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martedì 8 novembre 2011

Gli attori più pagati della TV


La rivista Forbes ha stilato l’elenco degli attori più pagati della TV: primo Charlie Sheen ($40 milioni a cui andranno aggiunti i 125 milioni di dollari che ha ottenuto dal patteggiamento nella causa contro la serie Due uomini e mezzo di cui faceva parte), secondo Ray Romano ($20 milioni, che deve soprattutto ai diritti del suo famosissimo Tutti amano Raymond, al compenso come attore in Men of a Certain Age e ad altre entrate), terzo Steve Carrell (The Office, $15 milioni). Seguono a ruota Mark Harmon di NCIS (con 13), Jon Cryer di Due uomini e mezzo e Laurence Fishburne di CSI (con 11), Patrick Dempsey di Grey’s Anatomy (con 10) e tutti con 9 milioni di dollari all’anno Simon Baker (The Mentalist), Hugh Laurie (Dr House) e Chris Meloni (Law & Order: SVU).

Combinati, i dieci attori uomini più pagarti guadagnano 147 milioni di dollari all’anno, contro i 94 milioni di dollari annuali dei compensi combinati delle 10 attrici donne più pagate: Tina Fey (per 30 Rock e per il suo libro “Bossypants” che ha venduto 150.000 copie solo nel primo mese) e “la casalinga disperata” Eva Longoria, che guadagnano entrambe $13 milioni, la collega di quest’ultima Marcia Cross, Mariska Hargitay (Law & Order: SVU) e Marg Helgenberger (CSI) che prendono 10 milioni a testa;  le altre “casalinghe” Teri Hatcher e Felicity Huffman, stimate 9 milioni, e a seguire Courtney Cox (Cougar Town, ex-Friends) ed Ellen Pompeo (Grey’s Anatomy)  con 7 milioni. Chiude la decina con 6 milioni Julianna Margulies (The Good Wife).

venerdì 26 agosto 2011

MEN OF A CERTAIN AGE - seconda stagione: è l'ultima


Quando la TNT ha annunciato quest’estate che non avrebbe rinnovato Men of a Certain Age per una terza stagione, ci sono rimasta male, perché è stata davvero una serie pregnante, all’insegna dell’understatement, ma coinvolgente e rilevante. Mi mancherà questa creazione di Ray Romano e Mike Royce. Attraverso i suoi tre protagonisti principali, Joe (Ray Romano), Owen (Andre Braugher) e Terry (Scott Bakula), tutti “uomini di una certa età” ha mostrato un’umanità vera, sobria, quotidiana, fatta di slanci di entusiasmo e abbattimenti, di eventi minimi che hanno il senso di vittorie e sconfitte esistenziali. E ha affrontato, e bene, come già ho avuto modo di sottolineare in un post sulla prima metà della seconda stagione,  un tema che tocca tutti e che viene trascurato di continuo, quello dell’invecchiare, visto anche attraverso la lente della reciproca complicità dell’amicizia fra i tre protagonisti.
Joe che sputa dell’acqua in un lavandino è l’ultima immagine di questo potente, seppur misurato telefilm. La ragione per cui lo fa è una di quelle situazioni della vita che è così difficile trovare rappresentate altrove. Joe viene aggredito dal suo ex-allibratore, cade e ci rimette un dente (2.11). Poi lo vediamo andare dal dentista e star lì a risistemarsi il dente e cosa ancora più inusuale ma molto realistica, nella puntata successiva gli fa ancora male, ed è ipersensibile alle temperature, per cui quando beve qualcosa, gli duole particolarmente. È per questo che ora si ritrova a sputar acqua nel lavandino. Sono questi i  dettagli su cui Men of a Certain Age ha il coraggio di soffermarsi, le storie che non si vergogna di raccontare, come la donna di Terry che lo  costringe a rientrare a casa al più presto perché le scappa da pazzi la pipì, e poi non ce la fa e sull’uscio di casa finisce per farsela addosso. Altrove questo genere di “debolezze” non si ammettono. Ma qui si è abbastanza adulti, abbastanza maturi, da sapere che sono cose della vita e che sono anche cose che rendono la vita bella.
La finale della seconda stagione ci lascia con un senso di riscatto e di fiducia. Vivere significa sì imbattersi in una serie di batoste e disillusioni, ma con l’età le si può anche guardare con disincanto e concedersi una seconda opportunità per rifare ciò che è andato male imparando dagli errori commessi. Ci si può rendere conto guardandosi dal di fuori attraverso altri che ti ricordano te stesso e rinunciare alle scommesse  che ti hanno rovinato la vita, dedicarsi al golf che ti fa star bene e che fa saltare di gioia i tuoi figli per le tue vittorie, e cercare di riprendere una relazione che è stata significativa, ma troppo breve (Joe), ci si può rendere conto che si ha talento e basta applicarsi e che definire il proprio rapporto con l’altro sesso non significa necessariamente incatenarsi, ma darsi un’opportunità di essere felici (Terry), ci si può rendere conto che il lavoro che si è cercato di evitare per tutta la vita è quello che sai fare e sai fare bene e che sai essere te stesso uscendo dall’ombra di tuo padre e puoi farti apprezzare dai tuoi colleghi e sottoposti per la tua impronta (Owen). Personalmente e professionalmente si può ancora provare ad avere una seconda chance e a fare le cose per bene.
Joe compie 50 anni nell’ultima puntata: un muffin con candelina da parte dei suoi amici e dei semplici, ma sentiti regali dai suoi figli glielo ricordano. Si invecchia. Il senso della serie, che così ci lascia, sembra proprio essere che a invecchiare ci sono tanti svantaggi, ma davvero si guadagna una prospettiva diversa, davvero forse si diventa saggi a sufficienza da imparare dall’esperienza per riuscire a vedere e cercare di realizzare quello che potrebbe renderci felici.



