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mercoledì 5 giugno 2024

BABY REINDEER: una potente storia di stalking e stupro sul protagonista

Atroce per quello che racconta, magnifico per come lo fa, Baby Reindeer (Netflix), è una storia di stalking e violenza sessuale, tratta dalla vita reale dell’attore/ideatore Richard Gaddis che dà il volto al protagonista. Non è una narrazione facile proprio per i temi trattati e la complessità emotiva con cui riesce ad affrontarli, ma è scritta in modo impeccabile sia nel suo outline che nel dialogo ed è recitata in modo altrettanto convincente. Il suo immediato, inaspettato successo è proprio dovuto al tam tam degli spettatori che ne hanno riconosciuto l’innegabile qualità. Quello che forse mi ha colpito di più, anche per la sua rarità, non è solo la tridimensionalità dei personaggi, guardati con empatia e amore, ma per la capacità di ammettere per sé stessi sentimenti e comportamenti profondamente conflittuali, con i loro risvolti autolesionisti.

ATTENZIONE SPOILER

Donald “Donny” Dunn (Richard Gadd) è un aspirante comico che lavora come barista al Heart, un pub londinese. Un giorno entra nel locale una cliente, Martha Scott (una Jessica Gunning già in odore di Emmy), che lui vede molto giù di corda, e le offre un tè. Lei, colpita dal gesto, comincia presentarsi lì continuamente lusingandolo e cominciandolo a chiamare “baby reindeer”, quindi “baby renna” – e nell’ultima puntata si spiega il perché di questo nomignolo. Comincia a mandargli centinaia di mail sgrammaticate al giorno e diventa la sua stalker. Nonostante lui scopra che lei è stata già condannata per simili comportamenti, accetta anche la sua amicizia su Facebook e il loro rapporto diventa sempre più complicato. Solo dopo sei mesi, quando ormai non ce la fa più e teme l’ossessione della donna, decide di denunciarla alla polizia. Martha, che si presenta con una sonora risata e una gioia aggressiva, ha chiari problemi psicologici, e Donny teme che possa mettere a rischio i suoi genitori e Teri (Nava Mau), la donna trans di professione terapeuta, di cui nel frattempo si è innamorato, la sua isola felice, che pure viene aggredita da una Martha gelosa, come pure lui stesso che finisce sanguinante. Nel ripercorrere quello che gli è accaduto, che poi racconta verbalmente in un crollo emotivo sul palco durante uno spettacolo (1.06), lo vediamo ricordare la violenza sessuale di cui è stato vittima (leggi infra), in un attorcigliarsi di eventi ed emozioni che sono difficili da districare l’uno dall’altro, imbevuti di odio per sé stesso.

Quello che è coraggioso è stato mostrare come questo ragazzo, molto sensibile, ha sentimenti che non sono solo generosi nei confronti di Martha. All’inizio ne prova pena e vuole aiutarla. È infastidito dalle sue attenzioni eccessive, ma contemporaneamente ne è attratto. Lei passa ore davanti alla fermata dell’autobus davanti a casa sua, si intrufola fra il pubblico nei suoi spettacoli comici, lo lascia perennemente senza tregua, vedendo fra loro una relazione che non esiste. Donny si vede costretto a cambiare casa. Martha è “una bomba ad orologeria nella sua vita”. Allo stesso tempo non è solo perché vede un’anima tormentata e infelice che le dà ascolto anche quando buon senso suggerirebbe di allontanarsene, ma in un qualche modo né è anche affascinato, trova conforto nelle attenzioni di lei. Lui si presenta come qualcuno che è sempre stato convinto che la realizzazione dei suoi sogni lo avrebbero condotto alla felicità, e constatare come non è facile raggiungerli lo delude. Da lei si sente visto e apprezzato, nonostante la sgradevolezza dei suoi approcci. Ne prova fascinazione, tanto da chiedersi, in un momento di allontanamento, se gli manchi: tutte le scene drammatiche, le attenzioni, la distrazione che lei gli permetteva. Martha lo vedeva come lui desiderava essere visto. Questa pulsante, tragica ma umana contraddizione è ammessa senza vergogna ed è il fulcro di ciò che la serie indaga.

