lunedì 29 maggio 2023

SUCCESSION: la memorabile quarta e ultima stagione

Si è appena chiusa Succession, una delle serie più emblematiche e seminali degli ultimi tempi: commedia, tragedia, satira. Pur con sole quattro stagioni ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama televisivo: un successo artistico di prim’ordine.  SPOILER PER LA QUARTA STAGIONE.

L’ultima stagione, che ripercorro a seguire, è iniziata in modo molto intenso da subito, con il compleanno (4.01) del magnate Logan (Brian Cox) rivelatore il suo riferirsi alle persone come "unità economiche", come soggetti che operano in un mercato, anche perché racchiude il capitalismo e ciò che lui rappresenta in un modo molto concreto. I fratelli apprendono che il padre sta tentando di acquistare nuovamente la Pierce Global Media e decidono di lanciare un'offerta rivale. Sono riusciti a creare la tensione tra le parti in gara con molta semplicità. Industry crea questo aspetto di negoziazioni affaristiche altrettanto bene, ma è così complicato che si ha l'impressione di aver bisogno di una laurea in finanza per capire cosa sta realmente accadendo. Qui no. C'è lo stesso tipo di suspense e lo stesso senso della posta in gioco, ma con numeri che un bambino delle elementari può capire. Essere così efficaci con così poco materiale è un punto di forza sottovalutato.

Si è rafforzata la posizione del patriarca come un despota che riesce a radunare la gente intorno a sé come un vero leader: è temuto, ma dalla folla riesce a suscitare una risposta onestamente esaltata, perché è credibile, in contrasto con i suoi figli, il cui ruolo è sempre perennemente amatoriale. “You’re not serious people – non siete persone serie” (4.02) spunta nei loro confronti, dopo che li ha tenuti in bilico facendo loro creder di aver bisogno di loro; non si crede alla sincerità di Logan, ma nonostante ogni possibile realtà loro, come noi, vorrebbero che fosse vero. Connor (Alan Ruck), il figlio di primo letto perenne outsider, è sempre apparso un po' patetico rispetto ai suoi fratelli. Qui, nonostante la sua situazione insicura e infelice, sembra il più forte nella sua consapevolezza di non essere amato e di non averne bisogno. Per Logan è una prolessi perfetta al suo inchino finale.

Già il titolo della serie e l'immagine di chiusura dei titoli di testa, quando i ragazzi si voltano per vedere il padre che se ne va, lasciavano naturalmente intendere che prima o poi si doveva aver a che fare con la scomparsa di Logan, lasciando i ragazzi a fare i conti con la successione. Quello che l’ideatore Jesse Armstrong e i suoi hanno fatto magistralmente è stato il tempismo con cui hanno scelto di farlo uscire di scena. Nessuno se lo aspettava così presto, magari un paio di puntate prima della fine, ma non certo alla terza puntata. È stato molto reale anche: la morte arriva quando arriva, non sceglie il momento opportuno. L'episodio “Le nozze di Connor” (4.03) è stato semplicemente superbo e ho passato metà del tempo a piangere. Non mi sorprende che sia stato salutato come uno dei migliori episodi di sempre dello show, se non della televisione proprio. Ho amato il modo in cui ha saputo cancellare tutto il resto, nel senso che questi eventi sono così potenti che sono come campi gravitazionali per le persone emotivamente coinvolte: vengono risucchiate in un buco nero di dolore e tutto il resto scompare temporaneamente. Ho amato il modo in cui hanno mantenuto il tour de force di una singola scena per molto tempo, e la sensazione di frantumazione che si prova, in tutte le multiple reazioni di sgretolamento progressivo. Ho amato il fatto che non ci abbiano mostrato il crollo e la morte di Logan, distante per noi come per i suoi figli, e già un'assenza, come in fondo la morte è. Tutta la recitazione era di alto livello, cruda e reale, ed è stato incredibile come siano riusciti a non renderla melodrammatica. Mi sono piaciuti i frenetici tentativi di determinare cosa stesse accadendo, il rifiuto di ammettere l'inevitabile da parte di Roman (Kieran Culkin), la necessità di un equilibrio tra la vita privata e quella pubblica, e il fatto che abbiamo potuto vedere come un lutto colpisca le persone in modo diverso. In genere, vengono mostrati solo coloro che sono molto vicini per legame familiare o emotivo, qui hanno mostrato anche persone più distanti e legate a lui a livello professionale, che possono essere anche (e non solo) rattristate, ma in modo diverso. Inoltre, credo sia stato intelligente evocare anche i ragionamenti egoistici, Tom (Matthew Macfadyen) in particolare, e far scegliere a Connor di procedere con le proprie nozze.

È difficile seguire un episodio epocale e Succession ci è riuscita comunque benissimo. Segno di buona scrittura, il loro dolore era molto specifico: per quanto parlasse delle conseguenze di una morte in generale, era davvero molto legato alla realtà della loro situazione. Notevole il modo in cui hanno usato la musica "d'ambiente" da funerale in chiesa come sottofondo per scene che non avevano nulla a che fare con la morte in sé. La genialità dell'episodio (4.04) è stata però l'enigma della linea sottolineata o barrata (personalmente opto per quella sottolineata) sul nome di Kendall (Jeremy Strong) come successore del magnate, in un documento testamentario privo di valore legale.  C'è tutto: il passato (Logan che è sempre stato ambiguo nei sentimenti verso i suoi figli - in parte amore, in parte disprezzo), il presente (chi prenderà il controllo), il futuro (la messa in discussione della legittimità del ruolo di Kendall). Racchiude le dispute sulla successione, che ha interessato gli episodi successivi. Si è vista l'incompetenza, il disagio e la debolezza dei fratelli Roy, anche se erano letteralmente e figurativamente al vertice e il loro essere in bilico fa l’interrogarsi su che cosa avrebbe fatto il padre e fare scelte autonome, e sono emerse le loro rivalità Shiv (Sarah Snook) che complotta con Matsson (Alexander Skarsgård), Kendall che dichiara “una testa, una corona” (4.07), Rome, sboccato giullare di corte che alla fine è il più sensibile ed emozionale di tutti – ho singhiozzato al suo straziante crollo al funerale del padre, in una puntate (1.09) fra quelle che più mi è piaciuta in una stagione davvero potente. Gli elogi funebri sono stati l'occasione per smascherare chi è veramente ognuno di loro a questo punto. Apprezzabile il ritratto che Ewan ha fatto di suo fratello. James Cromwell, che lo interpreta, sa essere piuttosto inquietante, persino terrificante per me (penso soprattutto ad American Horror Story e Six Feet Under). Probabilmente la mia scena preferita dell'intero episodio è stato lo scambio di battute tra Shiv e sua madre sulla sua gravidanza. Il modo in cui si sono capite con mezze parole e frasi che avevano a malapena un senso. Inarrivabile. Frank Vernon (Peter Friedman), Gerri Kellman (J. Smith-Cameron), Karl Muller (David Rasche) e Hugo Baker (Fisher Stevens) sul fronte professionale e le mogli di Logan pure sono sempre stimolanti da guardare. Mi ha convinto meno invece la puntata sulle elezioni presidenziali (4.08) — il Guardian ha stilato una propria classifica di tutti gli episodi, se qualcuno fosse interessato.

