martedì 29 novembre 2016

GILMORE GIRLS: A YEAR IN THE LIFE: magico


È stato perfetto, assolutamente perfetto, il ritorno su Netflix di Gilmore Girls, conosciuto in Italia con il titolo infantilizzante di Una mamma per amica, in quattro puntate speciali che hanno preso il nome di “A Year in the Life” (Un anno nella vita), “Di nuovo insieme” in italiano. Il lancio è stato il 25 novembre. La serie originaria, che aveva debuttato nel 2000, era durata 7 stagioni, ma l’ideatrice Amy Sherman-Palladino aveva lasciato, per dispute contrattuali, alla fine della sesta, e non ha potuto terminarla come aveva sempre pensato. Questa è stata l’occasione per il suo riscatto e per mettere sulla bocca dei personaggi quelle famose ultime quattro parole che ha detto di avere avuto presenti da sempre e che sono diventate una specie di piccolo mistero della serie. Non le rivelerò. Hanno chiesto hai fan di fare una solenne promessa di non farlo, e tengo fede all’impegno. Dico solo che le ho trovate appropriate, perché chiudono un po’ il cerchio, così come questi quattro nuovi appuntamenti (di 88 - 122 minuti) si aprono al gazebo dell’immaginaria Stars Hollow dove sono ambientate le vicende, e lì si chiudono. Si comincia con “Inverno”, poi “Primavera”, “Estate” e “Autunno”, la prima e l’ultima scritte e dirette dall’ideatrice, la seconda e la terza da Daniel Palladino, il marito da sempre coinvolto nella produzione come sceneggiatore/regista/produttore esecutivo.

Due precisazioni, prima di procedere. La prima è che ho seguito questa nuova tranche in originale, come ho fatto sempre in passato (pur avendo anche seguito molte puntate in italiano, occasionalmente). E ho scelto di non usare i sottotitoli italiani perché, anche a causa della velocità del dialogo, usarle le due lingue contemporaneamente sarebbe stato insostenibile. Se perciò la versione nostrana abbia in qualche modo alterato, e in che modo, il prodotto, non sono in grado (almeno in questi momento) di valutarlo. La seconda è che sono una fan della serie, e come tale ho cercato di gustarmela, ma come critica e come studiosa di media ho partecipato anni fa a una raccolta di saggi critici pubblicata dalla Syracuse University Press intitolata “Screwball Television: Critical Perspective on Gilmore Girls”, curato da David Scott Diffrient e David Lavery. È un progetto di cui vado fiera, e che sicuramente caldeggio a chi è in grado di leggere in inglese. Lì ho analizzato l’utilizzo a doppia lama dell’impianto liturgico e ritualistico della narrativa televisuale, una struttura per ragioni varie (incluso il formato) in gran parte scardinato nel revival, ma presente nel substrato della memoria dello spettatore, e rilevante nella visione: ora qui, in ogni caso, non mi soffermerò su questo.

Si erano lasciate le protagoniste principali che si dicevano un temporaneo addio. Mamma Lorelai (Lauren Graham) salutava la figlia Rory (Alexis Bledel) che aveva deciso di unirsi alla campagna elettorale di Obama. Si riprende con Rory che torna a casa brevemente a trovare la madre, e c’è un magnifico scambio iniziale, fortemente metatestuale, in cui le due donne osservano come sembra che siano passati anni da quando non si sono viste. Rory è ora laureata a Yale in giornalismo (ma non ha ancora una laurea specialistica, scopriamo poi), e sta cercando di sfondare come scrittrice. Ha pubblicato un pezzo per il New Yorker e sta cercando un ingaggio permanente in qualche rivista di successo. Lorelai vive con Luke e continua a condurre il suo bed & breakfast, il Dragonfly Inn. Il vero cambiamento riguarda anche fortemente nonna Emily (Kelly Bishop): è rimasta vedova. Edward Herrmann, che interpretava nonno Richard, è scomparso l’ultimo del’anno del 2014. Acutamente, i personaggi non tornano per il funerale, ma come nella vita reale, già del tempo è passato da quel momento che viene però ricordato e i cui effetti si sentono tutt’ora. La puntata è stata dedicata all’attore scomparso e il palpabile lutto è autentico, un po’ anche per noi spettatori. Io specificatamente poi ammetto di non aver potuto far a meno di pensare all’improvvisa scomparsa questa scorsa estate di David Lavery, uno dei due curatori del libro di cui sopra, a cui ero legata d’amicizia e che pure era ormai nonno. Che non fosse qui a vedere il ritorno delle ragazze Gilmore ha aggiunto una nota di tristezza.

