venerdì 2 dicembre 2011

HELL ON WHEELS: troppo poco logora, ma migliora


Siamo negli Stati Uniti del 1865. Si sta costruendo la grande ferrovia transcontinentale, nota come Hell on Wheels - titolo della serie televisiva della rete AMC (Mad Men, Breaking Bad, The Killing), ovvero l’Inferno su Ruote -, un evento che è considerato l’equivalente all’avvento di internet per l’epoca moderna, come portata nello sviluppo delle comunicazioni. Si è appena conclusa la Guerra Civile e molti soldati si ritrovano senza un’occupazione; Lincoln è morto; con la Proclamazione di Emancipazione quelli che un tempo erano schiavi sono ora uomini liberi che devono imparare a sopravvivere in una realtà profondamente alterata; gli immigrati, specie irlandesi, arrivano numerosi in cerca di fortuna, libertà e una nuova vita; nella conquista dell’ovest ci si scontra contro la natura aspra e le popolazioni indigene dei nativi americani. “La nazione è una ferita aperta” scrive il programma prima di dare il via alle vicende.
Cullen Bohannon (Anson Mount) è una specie di pistolero alla Clint Eastwood, un ex soldato della Confederazione ed ex-proprietario di schiavi che si fa assumere come sorvegliante dei lavoratori nella costruzione della ferrovia. Il suo proposito è la vendetta: trovare e giustiziare gli uomini che hanno violentato e ucciso sua moglie. A capo dei lavori è un uomo d’affari locale, Thomas “Doc” Durant (Colm Meany), un po’ pomposo e avido che, con ferrea logica, pretende che la ferrovia non proceda diritta, ma a curve perché il governo lo sussidia in base alle miglia di costruzione, e che ruba l’idealismo altrui per vendere l’idea di un’impresa epica che cambierà il mondo, salvo poi privatamente essere un fatalista piuttosto disincantato: “Tutta la storia è guidata dal leone. Trasciniamo la povera zebra che scalcia e urla, sporcando la terra con il suo sangue da quattro soldi. La storia non ci ricorda con affetto, ma la storia è scritta dalla zebra per la zebra.” (1.01). Elam Ferguson (il rapper Common) è un ex-schiavo afroamericano che si scontra con la realtà umana che lo vede, in fondo, ancora come tale. Sean (Ben Esler) e Mickey (Phil Burke) McGinness sono due fratelli che si stabiliscono vicino alla ferrovia per fornire un po’ di intrattenimento dopo il lavoro, mostrando antelucane diapositive della loro nativa Irlanda. Joseph Black Moon (Eddie Spears) è un nativo americano che si è convertito al cristianesimo, ma che trova difficile vivere nel nuovo contesto, mentre gli uomini della sua tribù attaccano e uccidono i suoi nuovi compaesani. Il Reverendo Cole (Tom Noonan) cerca di diffondere parole di pace. Lily Bell (Dominique McElligott) rimane vedova dopo un attacco “indiano” e deve cavarsela da sola. Lo sceriffo del campo di lavoro, conosciuto come “The Swede – Lo Svedese” (Christopher Heyerdahl, un attore in realtà norvegese) - probabilmente il personaggio più affascinante, recitato impeccabilmente, che appare solo in 1.02 - è un ex-ragioniere che filosofeggia dicendo che ha imparato a controllare le persone come prima controllava i numeri.
Ideata da Joe e Tony Gayton, la serie, un po’ western, un po’ d’epoca, mi ha deluso sulla base del pilot, ma ha cominciato a trovare una propria voce più definita dalla seconda e terza puntata. Il problema maggiore inizialmente è che la serie non è sufficientemente logora: tutti sono vestiti con abiti che sembrano appena usciti dalla tintoria, sono troppo puliti, sono troppo poco stanchi, distrutti e sconfitti dalla vita. Sembrano più modelli di un servizio fotografico messi in posa per “giocare a…”. Il senso epico manca in favore di eventi  banali che non paiono avere un significato più ampio, il prezzo del progresso è solo quello stampato sulle banconote, non quello di una vita ingrata di sangue, fango e sudore. Con le puntate successive la serie si è fatta più usata, più sgualcita, meno civile, meno preconfezionata: migliore. E i personaggi cominciano a mostrare una multidimensionalità che prima sfuggiva.
Gli autori hanno esplicitamente indicato molti punti di riferimento, letterari e cinematografici, nel costruire Hell on Wheels: la Bibbia, La Giungla di Upton Sinclair, Meridiano di sangue di Cormac McCarthy, Empire Express di David Haward Bain, La più grande impresa del mondo di Stephen Ambrose, The Cheyenne Indians di George Bird Grinnell, Empire of the Summer Moon di S.C. Gwyne, Visions of the First Americans di Edward Curtis; e poi gli spaghetti western di Sergio Leone come C’era una volta in America (1968), McCabe & Mrs. Miller (1971), Unforgiven (1992), Dead Man (1995), American Experience: Transcontinental Railroad (2002), Il Petroliere - There Will Be Blood (2007).
Non è un telefilm che mi abbia conquistato, ma forse come la costruzione della ferrovia che richiede il posizionamento di una segmento dopo l’altro, è una cosa che richiede tempo. Sono disposta a concederlo.

3 commenti:

  1. il pilot mi è sembrato tra i più noiosi dell'annata.. sarà anche che il genere western proprio non mi piace. boh, magari proseguo, ma magari no :)

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  2. Sulla base del solo pilot avrei detto lo stesso, ma ne ho viste tre di fila e alla fine una possibilità la darò.

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