Si può contare sempre sull’umorismo di Greg (Nicholas Braun) e Tom e sempre acutissime sono le interazioni tra Logan e Tom, perché quest'ultimo deve navigare su una linea delicata tra servilismo e familiarità che è allo stesso tempo scomoda e divertente da guardare. Sembra uno che si avvicina a una bestia feroce senza sapere come reagirà e dove atterrerà. Si sente l'odore della paura. Si è visto Tom testare le acque su come sarebbe stata la situazione tra loro nel caso in cui lui e Shiv avessero deciso di lasciarsi, poi il lutto ha cambiato le cose e lui e Shiv hanno avuto riavvicinamenti e allontanamenti che sono esplosi a fuoco d’artificio nella feroce litigata sul balcone (1.07), spettacolare da ogni punto di vista: recitazione, emozioni, scrittura... Sembrava molto crudo e reale, anche per il fatto che hanno riesumato cose del passato (come la paura di Tom di andare in prigione) e come ognuno di loro le ha lette. Onestà brutale.

Succession è stata sezionata in ogni suo aspetto come non mai, che fosse per discutere della trama, per commentare il comportamento dei Roy come fossero persone reali, fare gossip sul loro guardaroba della cosiddetta “stealth wealth” (la ricchezza che non si fa notare dei superricchi) o chissà che altro ancora. La serie non solo si è distinta narrativamente e “drammaturgicamente” – termine che uso di proposito, per chi avesse seguito quello che è successo dopo che Jeremy Strong ha usato questo termine, che evidentemente per i parlanti medi della lingua inglese deve essere una parola inusitata (qui)—, ma anche per il linguaggio: un mix di vocabolario di alto livello e di frasi buttate giù con disinvoltura e ricche di riferimenti: entusiasmante. Grandi battute anche. La serie ha costruito parte del suo successo sulla cattiveria umoristica e senza cuore, come ha ben notato Tim Goodman che ha scelto questa quarta stagione per il suo club della TV a cui ho partecipato commentando puntata per puntata e scrivendo alcune della cose scritte qui ed è vero che questa ferocia di personaggi che ci comportano gli uni con gli altri nel modo più spietato che non è una cosa sostenibile a lungo.

L’attesissima series finale mi ha lasciata appagata: è stata intensa, imprevedibile, avvincente e sensata. L’ho guardata immediatamente perché altrimenti chi sarebbe riuscito ad andare online senza avere spoiler?

Pensavo che solo Kendall avesse la possibilità di vincere, ma trattandosi di una sorta di tragedia shakespeariana, non avrebbe potuto vincere. "Sono il figlio più grande!" grida alla sorella che non vuole votare per lui, in una riunione del consiglio che vede due posizioni in contrasto rispetto all’affare GoJo, 6 a 6, con il settimo voto di Shiv a deciderne la direzione. Mette davvero il dito nella piaga: è un bambino che vuole il giocatolo per sé perché, come ricorda in qualche scena prima, suo padre glielo ha promesso quando aveva solo 7 anni.  Ho pensato che fosse piuttosto appropriato che finisse la puntata, sconfitto, davanti all'acqua, il suo elemento ricorrente nel corso delle stagioni. E in effetti, si ha anche la sensazione che stia contemplando la possibilità di buttarsi dalla ringhiera e togliersi la vita. Vederlo inquadrato da dietro mi ha fatto venire i brividi, perché mi è venuto in mente l’analoga inquadratura di Logan nella sigla, ma di fronte al consiglio di amministrazione, non da solo su una panchina fronte-fiume.

Roman è sempre stato troppo emotivo e volubile per avere una possibilità. È stato sconsolante vedere che si è reso conto che non erano niente. E Shiv tanto per cominciare era incinta, non una situazione ideale per una persona inesperta che vuole per la prima volta ricoprire quella posizione, e troppo ricca di opinioni per essere solo la facciata americana di qualcun altro. Come ha detto loro il padre, non erano "persone serie". Connor non è mai stato interessato.

Era logico che Tom fosse incoronato come nuovo CEO della Waystar Royco: Shiv lo conosce perfettamente e, alla fine, credo che sia stata la sua descrizione a venderlo a Matsson come credibile candidato a quel suolo che ironia. Inoltre, è sempre stato mostrato come uno che lavora veramente (ha ripetuto più volte nel corso della serie quanto fosse stanco, anche perché lavorava sempre), quindi in un certo senso è anche giusto. Il suo matrimonio con Shiv è stato esplicitamente anche un contratto d’interesse, e continua sulla stessa linea. Il fatto che lei aspetti un bambino è un ulteriore vantaggio. Perfetta la scena finale di loro in limousine con lui che, senza guardarla, le offre la mano e lei gliela poggia sopra, ma lui non la stringe.

Questa serie ha parlato di molte cose (il trauma di una dinamica familiare tossica, la rivalità, il potere, l'approvazione dei genitori, la successione ovviamente...). Ha riflettuto anche su come il capitalismo sfrenato ti spezza lo spirito, ti succhia l'anima e ti rende infelice. Da questo punto di vista, le scene a casa della madre dei ragazzi, Caroline (Harriet Walter), sono state un buon contraltare. Hanno mostrato un'alternativa. I fratelli hanno potuto essere una vera famiglia. Per quanto sullo sfondo lussureggiante ci siano stati feroci litigi, erano felici, almeno per quello che è loro possibile, hanno saputo trovare un’intesa e alla fine erano uniti. Non è stato così una volta tornati all'ambiente aziendale. 

La memorabile Succession in definitiva si è chiusa con un ennesimo colpo di scena, e con coerenza, in più c'è ampio spazio per uno spin-off. E se qualcuno non fosse soddisfatto, gli si può dire, non come insulto, ma come citazione telefilmicamente colta: “fuck off!”.

mercoledì 24 maggio 2023

THE DIPLOMAT: un gustoso, dinamico thriller politico

The Diplomat viene salutata da più parti come The West Wing dei giorni nostri, un’affermazione esagerata, perché non ci sono grandi idealismi o retorica qui, né altrettanta pregnanza rispetto all’attualità; allo stesso tempo sembra qualcosa di più del paragone proposto da Daniel Fienberg di The Hollywood Reporter che lo considera alla stregua di un cheeseburger gourmet (qui). L’accostamento alla più famosa creazione di Aaron Sorkin non è infatti un’osservazione del tutto fuori luogo, e non solo per la occasionale presenza qui del classico walk-and-talk reso lì popolare, o di una trama orizzontale che potrebbe ben essere una puntata della seminale serie della NBC dilatata per una stagione. Non sorprende scoprire che ad ideare questo thriller politico sia stata Debora Cahn, che in quella serie ha lavorato dalla quarta alla settima stagione, così come in Homeland, Grey’s Anatomy e Fosse/Vernon. E a ben guardare c’è un po’ del DNA di tutte queste nella nuova produzione di Netflix, con una prima stagione di 8 puntate già rinnovata per una seconda, dopo un  esplosivo colpo di scena nella season finale: si mettono sotto i riflettori i temi della diplomazia mondiale e matrimoniale, ed è avvincente, avventurosa, attuale, brillante, dinamica e divertente, in un cocktail che riesce ad essere leggero e arguto. Con un cast da fare invidia.