Si è riso e si è pianto molto in queste quattro stagioni (atmosferiche, non televisive), per le bizzarre situazioni che sempre hanno caratterizzato la vita di questa confettosa cittadina del Connecticut, e per i momenti di crisi della propria vita e di perdita di orientamento, il senso profondo di questo revival, ritengo. La vera sensazione però è stata quella di un grande forte abbraccio per la gioia di aver rivisto tanti voti noti e amati, perché c’erano tutti, assolutamente tutti, ed è stato fantastico. Ovviamente Lorelai e Rory e Luke (Scott Patterson) e Emily; naturalmente i ragazzi ora uomini che negli anni si sono contesi il cuore di Rory: Dean (Jared Padalecki, Supernatural), Jess (Milo Ventimiglia, This is us) e Logan (Matt Czuchry, The Good Wife), con uno studiato equilibrio nella presenza di ciascuno, con scambi adeguati alla natura del loro rapporto - con chi finirà Rory, ci si è sempre chiesti: il risultato finale a me soddisfa; una fugace apparizione di Sookie (Melissa McCarthy, un po’ in forse inizialmente, visto il successo avuto successivamente dall’impegnatissima attrice), con magnifiche torte e riferimenti agli esordi; ma anche Michel (Yanic Truesdale) sempre snob e supponente; Paris (Liza Weil, How to get away with murder) arrabbiata e dittatoriale; Kirk (Sean Gumm), con l’ennesimo nuovo lavoro; Lane (Keiko Agenas), con la sua musica e un orecchio per l’amica; Taylor (Michael Winters), con i suoi progetti di miglioramento della città e le sue riunioni cittadine (e un musical!); la rigida Mrs Kim (Emily Kuroda), e un’istantanea apparizione del mai-visto-prima Mr Kim; Doyle (Danny Strong) la cui carriera nella finzione è quella dell’interprete nella realtà; la studiosissima April (Vanessa Marano, Switched at Birth); Miss Patty (Liz Torres), Jackson (Jackson Bellevile), Babette (Sally Struthers), Christopher (David Sutcliffe), Gypsy (Rose Abdoo), Caesar (Aris Alvarado), Francie (Emily Bergl, Men in Trees), Mitchum (Greg Henry), il preside della Chilton (Dakin Matthews), Paul Anka il cane e molti altri ancora. Alla fine perfino Richard. E le strade, i negozi, il gazebo…Che tripudio. Ogni momento è stato un ricordo, un piacere, una gioia, quasi da far mancare il fiato. Fino alla canzone finale che ci ha accompagnato negli anni come sigla, “Where you lead” (e la cantante che la interpreta, Louise Goffin, che fa una comparsa del ruolo della sorella del menestrello ufficiale della città).

A questa sensazione di sorpresa continua si sono aggiunti i numerosi cameo. Ci sono stati attori che hanno avuto ruoli nella serie Bunhead, sempre ideata da Amy Sherman-Palladino e con Kelly Bishop nel cast: Sutton Foster (Younger), Julia Goldani Telles (The Affair), Bailey De Young, Stacey Oristano. Ci sono stati attori Parenthood, del cui cast faceva parte Lauren Graham nel ruolo di Sarah Braverman. Ecco Mae Whitman, che interpretava la figlia di Sarah, Jason Ritter che interpretava un suo innamorato, Peter Krause che interpretava suo fratello ed è il suo compagno nella vita…  In qualche caso, magari questi attori recitano solo in una scena, ma la testa dello spettatore è come una pallina di flipper. Ci sono varie guest star (si veda qui e qui).  Alex Kingston (ER) ha un ruolo ricorrente, Christian Borle (Smash) partecipa al musical, Ray Wise (Twin Peaks) è un vecchio amico di Emily… Carolyn Hennesy, che qui ha il piccolo ruolo di Toni, del gruppo delle Figlie della Rivoluzione Americana a cui partecipa Emily, è un’attrice nota per il ruolo dell’avvocatessa Diane Miller in General Hospital, Nancy Linary, che qui interpreta Martha dello stesso gruppo, pure viene da lì e a venire presa in considerazione per unirsi a loro è una giovane donna interpretata da Julie Berman, la prima Lulu adulta di General Hospital. Nella serie originaria c’erano menzioni a questa soap. Che sia quello il collegamento? In più, ora come allora i riferimenti diretti e le citazioni alla cultura colta e pop sono costanti e sbalorditivi. Come non elettrizzarsi a sentire il “cinque per cinque” di Buffy, citata anche in un’altra situazione (in una esilarante battuta di Paris), o non sorridere che venga citato Narcos, che appartiene al carnet di Netflix. Intossicante. Tutto con dialoghi recitati alla velocità delle luce, da sempre cifra stilistica della serie.

La critica che è in me non ha visto tutto perfetto. Si è stati narrativamente solidi e qualcosa di nuovo si è anche detto, ma c’è stata qualche titubanza nella carburazione e c’è stata qualche rara sbavatura. Ammetto di avere anche qualche altra perplessità. Nondimeno, la fan che è in me è rimasta completamente e profondamente appagata. Voglio di più, voglio nuovi episodi. La chiusura si apre a nuovi scenari. Amy Sherman-Palladino (si veda THR, ma attenzione che è un articolo con spoiler) non ha escluso la possibilità, ma prima voleva vedere come sarebbero andate queste puntate. Sembra che, genericamente parlando, siano andate molto bene. Ora lei è impegnata con un nuovo pilot per la Amazon, The Marvelous Mrs Maisel, e anche una buona parte del cast è impegnato in altri progetti. Da qualche parte Scott Patterson ha ipotizzato la concreta fattibilità di un ritorno periodico in questa stessa modalità, se non proprio la ripresa di una serie vera e propria. Incrociamo le dita. Gilmore Girls: A Year in the Life è stato magico.

2 commenti:

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  2. Mi commento da sola. LOL

    Penso quello che ho detto, ma allo stesso tempo condivido in pieno quanto ha scritto il Washington Post a questo link: https://www.washingtonpost.com/posteverything/wp/2016/11/29/rory-gilmore-is-a-monster/?postshare=4191480617652356&tid=ss_fb&utm_term=.af00230be7ba.

    Dirò di più. Secondo me è un'evoluzione coerente con quello che era il personaggio di Rory nella serie originale.

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