Siamo a Madrid, anno 2045,
in un ipotetico futuro prossimo distopico dopo la fine di una terza guerra
mondiale, quando la città è divisa in due settori a causa di un virus, il
Noravirus, che ha decimato la popolazione – nel settore uno vivono i
privilegiati, nel settore 2 tutti gli altri. A dividerli c’è La Barriera
(Netflix) che dà il nome alla serie, “La Valla” in originale spagnolo, e si può
passare da una parte all’altra solo in possesso di specifici documenti di permesso
e se non si mostrano sintomi influenzali. Ci sono quarantene, coprifuoco,
visite mediche obbligatorie, scarsità di risorse, iperburocrazia, propaganda da
schermi televisivi giganti in città che ripetono come tutto venga fatto per la
sicurezza dei cittadini, violenze, ispezioni e intimidazione, e uno stato di
polizia con controlli di guardie armate ogni piè sospinto e delatori vicini al
regime. Niente mascherine però, salvo un accenno nelle ultime puntate. Poco telegenico.
Hugo Mujica (Unax Ugalde), rimasto vedovo, arriva in città dalle Asturie, accompagnato dal fratello Álex (Manu Fullola) e con a seguito la figlioletta Marta (Laura Quirós) di 10 anni, per andare a vivere dalla suocera Emilia (Ángela Molina), che gestisce un negozio di prodotti vari ed è costantemente sorvegliata da Begoña (Ángela Vega), una vicina ficcanaso che fa da spia alle autorità. Gli sottraggono la bambina, messa in un ospedale segreto dove fanno esperimenti sui piccoli il cui sangue ha il potere di portare alla realizzazione di un vaccino. Inizialmente, per riaverla, gli dicono che deve trovarsi un lavoro, e fingendosi sposato con la cognata Julia (Olivia Molina, figlia anche nella vita di quella che le fa da madre nella finzione), che è la sorella gemella di sua moglie e si fa passare per lei, viene assunto, sotto la guida della governante Rosa (Elena Seijo), a casa del ministro della salute Luis (Abel Folk). Ex innamorato di Emilia, è ora sposato con Alma (Eleonora Wexler), che tradisce il marito con il colonnello Jiménez (Manu Fullola) e che è dietro agli esperimenti sui bambini rapiti. Oltre al piccolo Sergio (Iván Chavero), che hanno preso con sé, hanno due figli aulti, lo svogliato Iván (Nicolás Illoro) che ha una storia con una cameriera di casa, Manuela (Yaima Raimos), e Daniela (Belén Écija), che cerca di aiutare la gente del settore due e fa presto amicizia con Alex, che presto si mette nei guai, finendo anche nelle mani del militare del regime Fernando (Óscar del la Fuente), così come già il fidanzato di Julia, Carlos (Juan Blanco) era capitato sotto le mani del colonnello Jimenéz.
Ideata da Daniel Écija (Vis a vis) la serie è per molti versi quanto mai attuale per la tematica, cosa anche un po’ inquietante se si considera che è stata realizzata pre-pandemia (ha debuttato agli inizi del 2020 in madrepatria e alla fine dello stesso anno internazionalmente). Delude, nonostante abbia un buon ritmo e intreccio, perché avrebbe potuto facilmente avere un respiro più ampio e una capacità narrativa più incisiva di denuncia dei regimi dittatoriali e di riflessione politico-sociale, alla The Handmaid’s Tale o The Man in the High Castle, che a tratti richiama nella visione. Non riesce però a sganciarsi da stilemi da telenovela, dove i collaboratori del regime non sono di più di una vicina di casa impicciona che tormenta con le sue costanti comparsate, dove un ministro dello Stato corre ogni volta che l’amore di gioventù schiocca le dita, dove a creare terrore non è un sistema tentacolare che deruba le persone della propria libertà e si prende gioco dei loro diritti, ma è la troppo ambiziosa cattiva della situazione, quella Alma senza scrupoli che è disposta a rapire e sacrificare le vite di bambini innocenti, dove ti torturano magari anche, ma poi stai bene due giorni dopo, e dove comunque le situazioni sono al limite della credibilità.
È una visione che non annoia, ma senza gran spessore.
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