Kate Wyler, interpretata da una Keri Russell la cui parte in The Americans l’ha preparata ampiamente per questa parte, è la nuova ambasciatrice degli Stati Uniti nel Regno Unito. In realtà lei non è troppo contenta della carica, vorrebbe un ruolo più operativo e meno cerimoniale, per cui si sente più adatta, ma la stanno grooming, se mi si consente la dicitura inglese, la stanno preparando per diventare vice-presidente di William Rayburn (Michael McKean), degli USA, ruolo che pure non vorrebbe. Si aspettava di cominciare una missione a Kabul, e rimpiange di essere costretta a rinunciarvi, tanto più dopo molto lavoro preparatorio. Accetta sotto l’ingombrante spinta di un marito da cui vorrebbe separarsi, pure lui ex ambasciatore con cui ha un rapporto professionale buono ma complicato, Hal, un Rufus Sewell che abbiamo visto già in ruoli “politici” sia in Victoria che in The Man in the High Castle. Lui, esperto di politica estera con molti contatti e grande capacità di tenere discorsi, deve imparare a fare da spalla e a giocare solo il ruolo di consorte.

Kate viene subito affidata al suo dipendente Stuart Hayford (Ato Essandoh), vice capo missione dell'ambasciata statunitense a Londra, che la introduce nel nuovo ambiente, e a Eidra Park (Ali Ahn), capo di una divisione della CIA. Si vede subito costretta a disinnescare una crisi internazionale molto delicata. Una portaerei britannica è stata appena attaccata nel Golfo Persico, uccidendo 41 marinai e si sospetta dell’Iran. Il primo ministro britannico Nicol Trowbridge (un sempre magnifico Rory Kinnear, Penny Dreadful) vuole mostrare il pugno di ferro, ma Kate, sapendo che l’Iran non è stato, cerca la complicità di Austin Dennison (David Gyasi), Ministro degli Esteri del Regno Unito, per fa sì che i toni si smorzino e Kate convince il Segretario di Stato americano Miguel Ganon (Miguel Sandoval) a non rilasciare immediatamente dichiarazioni. Presto emerge chi è il vero responsabile, o così pare. Fra colpi di scena (potenziali rapimenti e avvelenamenti, possibili depistaggi e altro ancora), alleanze strategiche, rapporti di intelligence e riunioni politico-diplomatiche, Kate deve trovare anche il tempo, e soprattutto lo spirito, per posare per una rivista di moda o partecipare a un ricevimento, tutto in nome del lavoro.

Se escludo l’infantile riluttanza di Kate per abiti eleganti e situazioni sociali che una nella sua posizione dovrebbe capire che sono significative per il suo lavoro  la considero la trita scappatoia per rendere una donna seria e tosta (come se così fosse) , ho trovato spassoso questo drama che, sullo sfondo di vicende genuinamente complesse, con evidenti echi alla situazione presente (Russia e Ucraina sono sulle labbra dei personaggi più di una volta, tanto per fare un esempio) e di delicati equilibri relazionali, riesce a imbastire un gustoso intrattenimento, con humor, senso dell’avventura e la consapevolezza che il palcoscenico mondiale che si calca è più complesso di quanto le news possano lasciar trasparire. Forse è un’occasione sprecata nel senso che ha effettivamente poco a che fare con la diplomazia vera e propria, e in questo senso il titolo è magari fuorviante, ma non è una serie che intende cambiare il mondo o farci grandi discorsi parenetici. Non è cronaca vera e naturalmente si prende parecchie licenze poetiche, ma è anche accurata (e per saperne di più in proposito si legga questo articolo de Il Post). È poi notevole come i due interpreti di Kate e Hal abbiano creato un’intesa istantanea fra loro come è difficile trovarne, fatta di ambizioni, di reciproche negoziazioni, e di genuino apprezzamento e sentimento l’uno per l’altra, e anche fra la protagonista e Dennison c’è ampio spazio di manovra per una storia romantica.

lunedì 15 maggio 2023

TRANSATLANTIC: il salvataggio di intellettuali ebrei durante il nazismo

Siamo nella Marsiglia del 1940 occupata dai nazisti, dopo la caduta di Parigi, nella miniserie di Netflix Transatlantic, ideata da Anna Winger (Unorthodox) e Daniel Hendler sulla base del romanzo The Flight Portfolio (2019) di Julie Orringer e di fatti realmente accaduti. Si tratta di una coproduzione internazionale e multilingue (inglese, francese, tedesco…).

Il giornalista Varian Fry (realmente esistito, e interpretato da Cory Michael Smith; Gotham) e l’ereditiera  Mary Jayne Gold (realmente esistita, a cui dà il volto Gillian Jacobs, Community), due americani che si trovano in Europa in quella buia epoca,  operano per l’Emergency Rescue Committee (il Comitato di Soccorso d'Emergenza) con l’obiettivo di far fuggire e mettere al sicuro quante più persone possibile prese di mira dal governo nazista (nella realtà ne riuscirono a salvare circa 2000), in particolare intellettuali come Hannah Arendt, Walter Benjamin, Marc Chagall e sua moglie, Marcel Duchamp, Max Ernst, Peggy Guggenheim, Walter Mehring, Victor Serge... Cercano di procurare visti, organizzare viaggi in nave, far arrivare i rifugiati in Spagna attraverso le montagne dei Pirenei, far uscire dal carcere prigionieri politici. Ad aiutarli ci sono in particolare Albert Hirschman (pure realmente esistito, e qui interpretato da Lucas Englander), un rifugiato ebreo tedesco in fuga dalle persecuzioni naziste dal 1933, di cui Mary Jayne si innamora, e Lisa Fittko (pure lei esistita, qui con il volto di Deleila Piasko), una ribelle antifascista, e dopo che la base delle loro operazioni, l'Hotel Splendide, viene saccheggiato dalla polizia, anche Thomas Lovegrove (un personaggio inventato, Amit Rahav)  vecchio amore di Varian (sulla base di effettiva documentazione che Fry aveva avuto numerosi amanti uomini), che offre la sua casa di campagna, Villa Air-Bel. Insieme a loro anche alcuni africani, come Paul Kandjo (Ralph Amoussou).  Il console americano Graham Patterson (Corey Stoll, House of Cards) si trova in una situazione ambigua, vista la neutralità degli Stati Uniti, che a questo punto ancora dovevano entrare in guerra.

Sembra un’elettrizzante avventura quella che i protagonisti qui ritratti si trovano a vivere: questa è stata la sensazione di fondo che ho percepito e che mi è parsa completamente inappropriata. Si sente molto poco il senso del pericolo e il senso politico e valoriale delle forze in campo. So di non essere stata l’unica a notarlo, anche se non arrivo a considerarlo l’insulto alla memoria di chi ha vissuto quegli eventi perché, anche grazie allo speciale dietro le quinte che accompagna la produzione, mi sono resa conto che è stato programmatico. L’obiettivo della produzione era quello di creare uno “screwball melodrama”, quindi un melodramma con una certa leggerezza e qualche momento tinto di umorismo, facendo riferimento anche alle opere cinematografiche dell’epoca. Si nota molto poco, in realtà, e non si viene mai stupiti dalla eleganza o dall’originalità della cinematografia, che invece di puntare a qualcosa di raffinato come fa la meritevole sigla di chiusura di ogni puntata, ci propone quasi un’estetica da soap opera europea. Anche le ambientazioni naturalistiche, stupende, in contrasto con gli orrori di cui sono teatro, non riescono mai a diventare personaggio, ad imporsi in dicotomia.

