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martedì 13 luglio 2021

LA BARRIERA: una distopia al gusto di telenovela

Siamo a Madrid, anno 2045, in un ipotetico futuro prossimo distopico dopo la fine di una terza guerra mondiale, quando la città è divisa in due settori a causa di un virus, il Noravirus, che ha decimato la popolazione – nel settore uno vivono i privilegiati, nel settore 2 tutti gli altri. A dividerli c’è La Barriera (Netflix) che dà il nome alla serie, “La Valla” in originale spagnolo, e si può passare da una parte all’altra solo in possesso di specifici documenti di permesso e se non si mostrano sintomi influenzali. Ci sono quarantene, coprifuoco, visite mediche obbligatorie, scarsità di risorse, iperburocrazia, propaganda da schermi televisivi giganti in città che ripetono come tutto venga fatto per la sicurezza dei cittadini, violenze, ispezioni e intimidazione, e uno stato di polizia con controlli di guardie armate ogni piè sospinto e delatori vicini al regime. Niente mascherine però, salvo un accenno nelle ultime puntate. Poco telegenico.   

Hugo Mujica (Unax Ugalde), rimasto vedovo, arriva in città dalle Asturie, accompagnato dal fratello Álex (Manu Fullola) e con a seguito la figlioletta Marta (Laura Quirós) di 10 anni, per andare a vivere dalla suocera Emilia (Ángela Molina), che gestisce un negozio di prodotti vari ed è costantemente sorvegliata da Begoña (Ángela Vega), una vicina ficcanaso che fa da spia alle autorità. Gli sottraggono la bambina, messa in un ospedale segreto dove fanno esperimenti sui piccoli il cui sangue ha il potere di portare alla realizzazione di un vaccino. Inizialmente, per riaverla, gli dicono che deve trovarsi un lavoro, e fingendosi sposato con la cognata Julia (Olivia Molina, figlia anche nella vita di quella che le fa da madre nella finzione), che è la sorella gemella di sua moglie e si fa passare per lei, viene assunto, sotto la guida della governante Rosa (Elena Seijo), a casa del ministro della salute Luis (Abel Folk). Ex innamorato di Emilia, è ora sposato con Alma (Eleonora Wexler), che tradisce il marito con il colonnello Jiménez (Manu Fullola) e che è dietro agli esperimenti sui bambini rapiti. Oltre al piccolo Sergio (Iván Chavero), che hanno preso con sé, hanno due figli aulti, lo svogliato Iván (Nicolás Illoro) che ha una storia con una cameriera di casa, Manuela (Yaima Raimos), e Daniela (Belén Écija), che cerca di aiutare la gente del settore due e fa presto amicizia con Alex, che presto si mette nei guai, finendo anche nelle mani del militare del regime Fernando (Óscar del la Fuente), così come già il fidanzato di Julia, Carlos (Juan Blanco) era capitato sotto le mani del colonnello Jimenéz.     

Ideata da Daniel Écija (Vis a vis) la serie è per molti versi quanto mai attuale per la tematica, cosa anche un po’ inquietante se si considera che è stata realizzata pre-pandemia (ha debuttato agli inizi del 2020 in madrepatria e alla fine dello stesso anno internazionalmente). Delude, nonostante abbia un buon ritmo e intreccio, perché avrebbe potuto facilmente avere un respiro più ampio e una capacità narrativa più incisiva di denuncia dei regimi dittatoriali e di riflessione politico-sociale, alla The Handmaid’s Tale o The Man in the High Castle, che a tratti richiama nella visione. Non riesce però a sganciarsi da stilemi da telenovela, dove i collaboratori del regime non sono di più di una vicina di casa impicciona che tormenta con le sue costanti comparsate, dove un ministro dello Stato corre ogni volta che l’amore di gioventù schiocca le dita, dove a creare terrore non è un sistema tentacolare che deruba le persone della propria libertà e si prende gioco dei loro diritti, ma è la troppo ambiziosa cattiva della situazione, quella Alma senza scrupoli che è disposta a rapire e sacrificare le vite di bambini innocenti, dove ti torturano magari anche, ma poi stai bene due giorni dopo, e dove comunque le situazioni sono al limite della credibilità.   