venerdì 18 marzo 2011

TUTTI AMANO RAYMOND: originalmente all'antica



Tutti amano Raymond è originalmente all’antica. È la più classica delle commedie familiari, ma rivisita le solite dinamiche con un umorismo asciuttamente a segno. Riesce, dentro la costrizione di un ruolo se vogliamo stereotipato (la madre impicciona sempre pronta a criticare la nuora, il figlio ipercoccolato, il primogenito perennemente oscurato dal fratello, il padre che mal-sopporta la moglie…) a creare del nuovo e a trovare energia nelle e dalle situazioni reali, quotidiane, minime, spremendole di ogni goccia di umorismo che hanno da offrire. La famiglia come  fondamento dell’identità. Si vuole ripudiarla o difenderla, può essere fastidiosa o irritante, ma anche infondere sicurezza e tepore. Comunque sia ci si deve convivere. Questo è “Raymond”.

Protagonisti sono degli italo-americani, i Barone: il Raymond del titolo (Ray Romano), critico sportivo; sua moglie Debra (Patricia Heaton), casalinga; il fratello Robert (Brad Garret), un poliziotto; la madre Marie (Doris Roberts); il padre Frank (Peter Boyle). La sit-com, ideata da Philip Rosenthal, ma tanto anche una creatura di Ray Romano, ha vinto due volte l’Emmy come miglior serie comica, ed è durata per nove stagioni (1996-2005). È ormai considerata, a ragione, uno dei grandi classici. Ora è in onda su Comedy Central.

mercoledì 9 febbraio 2011

MEN OF A CERTAIN AGE chiude la prima metà della seconda stagione



Dopo solo sei puntate, chiude per ora la seconda stagione del sempre eccellente Men of a Certain Age. Le puntate dovevano essere 10, per cui l’annuncio che la sesta puntata era l’ultima ha lasciato un po’ di disappunto. In realtà la rete che la manda in onda, la TNT, ha deciso di allungare questo arco con altri due episodi e di dividere la stagione in due parti: le rimanenti 6 puntate andranno in onda probabilmente quest’estate.

Questa prima parte, intanto, non ha deluso. Joe  (Ray Romano, anche co-ideatore insieme a Mike Royce) ha portato il suo problema con il gioco ad una nuova dimensione, con costanti scommesse mentali che hanno cominciato a paralizzare la sua vita; Owen (Andre Braugher) ha cercato di uscire finalmente dall’ombra del padre e di farsi valere come nuovo capo, salvo trovarsi in un braccio di ferro con il genitore che fatica ad andare in pensione e a lasciare le responsabilità che lo hanno sempre fatto sentire vivo, e salvo venire a scoprire che la rivendita d’auto si trova in una situazione finanziaria disastrosa; Terry (Scott Bakula) ha abbandonato temporaneamente i suoi sogni di gloria come attore per vendere macchine accanto a Owen che gli dà una possibilità, anche se pochi accanto a lui credono veramente che possa essere affidabile.

Il tema portante è, come in passato, l’essere “uomini di una certa età”. E, come è stato suggerito su PopMatters in un articolo di Renée Scolaro Mora: “(l)a sua analisi dell’identità maschile, ricca di sfumature e di strati, rende Men of  a Certain Age meritevole d’esser visto.  È un intelligente e ponderato distacco dalla glorificata perpetua adolescenza che ha piagato la caratterizzazione degli uomini nel cinema nel corso degli ultimi anni e in televisione nelle ultime decadi.”

Nessuna serie come questa guarda in faccia quello che dovrebbe essere un tema molto più approfondito dalla fiction, ma che nessuno affronta: l’invecchiare. E lo fa in modo senza sentimentalismi. Un’immagine della finale di metà stagione, “Let the Sunshine in” (2.06), in questo senso è emblematica: quella di un uomo molto anziano che si trascina in ospedale. I tre protagonisti sono lì per una colonscopia, una sorta di regalo per il cinquantesimo compleanno di Terry che tutti e tre hanno trasformato in una specie di avventura e di vacanza. Mentre aspettano di fare l’esame passa loro davanti quest’uomo. E ciascuno di loro, separato dall’altro, lo vede e lo guarda. È stato potente. In questa stagione è diventato un tema molto forte: penso al padre di Owen ex-star dello sport che non ha nessuno davanti a sé a chiedergli l’autografo quando il giovane sportivo accanto a lui ha una lunga fila – la sua stella ormai è tramontata e accettarlo è amaro;  penso al padre di Joe che i tre amici vanno a trovare con riluttanza; penso all’allibratore di Joe che scopre di avere il cancro... Men of A Certain Age, fra le altre cose, guarda a ciò che di brutto c’è nella vecchiaia e lo fa con onestà, ma anche con leggerezza, una cosa ardua da riuscire a mettere a segno.