“Le persone pensano di non poter far nulla per cui non fanno nulla”, si fa dire a Mary Jayne ad un certo punto. Se è vero che riescono a mostrare che essere eroi non significa essere invulnerabili figure esemplari ma persone reali con difetti e problematiche che cercano di fare del proprio meglio e incappano in errori anche gravi, non si dà un senso etico ed intellettuale di maggior spessore che facilmente si sarebbe potuto avere dalla presenza di nomi così altisonanti. Già non è così moralmente scontato che vada bene battersi per salvare un pittore più di quanto non lo sia per salvare un padre di famiglia, cosa a cui c’è solo un fugare accenno, ma non sarebbe stato molto più efficace capire in che cosa credevano alcuni di questi pensatori che la Gestapo aveva nella propria lista nera? Sappiamo di Hannah Arendt, ad esempio, quello che sapevamo prima di aver visto la serie. Non ci si poteva sforzare di far capire perché ha avuto valore per l’umanità attivarsi a favore di questi specifici ebrei invece di altri, qual è stato il loro contributo? Tanto più nella prospettiva che dicono di abbracciare, ovvero quella di vedere il passato come metafora della contemporaneità. Apprezzabile, se non altro, che si sia visto che fra i perseguitati dai nazisti c’erano anche gli omosessuali, quando normalmente si riduce troppo facilmente tutto solo all’ebraicità.

Si tratta perciò di 7 puntate che scorrono con piacevolezza, ma che deludono e si lasciano sfuggire troppe occasioni per un impatto empaticamente, eticamente, esteticamente e culturalmente più incisivo.  

venerdì 12 maggio 2023

Su MILANOW si è parlato di ME/CFS

Oggi, 12 maggio, si celebra la giornata internazionale di sensibilizzazione sulla Encefalite Mialgica / Sindrome da Fatica Cronica, di cui soffro. Colgo perciò quest’occasione per segnalare un’intervista televisiva a cui ho partecipato, insieme al professor Umberto Tirelli, su Milanow, lo scorso 20 febbraio: qui (e sotto). La registrazione è stata fatta da una paziente, come meglio è riuscita.

La giornalista Graziella Matarrese ha fatto a nostro parere davvero un bel lavoro. Non ci eravamo accordati con lei, ma con una collega che non ha potuto poi esserci perché malata, e lei ha dovuto “improvvisare” ed è stata acuta e pregnante come in poche occasioni ci è capitato. Per una volta abbiamo davvero potuto sviscerare l’argomento a dovere. Questo è un vantaggio spesso trascurato di trasmissioni di reti minori che posso permettersi il lusso di dedicare tempo ad approfondire i temi di cui trattano.

Per un inghippo noi non potevamo vedere lei, solo sentirla, e vedevamo solo noi stessi, e l’illuminazione da parte nostra non era certo ideale, ma come paziente e come persona che da anni è impegnata nella sensibilizzazione su questo tema, sono rimasta veramente soddisfatta del servizio reso dalla televisione.  

Per ulteriori informazioni sulla patologia, si visiti www.stanchezzacronica.it.

martedì 2 maggio 2023

ABBOTT ELEMENTARY: per me bocciata

Con rammarico devo dire che, dopo aver seguito l’intera prima stagione, non condivido il grande entusiasmo che tutta la critica sembra aver riservato per Abbott Elementary (in Italia su Star di Disney+), sit-com pluripremiata. Forse mi sfugge quanto pregnante sia per la realtà che ritrae. È chiaro che è una lettera d’amore ai tanti insegnanti che con molta dedizione e spirito di sacrificio lavorano nella scuola primaria pubblica, evidenziando le difficoltà che incontrano, ma al di là del sentimento apprezzabile, i personaggi sono troppo bidimensionali e l’umorismo appena percepibile.

Siamo in una scuola pubblica di Philadelphia a maggioranza nera, la Willard R. Abbott Elementary School, dove una troupe (che non vediamo) sta registrando un documentario: come di prammatica, gli insegnanti spesso parlano come rivolti a una telecamera per spiegare alcune cose o vi rivolgono sguardi di commento. Le condizioni sono dure: sono pieni di lavoro, sottofinanziati, con una preside incompetente e vanesia che ha ottenuto il posto solo perché ha ricattato il responsabile che doveva scegliere chi assumere, a scapito di uno di loro che ora è lì supplente.

Janine (Quinta Brunson, che è anche ideatrice) è una maestra di seconda elementare di gran cuore e con molto ottimismo, che ci mette sempre tutta sé stessa per aiutare i propri studenti anche a rischio di strafare. Come modello, quasi una mamma sul posto di lavoro, ha Barbara Howard (una magnifica Sheryl Lee Ralph), un'insegnante d'asilo di grande esperienza, e la più rispettata. Pure entusiasta è Jacob (Chris Perfetti), mentre smaliziata e con contatti con la mala locale che usa a fin di bene è Melissa Schemmenti (Lisa Ann Walter). Come supplente arriva Gregory (Tyler James Williams) che ha una cotta per Janine e rimane sempre in imbarazzo per le sgradite avance e ammiccamenti di Ava (Janelle James), l'inetta, egocentrica e narcisa preside. Chiude il gruppo il bidello Mr. Johnson (William Stanford Davis).

Ha un che di sapore antico questa workplace comedy, come venivano confezionate una vota, e portandoci in una scuola elementare ci conduce in un ambiante che, in linea di massima, abbiamo frequentato un po’ tutti, anche se evidentemente non dalla parte degli insegnanti. Vuoi tifare per loro e per loro determinazione di fronte a costanti frustrazioni. Le storie sono quotidiane, ruotano intorno ad avere nuove attrezzature per i propri studenti, a coinvolgere il genitore assente, a motivare i bambini…e imparano loro stessi giorno per giorno che cosa funziona e che cosa no: racconta di vita vera, con gli sguardi in camera tipici dei mockumentary che coinvolgono lo spettatore nei propri sentimenti di imbarazzo o incredulità, vago disprezzo per quello che devono sopportare o in cerca d’intesa - Tyler James Williams è particolarmente esilarante in questo, per quanto tutti siano molto efficaci sotto questo aspetto. Gli attori hanno un ritmo ineccepibile e concordo in pieno con chi vi ha ritrovato il senso di comunità di Parks and Recreation. Sono reali e sono veri. Solo, non fanno ridere.

Ho letto varie recensioni per cercare di capire la magia di questa serie per cui tutti si sperticano in lodi e che evidentemente fa sganasciare tutti tranne me, che al massimo abbozzo qualche sorriso qui e lì. E pure tirato. Qualche occasionale battuta c’è anche, ma se la gran parte delle scene sono per me passabili, quelle con Ava sono addirittura inguardabili: ora che si può usare questo termine anche in italiano, posso dire cringy all’ennesima potenza.

Forse, come il personaggio di “Gifted Program” (1.06) loro sono solo troppo avanti e io non riesco a rendermi conto della loro genialità, ma per me bocciati. Per chi lo apprezza però c'è una seconda stagione e, visti i premi ricevuti, non dubito ce ne saranno anche a venire. 

sabato 22 aprile 2023

EXTRAPOLATIONS: meritevole, ma scilaba

Nella giornata mondiale della terra ha senso parlare di “Extrapolations – Oltre il limite”, una serie di AppleTV+ che ha mandato in onda la sua ultima puntata proprio ieri. È un pianeta ecologicamente disastrato infatti quello che è sotto i riflettori in una produzione alla fine dei conti meritevole, ma scialba, nonostante abbia attirato nomi di grande calibro e popolarità: Meryl Streep, Sienna Miller, Kit Harrington, Matthew Rhys, Keri Russell, David Schwimmer, Edward Norton, Marion Cotillard, Tobey Maguire, Forest Whitaker, Gemma Chan, Tahar Rahim…