È una visione che non annoia, ma senza gran spessore. 

giovedì 16 agosto 2018

ALTERED CARBON: deludente



Delude Altered Carbon (Netflix), ideata da Laeta Kalogridis e tratta dall’omonimo libro di Richard K. Morgan. La parte fantascientifica del futuro immaginato è inventiva e intrigante, e di fatto la vera ragione per eventualmente immergersi in questa fantasia, la parte investigativa è trita e per quanto costruita in modo non casuale, sufficientemente banale, con dialoghi da telefilm formulaico.

Siamo nel 2324, non è chiaro su quale pianeta. La morte come la conosciamo è stata sconfitta. I corpi sono ora mere custodie, mentre l’anima, la coscienza e l’identità di una persona sono conservate in una pila corticale posizionata sul retro del collo che, distrutto il corpo fisico, possono essere trasferite in un’altra custodia, a meno di non essere distrutte essere stesse. Solo in quel caso ci sarà la vera morte, che secondo un gruppo di religiosi è quello da cui non dobbiamo fuggire. Solo gli straricchi possono permettersi un back-up su cloud per cui, se perfino anche la pila viene distrutta, riescono comunque a salvarsi. Uno di questi potenti quasi-immortali, Laurens Bancroft (James Purefoy), è stato ucciso e quando la sua identità è stata recuperata da cloud, non riesce a capire chi possa averlo ucciso, dal momento che dal salvataggio della memoria mancavano gli ultimi due giorni. Re-incarna perciò in un nuovo corpo uno “Spedi”, Takeshi Kovacs (Joel Kinnaman), un soldato appositamente addestrato, nella custodia che in precedenza era stata di Elias Ryker, un poliziotto, per scoprire la verità di quanto è accaduto. Takeshi era stato messo in stasi carceraria negli ultimi 250 anni per aver combattuto contro il Protettorato e ora si ritrova a collaborare (o a scontrarsi) con la polizia di Bay City,e in particolare con la Kristin Hortega (Martha Higareda), che era stata l’amante di Ryker.

Il futuro distopico immaginato è davvero affascinante, anche perché pensato nel dettaglio. Non solo le persone si trasferiscono da un corpo all’altro, un clone o anche un corpo sintetico, ma possono essere infilate in un corpo di sesso o età diversa magari, per le ragioni più varie. Esistono esseri totalmente virtuali, come in questo caso Poe (Chris Conner), dell’albergo “Il Corvo”. Un po’ Blade Runner, un po’ Westworld, la società immaginata permette di riflettere su diversi temi (identità, corruzione, potere, costrutti mentali, famiglia, amore, lealtà…), ma primo fra tutti evidentemente su quello della morte e sul suo valore. Qui la vita eterna è solo per pochi ricchi e questo dà enorme potere su chi non può permettersela.

La sostanza però manca di spessore, si è troppo adolescenzial-sbruffoncelli e spacconi. I proiettili volano come coriandoli. C’è ampia violenza “caramella”, con molti combattimenti-coreografia e parecchia tortura, e la perenne promessa di sesso estremo che soddisfi ogni fantasia a cui di fatto si ammicca solamente. Non di affronta facilmente – molto ragionevolmente – il tema dello snuff sex, e qui è stato fatto, cosa in sé anche sensata, viste le premesse, e coraggiosa. Peccato che tutto rimanga molto epidermico.

