francisco (5.15), la Tailandia (5.16), Montana (5.17), Domande Scottanti (5.18), Quartieri Esterni di New York (5.19).

Sardegna (5.20). Casa. È quella la sensazione che dà a Bourdain la Sardegna, e per una ragione molto specifica. Sua moglie Ottavia è italiana e i suoi familiari abitano in Sardegna. È perciò tutta la famiglia quella che lui ha reclutato per portarci in provincia di Nuoro, ad Oristano e in altre località dell’isola. Pane Carasau con pecorino, salumi e vino rosso; malloreddus; pasta con la bottarga che gli mette la scintilla negli occhi; ricotta fresca ricoperta con un filo di miele; carne d’asino. Di specialità ne assaggia molte, come sempre, gira per le strade, ammira i graffiti sui muri, conversa infilando qui e lì una parola di italiano. E coglie al volo il fatto che per molti italiani, con una cucina così, uscire a mangiare al ristorante è quasi un “character flaw”, un difetto del carattere. Come è vero!

Come sempre, anche per la quinta stagione, di 20 puntate, tanti luoghi, tante ghiottonerie e tanta cultura.

lunedì 9 febbraio 2015

GIRLFRIENDS' GUIDE TO DIVORCE e TOGETHERNESS: colpevoli di spreco


 
Girlfriends’s Guide to Divorce (le due foto sopra, puntata 1.04) e Togetherness (le due foto sotto, puntata 1.02), ripetete con me: è immorale buttare via cibo perfettamente commestibile, senza una reale ragione che ne giustifichi lo spreco. Essere arrabbiati (caso uno) o volersi mettere a dieta (caso due) non si qualificano minimamente come tali.  
Questo malcostume, per non dire di peggio, segnalato da me anche in altre occasioni (ad esempio qui, in Homeland), continua.


mercoledì 12 dicembre 2012

HOMELAND (2.05): vergogna per lo spreco di cibo

 
Non posso non lamentarmene, perché nei telefilm americani lo vado capitare ancora e ancora, e non solo lo trovo scandaloso, ma immorale, e so di essermene lamentata anche in passato: mi riferisco al gratuito e volontario spreco di cibo.
Ecco un esempio recente, nella bella puntata “Q&A” (2.05) di Homeland. Il sergente Brody vive in albergo in una breve separazione dalla moglie Jessica. Lei non riesce a contattarlo in alcun modo (lo sta interrogando la CIA) e per non destare sospetti le mentono dicendo che lui è influenzato.
Lei va a trovarlo in albergo e gli porta del brodo (foto sopra). Entrata nella sua stanza  si accorge subito che il marito non è lì da un po’. Esce arrabbiata e che cosa fa? Lo butta nel primo cestino che vede (foto sotto). Che cosa vergognosa e indegna. Cibo buono, cibo che se non avesse voluto consumare lei stessa avrebbe potuto donare a qualcuno. Invece lo getta. Vergogna! Se si vogliono cambiare questi comportamenti, la prima cosa da fare è denunciarli. Io rabbrividisco ogni volta che vedo una cosa del genere. È un insulto.