Si tratta di otto storie autonome, ma vagamente collegate, che si susseguono nel tempo a distanza di decenni: nel pilot ambientato nel 2037, uno degli esordi più deboli e soporiferi che ricordi in tanto tempo, scritto e diretto dall’ideatore Scott Z. Burns, l’obiettivo principale, richiesto dalle dimostrazioni di massa e perseguito tanto dalla politica quanto dal miliardario di turno, è quello di tenere sotto controllo l’aumento della temperatura globale in modo che non superi i due gradi celsius all'anno, mentre le foreste bruciano; nel 2046 (1.02) gli animali stanno estinguendosi uno dopo l’altro, e una scienziata, comunica con l’ultima balena rimasta; nel 2047 (1.03) il livello degli oceani si è alzato enormemente e molte città devono decidere quali edifici preservare e quali lasciare che vangano inghiottiti dall’acqua: un rabbino di Miami cerca di salvare la propria sinagoga; nel 2059 (1.04), probabilmente la più riuscita delle puntate, con una storia nientemeno che di Dave Eggers (ma il teleplay di Scott Z. Burns), degli ecoterroristi ritengono di poter salvare la Terra con  un progetto di geoingegneria, rilasciando nell’atmosfera cloruro di calcio attraverso una flotta di aerei, ma il consulente della presidente degli Stati Uniti ritiene che l’effetto possa essere imprevedibile e troppo rischioso, con conseguenze non benefiche, ma disastrose; sempre nel 2059, due indiani vengono incaricati di portare in salvo dei semi che potrebbero far ricrescere le colture nel clima sempre più arido; nel 2066, in un episodio che, come il successivo, fa molto “Black Mirror”, Erza, personaggio che avevamo conosciuto bambino nel secondo episodio, ora adulto, si guadagna da vivere impersonando a pagamento personaggi per persone che si trovano in situazioni difficili, e conserva i propri ricordi a pagamento in una cloud, aggiornandoli progressivamente, ma se non paga è costretto a cancellarli;  per il 2068, che pure ricorda Upload, l’aria si è fatta ormai completamente irrespirabile, e c’è chi decide di caricare la propria coscienza e mettere la propria vita in pausa con LifePause per essere risvegliati in un nuovo corpo in tempi migliori, riducendo così per il momento a zero la propria impronta di carbonio; si chiude nel 2070 con il processo per ecocidio del miliardario Nick Bilton (un Harrington che regala un’interpretazione particolarmente riuscita), CEO della corporation Alpha, che controlla un po’ tutto nel corso degli anni – apprezzabile qui il tentativo di aggiornare la moda, sia per abbigliamento che per parrucco, che è mi piaciuta particolarmente sul versante maschile.

Nonostante l’ambizione del progetto, e la pregnanza di molte delle tematiche che estrudono in maniera fluida da quella centrale dell’ecologia — l’amore, la famiglia, la fede, l’avidità, il lavoro, la salute, la responsabilità nei confronti di se stessi e delle altre specie, l’umanità, la tecnologia, l’economia, la legge, l’ipocrisia di non voler vedere il costo delle comodità… lo spessore della riflessione è sottile, e delle numerose idee messe in campo non si vedono poi le vere conseguenze, cosa che avrebbe dato maggiore soddisfazione: quando gli ecoterroristi buttano il cloruro di calcio evidentemente non hanno l’effetto voluto, dato che il pianeta va sempre peggio, ma che cosa è successo esattamente? Ci sentiamo traditi perché si crea una tensione anche buona che però è priva di risoluzione narrativa. E al di là del respirare ossigeno da bombole, avere una dieta limitata e dover stare dentro per molte ore al giorno, come è stata impattata la vita quotidiana? Quali comportamenti correttivi sono stati messi in atto o (in un’ottica educativa) sarebbe bene metter in nato per prevenire? E la popolazione, è aumentata o diminuita? Si mostra una storia catastrofista senza mostrare possibili soluzioni o almeno tentativi di soluzione che non siano appunto quelle degli ecoterroristi, o dei genetisti che ripopolano il pianeta attraverso il DNA di animali ormai estinti. E poi…non c’è troppo poco interesse per le piante fuori da foreste che bruciano e quattro semi?

Siamo davanti a una parabola speculativa che se riesce  per la gran parte a non fare la predica, non riesce nemmeno ad essere illuminante se non nell’offrirci worst-case scenarios che, francamente, non è difficile immaginare per nessuno.


mercoledì 12 aprile 2023

INTERVISTA COL VAMPIRO: carnale e intensa

Rolin Jones, ideatore di Intervista col Vampiro (Interview with the Vampire. AMC, inedito in Italia), tratto dall’omonimo romanzo del 1976 della recentemente scomparsa Anne Rice, ha messo a fuoco in modo eccellente nello speciale di backstage della serie che cosa differenzia questa saga di vampiri dalle altre: l’attenzione non va ai poteri che hanno (che peraltro qui sono piuttosto classici), ma di sottofondo c’è il tema del fardello dell’esistenza e di come resistere, che cosa l’accumulo dei lutti e delle perdite e dei rimpianti provocano all’animo, e che cosa si fa per rialzarsi e per sopravvivere. L’autrice avrebbe scritto il romanzo in risposta alla morte della figlia, e gli autori hanno cercato di attenersi rigorosamente allo spirito del materiale ricreato, mostrando quello a cui i protagonisti rinunciano nella loro nuova vita e la solitudine e il vuoto che comporta anche quando sono in compagnia di qualcuno.

Siamo ai giorni nostri. Louis de Pointe du Lac (Jacob Anderson, Verme Grigio de Il Trono di Spade) si offre di essere intervistato, nel suo lussuoso appartamento di Dubai dove viene seguito dal suo assistente Rashid (Assad Zaman), da un giornalista che già aveva incontrato in passato e che aveva provato ad intervistarlo decine di anni prima, Daniel Molloy (Eric Bogosian), che ha una illustre carriera alle spalle, ma è ormai malato. Gli racconta di come negli anni ’10 del Ventesimo secolo abbia incontrato a New Orleans – un setting d’atmosfera che ha un ruolo di rilievo - il vampiro Lestat de Lioncourt (Sam Reid), arrogante, testardo, violento, snob, carismatico, manipolatorio, interessato solo a nutrire i propri molteplici appetiti. È stato “il mio assassino, il mio mentore, il amante, il mio creatore”, spiega, e insieme hanno formato una famiglia, anche poi con la giovane Claudia (Bailey Bass) che viene “trasformata” a soli 14 anni (crescendola così rispetto al libro) per salvarla da morte certa, una specie di figlia per loro. La lusinga della vita che spetta loro è una promessa che è in sè stessa anche una tragedia.

Per ricordare “Buffy”, il sottotesto è diventato rapidamente testo: alcune delle tematiche metaforiche classiche di queste narrazioni, segnatamente l’omosessualità, qui viene resa molto esplicita (ma era invece stata esclusa nella versione cinematografica con Tom Cruise e Brad Pitt) e non solo negli intrecci del plot, ma perfino dalle stesse parole del giornalista che vi vede il campo di interesse dei “queer theorists”; e in modo più pregnante di quanto non abbia visto altrove, si affronta in modo diretto l’argomento dell’abuso domestico, con tanto di trigger warning all’esordio di alcune puntate. E poi il razzismo, con un Louis nero che vive in un Sud di inizio del XX secolo, il potere, il fascino intossicante che ha, i limiti che ci si impone o autoimpone, l’amore, la seduzione, l’invecchiare rimanendo in un corpo che non muta, la cultura, i desideri (la mente umana si riduce a “voglio cibo, voglio sesso, voglio andare a casa”, come sostiene Lestat?) e l’appagamento (essere il killer di qualcuno è la soddisfazione di essere la fine della vita di qualcuno?), l’autodistruzione, la realizzazione dei sé, mortalità e immortalità,  i mores…

Pregnante è il tema del ricordo: “La memoria è un mostro. Noi dimentichiamo, lei no” (1.02). Qui, riportare a galla i ricordi è inteso come odissea, come viaggio, come “ricostruzione”. È una confessione, una performance quella che mette in atto Louis davanti a Daniel? Si tratta di un modo per arrivare alla verità? Che valore ha ricordare? Ricordare è giudicare, condannare o assolvere?