Il presunto omicidio da risolvere (che giunge a una adeguata conclusione) poteva essere in fondo un pretesto per altro. Si è cercato, infatti di liberarsi da quella gabbia, ma senza successo e si è rimasti un crime ordinario con un rivestimento e una patina noir sci-fi e cyberpunk, nulla di  più.      

venerdì 21 settembre 2012

REVOLUTION: il nuovo progetto di JJ Abrams parte bene


Ammetto che ero partita molto sospettosa nei confronti di Revolution. Mi aspettavo già di trovarmi di fronte a un nuovo Terra Nova o Falling Skies o FlashForward. Questa  nuova serie però, che ha debuttato il 17 settembre sull’americana NBC, è partita in modo decisamente più godibile. Il pilot non è stato eccezionale, ma solido e promettente: un po’ The Walking Dead, un po’ Lost, un po’ The Hunger Games, ma anche Fuga da New York, Iron Man, Battlestar Galactica e Jericho. Ed Eric Kripke (Supernatural), l’ideatore, ha detto di essersi ispirato più a Il Pianeta delle Scimmie e a Il signore degli Anelli che a The Road. Non c’è un solo momento morto, i personaggi sembrano tutti intriganti e le relazioni anche di più, e le basi per una forte mitologia si vedono tutte. La partenza mi lascia desiderosa di vedere di più e spero davvero che la serie, a dispetto del titolo, visivamente niente affatto rivoluzionaria, prenda quota. Incrocio le dita.
ATTENZIONE SPOILER SUL PILOT. Un giorno, all’improvviso, c’è un black-out generale e sulla terra l’energia elettrica scompare, per sempre. La sparizione, mostrata in pochi flash, è efficacissima: sullo schermo TV l’immagine di Bugs Bunny spiaccicata sullo schermo svanisce, le luci lungo la corsia di un’autostrada scompaiono verso un punto di fuga prospettico all’orizzonte, i puntini luminosi sulla terra vista dall’alto si spengono come candeline su una torta. Cadono aerei come cadono governi. Quindici anni dopo il pianeta è ancora al buio e il futuro distopico che la gente vive è quello di villaggi rurali, al riparo dalle milizie che sono un pericolo costante, e di grossi centri in rovina dall’aria ora medievale dove regna il caos – forse la parte meno credibile, per il fatto che per secoli non abbiamo avuto la corrente, senza per questo essere primitivi.   
Il pilot comincia con Ben (Tim Guinee) che arriva a casa dalla moglie Rachel (Elizabeth Mitchell, Lost), tutto trafelato, consapevole di quello che sta per accadere. Quindici anni dopo, lo spietato capitano Tom Neville (l’eccellente Giancarlo Esposito, Breaking Bad) viene per portarselo via. Il figlio Danny interviene per opporsi e la situazione sfugge di mano. Danny viene catturato e Ben, in punto di morte, dice alla figlia Charlie (Tracy Spiridakos) di cercare lo zio Miles (Billy Burke). Lei, con al seguito la nuova compagna del padre, Maggie (Ann Lise Phillips), e Aaron (Zak Orth), un insegnante del suo villaggio che nella “vita precedente” lavorava per Google, lo trova nella zona intorno a Chicago. E lo convince ad aiutarla. Alle loro calcagna c’è però la milizia della Repubblica di Monroe , con marchiato a fuoco sulla pelle vicino al polso il simbolo di una “M”: è del generale Monroe (David Lyons), un tempo amico di Miles. E fra le loro fila c’è anche un aitante giovanotto, Nate Walker (JD Pardo), che ha adocchiato Charlie. Danny intanto viene aiutato da una donna, Grace (Maria Howell), che sa più di quanto non voglia lasciar credere, e che possiede uno “ciondolo”  - già lo voglio, buon segno  per loro - che consente di utilizzare la scomparsa energia elettrica, uguale a quello che poco tempo prima di morire Ben ha lasciato ad Aaron.    
La sigla di questo progetto, che porta anche la firma di JJ Abrams (è uno dei produttori esecutivi), pure è interessante, con la scritta che compare lasciando che si accenda per ultima la lettera “R” e con la seconda “O” che è come il  simbolo di accensione e spegnimento dei computer, e che scompare alla maniera in cui un tempo sparivano le scritte quando si spegneva una TV, con le lettere che per un momento appaiono distorte e che vanno a neve. È un flash ma riassume tutto il concetto dietro al programma.