giovedì 2 luglio 2015

PROOF: c'è vita dopo la morte?


C’è vita dopo la morte? È quello che si domanda  la serie intitolata Proof.

La dottoressa Caroline Tyler (Jennifer Beals, Flashdance, The L Word) è una brillante chirurga cardiotoracica, un po’ piena di sé, che è quasi morta per affogamento a causa di uno tsunami,  e che sul fronte personale è separata da un collega, il dottor Len Barliss (David Sutcliffe), dal quale ha avuto due figli. Il maschio, Will, è morto in un incidente, la femmina, Sophie (Annie Thurman)  è un’adolescente un po’ ribelle con il complesso della “figlia sopravvissuta”. Il suo capo, il dottor Oliver Stanton (Joe Morton), le chiede di incontrare un multimilionario a cui rimangono pochi mesi di vita per via di un cancro in stadio avanzato, Ivan Turing (Matthew Modine, in un ruolo che non può non far venir mente Steve Jobs, tanto più considerato il cognome al suo personaggio, che non può non far ripensare ad Alan Turing alla cui morte si dice sia collegato il logo della Apple).

Costui le propone di cercare per lui, in modo scientifico, una prova (la proof del titolo) se esista qualcosa dopo la morte. In cambio le lascerebbe poi tutto il suo patrimonio. Caroline all’inizio rifiuta, poi accetta, chiedendogli donazioni a favore della cause a cui tiene, e la possibilità di svolgere la ricerca parallelamente al suo lavoro, insieme ad un giovane assistente originario del Kenya, il dottor Zedan “Zed” Badawi (Edi Gathegi) e a una protetta di lui, con due dottorati, Janel Ramsey (Caroline Rose Kaplan). Eco perciò che segue casi di esperienze ai confini della morte, presunte reincarnazioni, fantasmi e affini. É scettica – e cerca di tenere a distanza un popolare sensitivo autore di best-seller sull’argomento, Peter Van Owen  (Callum Blue) - ma vuole seguire un metodo scientifico per capire la questione.

Ideata da Rob Bragin, la serie, come principio un misto fra Medium e House, non è completamente da buttare, c’è sicuramente ben di peggio, ma è scritta in modo molto banale e prevedibile, con personaggi stereotipati e dialoghi piatti. La recitazione in compenso è sicuramente solida. Quello che intriga è l’argomento che affronta, tanto affascinante, quanto difficile. Peccato che dalla premessa non sembra ci sia la stoffa per renderla una vera ponderazione sull’argomento. 

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