Nel mettere a nudo il suo stato emotivo che lo ha condotto ad accettare simili attenzioni pur nella loro evidente pericolosità, di fronte alla domanda del poliziotto che gli domanda perché ci abbia messo così tanto a sporgere denuncia, ricorda quello che è accaduto anni prima (nell’ormai celeberrimo episodio 1.04). Era a Edimburgo per un festival in cui sperava di farsi notare come comico, e lo sceneggiatore di uno show televisivo di successo, Darrien (Tom Goodman-Hill, Mr Selfridge), che aveva lavorato con alcuni dei nomi che più lui rispettava nell’ambiente, lo aveva incoraggiato ed avevano cominciato a trascorrere molto tempo insieme. Poi la svolta: Darrien lo ha iniziato a droghe pesanti e poi ha abusato sessualmente di lui mentre era privo di coscienza o semi-svenuto. Insicurezza, rabbia, confusione sulla propria sessualità, fantasie omicide nei suoi confronti non hanno impedito al nostro protagonista di tornar da lui ancora e ancora, finché questi di punto in bianco non è sparito; nel presente “baby-renna” sente il senso di colpa per non averlo denunciato, quando ora invece si appresta a denunciare Martha.

Ho trovato grandiosa, e ragionevole, la reazione emotiva del personaggio, anche se c’è chi ha criticato la rappresentazione di un uomo gay maturo come predatore che fra grooming di un giovane ingenuo, “convertendolo” all’omosessualità, visto che è in seguito a questi incontri che Donny mette in dubbio le proprie preferenze, si domanda se ora sia bisessuale o che cosa, ed è solo in seguito a questi eventi che, dopo molti incontri sessuali toccata e fuga con chi capitava, scopre la gioia di nuovo con Teri. Io non ci do questa lettura, nel senso che non credo che il programma voglia alludere al fatto che sia lo stupro che ha fatto cambiare preferenze sessuali a Donny, ma come ogni esperienza sconvolgente, gli ha fatto mettere in dubbio e rivalutare quello che credeva vero per sé stesso. Ho pure trovato importante che mostrassero come quando sono gli uomini a venire molestati o aggrediti sessualmente, sì dà loro meno peso di quando non accade a una donna. La polizia non si preoccupa più di tanto di una donna stalker, finché lui non li costringe a cercare il suo nome sul web e non si accorgono che in effetti ha numerosissimi precedenti ed è pericolosa.

Alla fine delle vicende Martha si dichiara colpevole e viene condannata a 9 mesi di carcere e viene emessa nei suoi confronti un’ordinanza restrittiva della durata di cinque anni. La gente sul web ha cercato freneticamente di sapere chi fosse Martha nella vita reale, con tutti i potenziali rischi della questione, e c’è stata un’intervista valutata di dubbio valore etico, in cui si è fatta avanti una donna che dice di essere lei. Ugualmente molti hanno cercato di individuare chi fosse in corrispondente di Darrien nella vita reale: un’innocente è stato accusato, tanto che l’autore è dovuto intervenire per scagionare il malcapitato. Risvolti deprimenti.  

Ho trovato ancora una volta coraggioso chiudere con quello che è stato un po’ un tema ricorrente della miniserie, per quanto possa lasciare a disagio, ovvero che Donny in fondo vede Martha come sé stesso in uno specchio, con le proprie insicurezze e timore per il futuro. Quando qualcun altro ti vede veramente questo crea connessione, e quello che ha portato il protagonista a flirtare con una situazione così pericolosa senza tranciarla in partenza è stato proprio questo auto-riconoscimento. Nella series finale finisce in un bar e, specularmente a quanto era accaduto fra lui e Martha, lui si trova seduto sullo sgabello a ordinare qualcosa, ma non ha un centesimo con sé. Il barista, che lo ha visto piangere un momento prima e si è accorto del suo stato, gli offre a sue spese la bevanda. Esattamente quello che ha fatto lui con Martha. La corrispondenza è un’illuminazione per lui, una volta di più. Una chiusura impeccabile, come la serie tutta.

martedì 5 maggio 2020

THE MORNING SHOW: una serie sul #metoo


The Morning Show (Apple TV+) è una serie che ci porta dietro le quinte di un fittizio programma di notizie mattutino, che è un incrocio, come è evidente dal titolo, fra i molto reali Good Morning America e The Today Show, e guardandolo è impossibile non pensare che sia ispirato almeno in parte alle vicende che hanno travolto il giornalista Matt Lauer, conduttore di quest’ultimo. 