La serie è carnale, intensa, ferale anche (la caccia, le uccisioni). C’è il sangue, molto sangue. E nota acutamente The Daily Beast “(q)uesta Intervista è anche intelligente con il suo umorismo. È quasi come se la serie strizzasse l'occhio al nostro rapporto decennale con questi personaggi. La queerness di Louis e Lestat è presa sul serio, ma allo stesso tempo - e visto quanto a lungo molti fan hanno aspettato che la sessualità fosse così esplicita - ha un senso dell'umorismo anche per quanto riguarda la manifesta sensualità gay.

Il desiderio di essere "prosciugato", ad esempio, porta con sé certamente una nuova connotazione in questa serie. Quando Lestat converte Louis e lo porta per la prima volta nella sua bara, gli dice sfacciatamente: "Puoi stare sopra". E quale sottotesto più grande ci può essere dell'essere in the closet se non quello di essere nella bara?”

Non solo le performance sono di prim’ordine, ma la ricostruzione dei set (che evita i soliti stilemi del genere, ad esempio un ricorrere a rosso e nero), i costumi, i valori produttivi tutti sono ineccepibili. La season finale è un po’ sospesa, ma la serie è stata già rinnovata per una seconda stagione.  

domenica 2 aprile 2023

THE WHITE LOTUS: la seconda stagione, in Sicilia

Ci ha portato in Sicilia la seconda stagione di The White Lotus (HBO, Sky Atlantic), un meritato successo di pubblico e di critica per l’ideatore Mike White, anche sceneggiatore e regista, come e forse anche più della prima stagione, sottile e graffiante come non mai.

Come per il primo round, sappiamo dall’inizio che ci sarà un morto fra gli ospiti dell’albergo, portato a galla dalle acque del mare. In fondo poco importa però, durante la narrazione ce ne si dimentica anche, presi dal vedere la facciata dei protagonisti sgretolarsi dinanzi ai nostri occhi. Ancora una volta infatti, come dall’appropriata sigla si dimostra, l’apparenza perfetta e gioiosa nasconde un intimo ben più sordido e infelice.

Al White Lotus di Taormina, gestito con rigore dalla direttrice Valentina (Sabrina Impacciatore) arrivano come ospiti anche questo giro tre gruppi di persone. C’è Tanya (Jennifer Coolidge), il disperato personaggio già conosciuto nella prima stagione, ora sposata con Greg (Jon Gries), che aveva incontrato alle Hawaii e con cui la relazione comincia a scricchiolare. Incapace di stare da sola, molto needy, come si direbbe in inglese, sempre bisognosa di qualcosa o qualcuno, si è portata dietro una giovanissima assistente, Portia (Haley Lu Richardson), salvo poi ordinarle di starsene chiusa in camera per non essere vista da lei e dal marito, che non gradisce la sua presenza. Quando Greg si assenta, Tanya trova la compagnia di Quentin (Tom Hollander), un viveur inglese gay espatriato che vive in Sicilia che fa conoscere loro anche un giovane che presenta come suo “nipote”, Jack (Leo Woodall), che con i suoi modi avventurosi e sfacciati seduce Portia, che nel frattempo ha fatto amicizia con Albie Di Grasso (Adam DiMarco), un timido ragazzo appena laureato a Stanford, che perciò è geloso. Quest’ultimo è in viaggio con il padre Dominic (Michael Imperioli, I Soprano) e il nonno Bert (F. Murray Abraham): i tre sono venuti in Italia per riconnettersi alle proprie radici e vedere se riescono a contattare qualche vecchio parente. E se Bert ama flirtare con ogni gonnella che gli passa davanti, per Dominic il sesso è quasi una dipendenza, ha creato problemi con l’ex-moglie, che non ha voluto raggiungerli e non vuole nemmeno rivolgergli la parola, e si è assicurato prima di arrivare che ci fossero per lui a disposizione delle prostitute, Lucia (Simona Tabasco) e Mia (Beatrice Grannò), aspirante cantante, che si intrufolano nel White Lotus. In vacanza nella struttura ci sono anche due coppie sposate: Cameron Sullivan (Theo James, La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo), un manager di investimenti molto sicuro di sé, con la moglie Daphne (Meghann Fahy), una casalinga dedita alla bella vita, apparentemente una coppia felice sempre in cerca di effusioni l’uno dall’altra; ed Ethan Spiller (Will Sharpe), un imprenditore tecnologico arricchitosi di recente, vecchio compagno di scuola di Cameron, con la moglie Harper (Aubrey Plaza, Legion, Parks and Rec), una avvocata del lavoro che con il marito ha una relazione molto onesta, ma anche apparentemente più fredda.

Questa comedy amara-drama antologico satirico ha un bel senso del luogo e in questo caso ci porta oltre che a Taormina (l’hotel nella realtà è il San Domenico Hotel) anche a Palermo (la sigla di apertura mostra scene tratte dagli affreschi di Villa Tasca), a Noto, a Cefalù, e ci sono riprese fatte anche a Catania, e viste del mare e dell’Etna. La musica, fatta di molti classici italiani che raramente si sentono nelle produzioni straniere, ha dato un buon aiuto a creare delle atmosfere che ben rendessero le esperienze calate in una realtà esotica per i protagonisti.  

La scrittura ancora una volta ha saputo sovrapporre progressivamente numerosi strati riuscendo leggera e intensa contemporaneamente, aguzza, precisa, con un sottofondo inquietante. Ora come allora, le apparenze si sfaldano, la corruzione personale non riesce più a nascondersi. Sotto i riflettori c’è “l’influenza corrosiva del desiderio carnale”, come ha ben scritto Rotten Tomatoes, ma non di meno quello altrettanto velenoso e urticante del sospetto, della fiducia incrinata e dei sentimenti distruttivi e comportamenti manipolatori e auto-sabotanti che si porta dietro. La trama è calibrata al millimetro, e la recitazione la supporta a dovere e, se da un lato concordo con Linda Homes di NPR che in questa stagione manca la satira ai personaggi privilegiati, bianchi, privi di considerazione per gli altri ed entitled da parte del personale dell’hotel (anche se un po’ la vediamo ancora nel rapporto fra Tanya e Portia), e quindi manca quella doppia prospettiva di come gli ospiti vedono se stessi e di come chi deve servirli vede loro, da un altro lato in questo caso c’è comunque attenzione alla critica di classe  - con la consapevolezza che sesso e denaro siano forme di potere – e si compensa con una maggiore attenzione alla politica di genere, anche apertis verbis. Non è quindi una perdita di rotta, solo il concentrare il proprio focus su un aspetto differente. 

