venerdì 23 dicembre 2011

CHUCK LORRE: il profilo del New Yorker sul maestro della sitcom


A Chuck Lorre, recentemente indicato dall’Hollywood Reporter fra i 50 showrunner più potenti della televisione, hanno chiesto come fosse cambiato il suo stile di dirigere un programma. Ha risposto: “Mi sono evoluto da sporadici attacchi di panico completi a un costante brusio di ansietà di basso livello”.
 A Chuck Lorre - vero nome Charles Levine, cambiato perché la madre che odiava la famiglia del padre gli diceva che era un buono a nulla, un vero Levine, ma che si è pentito di aver cambiato – The New Yorker ha dedicato un articolo nel numero del 6 dicembre 2010 dal titolo “A Simple Medium”: “È dai tempi di Norman Lear – che ha rivoluzionato la sit-com americana degli anni Settanta con programmi come “All in the Family” e che, a un certo punto, ha avuto in onda sette programmi di successo – che non capitava di avere un solo uomo che domina così tanto il genere” (p. 34).
Oltre a Two and a Half Man (un programma che gli ha consentito di trovare il suo focus comico: “uomini che si comportano come stupidi” dice l’articolista) e a The Big Bang Theory (probabilmente la sua migliore), che sono le sit-com più viste negli USA,  Mike & Molly (che sentir definire, come fanno alcuni, “il programma con le persone grasse” lo fa arrabbiare) “è la sesta sit-com ad andare in onda che Lorre abbia prodotto, ideato o co-ideato” (p.34). È fortemente coinvolto in tutti gli show che portano il suo nome. Non è un caso che la sua agenda, che lui scherzosamente chiama “L’Inferno di Chuck”, preveda anche pause pipì di cinque minuti, potenziali pause per pisolini e scherzose indicazioni che gli intimano di tornare a casa.   
Sotto faccio un sunto a flash di quello che viene detto nel menzionato articolo del New Yorker, come promemoria per me, fondamentalmente, con qualche rapido eventuale piccolo commento mio fra parentesi quadre – una specie di appunti di lavoro.
  • Ha cominciato a guardare la TV insieme al padre, apprezzando comici come Jackie Gleason, Jack Benny e Bob Hope, e uno dei suoi “momenti formativi” è avvenuto guardano l’Ed Sullivan Show. Ha trovato straordinaria la logica della battuta “Dottore, mi fa male se faccio così”, a cui il medico ha risposto “E tu non fare così”.
  • Per anni ha suonato la chitarra come professionista . Ha co-scritto la musica della sigla delle “Teenage Mutant Ninja Turtles”. 
  • Ha cominciato a lavorare in TV negli anni ’80 perché gli sembrava una cosa facile, atteggiamento che ora descrive come “arroganza carburata da stupidità”.  
  • Ha lavorato in: Muppet Babies; My Little Pony: licenziato perché non aveva una “voce da ‘Pony’”; GoldenGirls-Cuori Senza Età: è riuscito a far avere un copione a Betty White attraverso un vicino di casa dell’attrice; Charles in Charge-Babysitter; I miei due papà; Roseanne (1990-1992); Frannie’s turn: da lui ideato nel 1992 su una cinquantenne che diventa indipendente (cancellata dopo 5 settimane); Grace Under Fire: l’attrice protagonista Brett Butler era “scontenta di quasi ogni battuta di ogni copione” [io ricordo Grace under fire come una sitcom un po’ ruvida, e “molto Brett Butler”]; Cybill: la leggenda vuole che Cybill Shepherd lo abbia fatto licenziare perché lui ha applaudito troppo quando Christine Baranski ha vinto l’Emmy, lui sostiene che è stato licenziato per la scontentezza della Shephard su come “lo humor veniva distribuito”, e la Shepard dice “Chuck sa perché è stato licenziato” [Cybill è una di quelle sit-com che mi è dispiaciuto veder cancellare perché mi piaceva molto – era sia divertente che amara]; Dharma & Greg (dal 1997 al 2002).
  • Ha la reputazione di essere una persona difficile (ma è irritato del fatto che Entertainment Weekly lo abbia definito nel 2007 “l’uomo più arrabbiato della televisione”) e detesta i critici televisivi: “Odiano il nostro successo e credono che se si martirizzano si sveglieranno nel mondo dello spettacolo con lavori veri”; “Non avete assolutamente alcun potere di avere effetto sugli ascolti e sul probabile successo o fallimento di un programma televisivo. In quell’arena siete risibilmente impotenti. Non siete molto diversi da un flaccido pene che si dimena miseramente verso una vagina che vi dà il benvenuto”. [Sopravviverò. Forse dovrebbe ricordarsi qual è stato il risultato di credere che lavorare in TV fosse facile. Chissà perché, ma essere paragonata a un flaccido pene non mi tange più di tanto].
  • È stato sposato due volte e dal primo matrimonio ha avuto due figli: la figlia lavora con lui in The Big Bang Theory, il figlio è un infermiere.

