venerdì 22 gennaio 2021

DEAD STILL: un giallo umoristico


È un giallo a tinte gotiche con un ritmo molto rilassato e venato di sottile umorismo la produzione irlandese-canadese (Acorn TV, CityTV) Dead Still, che ha come protagonista un fotografo di Dublino del 1880 specializzato nella ritrattistica dei defunti – è risaputo che all’epoca era consuetudine fotografare i morti per avere un ultimo ricordo del caro estinto. Se in inglese “dead still” può significare “immobile come un morto”, qui ha proprio il senso di “fotogramma del defunto”.

Brock Biennerhasset (Michael Smiley, Luther), azzoppato accidentalmente dal fidato cocchiere Cecil (Jimmy Smnallhorne) che gli fa cadere l’attrezzatura su un piede, è il fotografo commemorativo di cui sopra, ex-becchino, molto preciso e un po’ burbero. Un giovane scavafosse con la passione per il disegno a matita, Conall Malloy (Kerr Logan), lo considera un vero pioniere della sua professione e riesce a farsi assumente come assistente. Ad affiancarlo c’è anche Nancy (Eileen O’Higgins), aspirante attrice, la giovane nipote figlia della sorella. In città, mascherati da apparenti suicidi, cominciano a verificarsi una serie di omicidi, che vengono poi immortalati su pellicola. L’investigatore della polizia locale, Regan  (Aidan O’Hare), vorrebbe coinvolgere Brock nell’investigazione, ma lui è riluttante, sebbene finisca  per essere molto più coinvolto negli eventi di quanto non sembrerebbe di primo acchito.

Le sei puntate della prima stagione  scivolano via con leggerezza, con una trama verticale di usuali storie di case apparentemente infestate da fantasmi, sedute spiritiche, rapimenti e qualche foto hard, e l’effettivo lavoro di far sembrare vitali corpi ormai in rigor mortis, e la trama orizzontale degli omicidi che coinvolgono i protagonisti in un crescendo. Ci si avvale del repertorio classico di questo genere di narrazioni: figure in parte in ombra, immagini evanescenti, personaggi ultraseri, figure che puntano il dito verso il nulla, arcani segreti… ma si è troppo ironici per essere veramente macabri, o per non dimostrare consapevolezza che si gioca con cliché abusati. Lo humor sfocia in momenti di più schietta comedy.

La scrittura di John Morton, co-ideatore insieme a Imogen Murphy che è regista di 4 delle 6 puntate, riflette sul senso della morte e sul valore dello scatto fotografico, e anche di questi tipo specifico di arte post-mortem, nel suo più esplicito valore mnemonico, ma pensata per dare conforto, per mostrare l’umanità di chi ormai è scomparso, con il senso quasi di una vocazione. “Non interrogo la tragedia” dichiara il protagonista (1.05), che cerca solo di preservare l’essenza della persone per sempre. Le fotografie sono i nostri veri fantasmi e catturano l’anima. Ci si sofferma anche sul parallelismo fra questo genere e la fotografia delle scene del crimine, e sull’etica della professione.

La puntata finale chiude l’arco senza sbavature, ma in forma di un biglietto, apre a un mistero per una  seconda stagione.  

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