È attesa una terza stagione, che sarà ambientata in Tailandia.

venerdì 24 marzo 2023

REBOOT: una sit-com molto "meta"

Ideata da Steve Levitan (Modern Family), anche co-produttore esecutivo, Reboot (Hulu, in Italia su Disney+), cancellata dopo solo una stagione di 8 puntate,  è stata una serie molto “meta”: si irride la pratica dell'industria televisiva di riavviare vecchi show di successo, costruendo la propria sul reboot da parte di Hulu della fittizia sitcom dei primi anni '80 Step Right Up, e si coglie l’occasione, come del resto ha già fatto anche Hacks, per riflettere sulla comicità, sul valore che ha sui suoi meccanismi su che cosa la renda immortale o al contrario passata e ora magari offensiva e cringy.

Rachel Bloom (Crazy Ex-Girlfriend) è Hannah, una scrittrice di sitcom con un nuovo punto di vista sulla serie che intendono riproporre. Si vede suo malgrado costretta a lavorare con l’ideatore della versione originaria, Gordon (Paul Reiser, Mad About You), che altri non è, SPOILER, se non suo padre biologico: peccato che quando era ragazzina avesse abbandonato lei e la madre per costruirsi un’altra famiglia, quindi fra loro il rapporto non è proprio idilliaco, anche se si vede che in fondo si vogliono bene. Non è una riunione solo per loro però, ma per l’intero cast, ora invecchiato, che deve vedersela con questioni irrisolte del passato e navigare la nuova cultura dei social media. Reed (Keegan-Michael Key, Schmigadoon), laureato alla scuola di teatro di Yale, mal sopporta che la sitcom dove interpreta il patrigno gli abbia rovinato la carriera; ha un passato sentimentale con la collega Bree Marie Jensen (Judy Greer, Married), che nella fittizia serie interpreta la madre, è tornata negli USA dopo il divorzio da un duca dei paesi nordici e prova ancora per lui più di quanto non voglia ammettere; Clay Barber (Johnny Knoxville), che in Step Right Up è l’ex-marito, non è mai stato particolarmente brillante, e ora è alle prese con un passato di alcolismo, abuso di droghe e ripetuti arresti per reati minori. Zack (Calum Worthy) è l’ex bimbo ora adolescente realmente mai cresciuto che si prende una cotta per Elaine (Krista Marie Yu, Last Man Standing, Dr. Ken), una dirigente dello studio che deve supervisionare tutto, ma ha ancora poca esperienza.

Anche Episodes, per me decisamente più divertente, ci aveva portato in una writers’ room: qui il pregio sta nel mostrare il divario generazionale e nel mostrare come la comicità sia cambiata nel corso degli anni. Quando però cerca di convincerci che certi stilemi umoristici sono classici perché funzionano, nel mio caso toppa. Penso alla puntata “Growing Pains” (1.03) dove Gordon cerca di far capire ad Hannah che inciampare e cadere è divertente. Quando alla fine accade nella diegesi, tutti ridono, io no. A me non ha dimostrato che certe dinamiche sono inerentemente divertenti, ma l’opposto. Già si è andati meglio nel pilot, con una gag sui pop-corn, ma non mi hanno convinta del tutto. In ogni caso gli scontri fra i due team di sceneggiatori su quello che è più o meno occasione di ilarità funziona bene. Dicono di aver proprio incorporato nella storia effettive discussioni avvenute fra gli sceneggiatori mentre si confrontavano sull’opportunità di specifichi motteggi.

Keegan-Michael Key ha una plasticità facciale e un tempismo che lo rende impeccabile, e la sua intesa con Judy Greer rendeva il duo spassoso. Quello che mi ha convinto meno è Zack, troppo macchietta, ma ha funzionato bene quando è stato l’occasione di riflettere su come, in seguito al #MeToo, Hollywood sia cambiata in termini di atteggiamenti e politiche in materia di molestie sessuali. Nella finzione viene adottata la regola che stabilisce che chi lavora alla sit-com può chiedere di uscire a un altro membro del cast o della troupe solo una volta. Se questi dice di no, e viene ripetuto, allora è considerato una molestia sessuale. Naturalmente la vita non è così rigida e la situazione si fa divertente quando Zack chiede a Eleine di uscire, ma non è chiaro se lei abbia sentito o meno la domanda, e non sa bene se chiederglielo di nuovo per paura di violare inavvertitamente la politica sulle molestie sessuali. La questione è ulteriormente approfondita, dagli scrupoli di lei che, nonostante sia attratta da lui, rifiuta di uscirci perché tecnicamente è il capo di lui e teme anche di non essere poi presa sul serio sul lavoro, e poi dalla situazione di Hannah che si prende una cotta per la rappresentante delle risorse umane Mallory (Stephanie Allynne), ma che non è ben sicura di quale sia l’approccio più corretto.

Reboot, che pure aveva spazio per crescere, riesce prende in giro l'industria televisiva intelligentemente, senza spirito di condanna, ma con garbo ed evidente affetto. Le recensioni favorevoli e due nomination ai Critics' Choice Awards non le hanno però evitato la cancellazione, e la possibilità di venire salvata da un altro servizio di streaming è stato considerato fallito. 

martedì 14 marzo 2023

NUVOLE IN VIAGGIO parla di Telesofia

Quando oggi mi sono alzata ho trovato un’inaspettata sorpresa. Il podcast “Nuvole in Viaggio”, di mia sorella Tania e mio cognato Nicola, che esce ogni martedì e parla di “tutte le espressioni dal vasto cielo dell’arte”, come dicono in apertura ad ogni puntata, parla di Telesofia.

Grazie a loro e buon ascolto. Le puntate meritano sempre, indipendentemente dal fatto che parlino di me o meno. E non lo dico solo per affetto. Provare per credere, come diceva una vecchia pubblicità televisiva (qui per vederne una, per coloro che sono un po’ meno boomer di me).

Qui la loro pagina Instagram.

mercoledì 8 marzo 2023

SOMEBODY SOMEWHERE: umanità, amarezza, umorismo

Ispirato alla vita della comica e cabarettista Bridget Everett, che interpreta il ruolo principale ed è anche produttrice esecutiva, Somebody Somewhere (ovvero "Qualcuno da qualche parte", su HBOMax, per ora inedita da noi, ma dovrebbe approdare su Sky) racconta le vicende di Sam, una quarantenne in crisi dopo la morte di una delle sue due sorelle.

Siamo in Kansas, in una cittadina chiamata Manhattan (anche se in realtà si è girato nei sobborghi di Chicago) dove Sam è tornata per prendersi cura della sorella ora mancata. È infelice, si sente sola e persa, non è sicura di chi sia veramente, il monotono lavoro di correggere esami la logora e lascia insoddisfatta. Non riesce nemmeno a capire che cosa la renda felice: cantare, ma le spezza anche il cuore. La sua famiglia non la sostiene. La sorella Tricia (Mary Catherine Garrison) in particolare, che gestisce un negozio chiamato Tender Moments insieme alla sua migliore amica Charity (Heidi Johanningmeier), la butta giù domandandole che cosa abbia mai fatto nella vita, anche se poi lei stessa (1.05) finisce per scoprire che il suo matrimonio con Rick (Danny McCarthy) non va così bene come credeva. La madre di Sam, Mary Jo (Jane Drake Brody), è un’alcolista che è in difficoltà ad ammetterlo, e anche il padre Ed (Mike Hagerty, nel suo ultimo ruolo prima della morte nel maggio del 2022), un agricoltore, non solo fatica a riconoscerlo, ma è anche restio a confidarsi con altri e a chiedere aiuto. Sam però riesce ad ottenere il sostegno di uno dei sui migliori amici, collega ed ex-compagno di scuola, il timido Joel (Jeff Hiller), che per la propria chiesa suona il piano e, all’insaputa della pastora, organizza delle serate di cabaret spacciandole per prove del coro. Coinvolge anche Sam che finalmente trova un po’ di luce. Della nuova comunità di Sam fan parte anche Fred Rococo (il noto drag king Murray Hill, Life & Beth), scienziato del suolo dell'università, e Michael (Jon Hudson Odom), il ragazzo di Joel.