  • La critica negli ultimi tempi predilige le sit-com single camera (es. Curb Your Enthusiasm, The Office, Arrested Development, 30 Rock): son come piccoli film, non c’è pubblico, sono girate on location, c’è maggiore improvvisazione. Le sit-com di Lorre, e quelle che predilige, sono MULTI-CAMERA (es. I Love Lucy, Tutti Amano Raymond): son come piccole opere teatrali, chiaramente messe in scena, favoriscono la parola scritta, sono girate davanti a un pubblico, sono “all’antica , americane, legate da regole, e fortemente resistenti al cambiamento”. Sono un classico. 
  • Sulla sit-com: “È un genere molto intimo. (…) Non c’è musica, Non c’è magia della telecamera. Non ci sono trucchi di montaggio. Non è un medium visuale. È fatto di persone e parole”.
  • Ancora sulla sit-com come genere: “È come un haiku. È molto semplice e molto strutturata”.
  • Al posto della parola sit-com preferisce usare “character-com” o “half-hour comedy” perché le commedie che preferiamo non sono affatto commedie di situazione, ma legate ai personaggi: “proprio la natura di ciò che è grande dei programmi con pubblico e quattro telecamere” è che “è un’opportunità per conoscere queste persone” .
  • Le sit-com migliori sono quelle in cui non accade nulla, per così dire. Bisogna evitare grovigli narrativi (quando li ha fatti si è pentito). Non devono essere inutilmente complicate. È una forma “purgatoriale” di intrattenimento: i personaggi appaiono settimana dopo settimana con gli stessi tic e discussioni, e negli stessi luoghi. Ci sono complicazioni ma raramente soluzioni, sfide ma raramente trionfi. Il “trucco magico” della sit-com tradizionale è che “i personaggi fanno incrementali progressi molto piccoli, senza cambiare mai veramente”. 
  • Su The Big Bang Theory: cominciata nel 2007, ha avuto nel primo minuto di messa in onda, riferimenti a Papa Doc, Duvalier e Vladimir Nabokov; non molte sitcom permetterebbero che fosse così enfatica la sgradevolezza di Sheldon; uno sceneggiatore della sit-com, Dave Goetsch, dice quegli elementi più affilati che in altri programmi comici vengono coperti diventano le pietre angolari di Big Bang.
  • Sulla sua vanity card (ovvero il logo di produzione che appare alla fine della puntata) si diverte a scrivere ogni volta qualcosa di diverso, usandola come modo per comunicare i suoi pensieri, sulla vita, sullo stato del Paese, sulle censure della CBS, qualche volta inserendo battute che non gli è stato permesso inserire nel programma. Qualche volta pure le vanity card vengono censurate. In quel caso, finiscono sul web. Sulla sua pagina personale sono tutte conservate. [in un Archivio, e vale lì la pena anche leggersi l’articolo (di un a volte amaro umorismo) scritto per la rivista Written By su come ideare una sitcom di successo, How to create a hit sitcom].
  • Non ama che il pubblico sappia che cosa avviene dietro le quinte o agli attori. Lo vede come un modo di proteggere la fiction. [Se non ricordo male, qualcuno ha detto che infatti chiedono agli attori dei loro programmi di non usare Twitter e affini; Gloria Monty ricordo che aveva lo stesso tipo di idea].
  • Tom Bissell, che per il New Yorker ha curato l’articolo con il profilo di Chuck Lorre, riflette: “I film, forse, ci mostrano chi vogliamo essere, e la letteratura ci mostra chi siamo veramente. Le sitcom, se ci mostrano qualcosa, ci mostrano persone che ci piacerebbe conoscere. Per questo, la sitcom è un medium concepito per rassicurare. (…) La maggior parte delle sitcom parlano di famiglie, e per i milioni che guardano una sitcom, questa diventa una specie di famiglia mentale. (…) Molte sitcom sono, in effetti, più dark di quanto non ci si renda conto. Al suo nocciolo, ‘Two and a Half Men’ parla di solitudine. ‘The Big Bang Theory’ parla di alienazione. ‘Mike & Molly’ parla di odio per se stessi. (…) Ridere di queste cose con le nostre famiglie mentali ci può permettere di affrontare la nostra solitudine, alienazione e odio per noi stessi. Può essere che il costante evitare ogni finale catarsi drammatica da parte della sit-com sia la sua forza accidentale. Se così fosse, questo renderebbe la forma di intrattenimento meno simile alla vita in modo confortante la più simile alla vita reale.”


    Chuck Lorre, dal 2012, entrerà a far parte della Hall of Fame dell’Academy of Television Arts & Sciences, come di recente annunciato dall’Hollywood Reporter.

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