Bridget Everett guarda con affetto sincero le piccole comunità americane, riuscendo ad evitare di farle apparire sradicate e opprimenti, o idealizzate e caramellose. Ne mostra il cuore pulsante attraverso variegate e variopinte persone, umane nella loro diversità di età, debolezze, interessi, espressione di genere e forme fisiche, identità sessuali. È realistica e agrodolce, empatica e sottile, briosa ma rilassata. I dialoghi sono realistici, e c’è un senso di amicizia vera, vissuta nella quotidianità delle piccole cose.

Centra il bersaglio nel mostrare un generico dolore nei confronti della vita che non viene necessariamente di qualcosa di grande o specifico – sì, qui c’è stato un lutto importante, ma l’insoddisfazione per la realtà non viene solo da quello, ma è data dal vivere in sé stesso. Solitudine e delusione sono al centro della narrazione, eppure si riesce a trasmettere una sensazione di speranza e di calore. Si mostra come questa negatività si supera attraverso legami umani che sanno accettarti per come sei, riuscendo ad essere al contempo leggeri e significativi.

Una serie molto umana, umoristica ma con delicatezza e pronta con indulgenza e ridere delle anche di fronte alle amarezze. La seconda stagione debutta negli USA il prossimo 23 aprile. 

domenica 26 febbraio 2023

HELLO TOMORROW!: uno specchio retro-futuristico sul sogno americano

Quello che mi ha immediatamente attratto di Hello Tomorrow! (su AppleTV+, dal 17 febbraio e ora ancora in corso) è il look retro-futuristico. Qui i valori produttivi sono al top nel ricreare l’estetica di design e moda degli anni ‘50, che amo particolarmente, e l’immaginario del futuro che in quell’epoca si aveva, con tanto di locali in cui a servire sono i robot. Si dice bene in TV’s Top 5 che hanno cercato di creare un mondo fra Mad Men e I Jetsons. Di gran stile. Più di qualcuno ci ha anche notato una dose di Morte di un commesso viaggiatore. E poi il cast. Basta leggere i nomi Billy Krudup (che ben si è meritato l’Emmy per The Morning Show), Hank Azaria (Huff) ed Alison Pill (Devs, ST: Picard) per decidere di dare una chance al programma. E dalle prime puntate disponibili pare ne valga la pena.

Jack Billings (Billy Crudup) è un commesso viaggiatore di grande esperienza ed ottimismo, capo dell'ufficio vendite delle Residenze Lunari Brightside, il cui lavoro consiste nel piazzare a compratori interessati abitazioni di vario lusso sul nostro satellite. L’ex moglie, che non vede da moltissimi anni e da cui ha avuto un figlio che non lo conosce, ha un incidente che la lascia in coma, e la madre di lui, Barbara (Jacki Weaver), lo spinge ad andare a trovarla. Proprio lì incontra suo figlio Joey (Nicholas Podany) e, pur non rivelando quale rapporto ci sia fra loro, decide di prenderlo sotto la propria ala protettrice facendolo entrare nella propria squadra. All’inizio il ragazzo non pare per nulla portato, ma impara in fretta. È evidente che è il preferito di Jack e questo scatena la gelosia di Herb (Dewshane Williams), che cerca di diventare il numero uno anche perché, come gli ricorda la moglie da cui è lontano e vede solo in videochiamata, lo fa per la loro famiglia. La squadra di Jack comprende anche Eddie (Hank Azaria), un giocatore d'azzardo e alcolizzato che ha una lunga carriera alle spalle, che se la intende con Shirley (Haneefah Wood), che gestisce con efficienza tutte le pratiche dell’ufficio ed è una donna che non le manda a dire. Myrtle (Alison Pill), una casalinga che pianta il marito e si lascia dietro terra bruciata, a cui Herb ha venduto una residenza, è disperata perché pensava di poter partire subito, si vede il volo per la luna rimandato e pretende di far valere i propri diritti, rischiando di diventare una minaccia all’attività del gruppo.

Questo comedy-drama a tinte sci-fi si tiene in equilibrio fa due elementi tensivi portanti: l’insoddisfazione e l’ottimismo, la delusione di quello che la vita è e il sogno che la luna offre di poter essere un’alternativa. “Senti il profumo dei biscotti” insegna Jack al figlio, in una immaginaria situazione in cui gli apre la porta una vecchietta che li ha appena infornati, quando vuole trasmettergli di cercare di capire che cosa fa sentire bene le persone e a far leva su quello per convincerli a comprare. Perché vendere è il loro primo obiettivo, anche se dice “ricordatevelo, non stiamo solo vendendo, stiamo cambiando vite”. Insegna alle persone a mirare non a quello che pensano di potersi permettere, ma a quello che ritengono di meritarsi. È tutta un’illusione? Jack dà alla gente un sassolino dicendo che viene dal Mare della Tranquillità della Luna. In realtà glielo vediamo prendere dal fondo di un aquario. L’ex-star della TV che fa loro pubblicità gioca di finzione. È una truffa la loro? Non ne siamo certi. Quello che sappiamo è che di fronte all’allegria forzata del sorriso a trentadue denti c’è disillusione, rimpianti, solitudine. Il pulmino che, tutta allegria, schiaccia inavvertitamente la ex di Jack lasciandola in coma, è la prima crepa di un mondo in superficie perfetto e felice.

Altro fulcro del programma è il complesso rapporto padre-figlio. Jack non è mai stato un genitore e per la prima volta vuole cercare di esserlo. Di fronte ha però qualcuno che non solo è cresciuto senza di lui ma dice candidamente di non sapere chi sia suo padre e di non voler aver nulla a che fare con lui. Joey vede in Jack un mentore, è incantato dalle sue parole prima e sostenuto dal fatto che lo vede credere in lui poi, e pur di non deluderlo mente, se necessario. Fra i due, il confine fra verità e menzogna diventa molto labile.  

Fra le fonti di ispirazione, dichiaratamente ci sono Norman Rockwell e poi, nelle parole di Amit Bhalla, che lo ha sviluppato insieme a Lucas Jansen, "Billy Wilder, Preston Sturges e Frank Capra; ci siamo immersi in quei toni (…).  La giustapposizione tra il brivido e il dolore, la soap e il noir, e tutte queste cose che erano in grado di mettere in un unico film. Sapevamo che, così facendo, sarebbe sembrato più vecchio, che saremmo riusciti a creare una sorta di meta-narrazione della nostalgia attraverso il tono". Hanno tratto spunto anche dalla pubblicità dell'Esposizione Universale “dagli anni '30 agli anni '60, quando è nato il futurismo aziendale americano come forma d'arte": “è un programma che ha un'estetica costruita sulla pubblicità e su una sorta di utopia estetica. Ebbene, cosa succede quando la si vive davvero ma i robot sono un po' arrugginiti, le cose non funzionano e la moquette è macchiata?" (Rotten Tomatoes). È quindi uno specchio sul sogno americano, e come uno specchio mostra la verità, anche quello che sotto l’ottimismo si preferirebbe non vedere.