A fare da padrona di casa di quello che è un amatissimo show per la fittizia UBA è Alex Levy (una Jennifer Aniston molto convincente nel ruolo). Quando Mitch Kessler (Steve Carell, anche lui efficacemente preso in prestito da ruoli precedentemente comici) viene accusato di cattiva condotta sessuale e perde il lavoro venendo epurato, si scoperchia una situazione spinosa. Fra le “prede” del conduttore c’è anche Hannah Shoenfeld (Guru Mbatha-Raw), una talentuosa collega che ha fatto carriera rapidamente. Le denunce di scorrettezza lasciano tutti scossi, compresa la produttrice Mia Jordan (Karen Pittman), che in passato aveva avuto una storia con lui. È un colpo anche per Alex, che, separata dal marito Jason (Jack Davenport), ha sempre avuto un rapporto molto stretto, anche amicale, con il co-conduttore. Tra l’altro viene a scoprire che intendono approfittare della situazione per sostituirla nel suo ruolo, cosa che avevano intenzione già di fare. Nonostante le resistenze iniziali di Charlie “Chip” Black (Mark Duplass), il produttore esecutivo, a sostituire Mitch a fianco di Alex in trasmissione è Bradley Jackson (una grintosa Reese Witherspoon), una reporter senza previa esperienza di questo tipo, molto diretta e impulsiva, voluta fortemente da Cory Ellison (Billy Crudup), un dirigente della rete che la vede come un’occasione per svecchiare il contenitore mattutino. Questo lascia scontento Daniel Henderson (Desean Terry) che contava di essere lui favorito ad ereditarne il ruolo. Il metereologo Yanko Flores (Néstor Carbonell) e l’assistente alla produzione Claire Canway (Bel Powley) hanno segretamente una storia, e alla luce dello scandalo si interrogano sulle ripercussioni sulle loro carriere se si venisse a scoprire.  

Tanti sono i temi che emergono nelle puntate: come gestire l’immagine di un programma e rilanciarlo dopo un momento di crisi; le concezioni sul ruolo del giornalismo e della televisione; le dinamiche all’interno di un network e le politiche aziendali in merito alla condotta dei propri impiegati; la cultura condivisa; l’apparenza versus la realtà; i sacrifici individuali; i rapporti personali dai confini non sempre così ben definiti; le connessioni umane che si creano nei luoghi di lavoro; il ruolo nel non detto nelle relazioni; l’inesperienza e la professionalità; il potere; la percezione sociale e l’opinione pubblica; l’equilibrio fra vita professionale e casalinga; la deontologia e l’etica; il silenzio e la condivisione; lo spazio delle donne nella realtà contemporanea; le modalità di costruzione delle narrative degli eventi; il peso degli aspetti economici e finanziari nelle scelte di ciascuno… Non c’è dubbio alcuno però su quale sia la tematica centrale sotto i riflettori: le molestie sessuali sul luogo di lavoro e il movimento #metoo.

Non sempre si ha l’impressione di trovarsi davanti a una serie rivelatoria e potente, con una scrittura nitida e graffiante, eppure in molti momenti lo è e quello che la fa comunque emergere, e fa capire che è meno ingenua di quanto non potrebbe sembrare a uno sguardo superficiale, è che semplicemente gli autori si rifiutano di semplificare la questione. La si seziona tenendo conto di tutti. C’è una condanna netta verso i comportamenti predatori, siano consapevoli o meno, perché sono distruttivi: la season finale (senza fare spoiler) rivela quanto possano esserlo. Si dice chiaramente che anche lì dove c’è apparentemente consenso, il fatto che una persona si trovi in una posizione di potere nei confronti di un’altra (per età, per esperienza, per fama, per ruolo) il consenso può essere viziato. Si mostra e si dice come le molestie si riflettano sull’immagine di sé, sul proprio lavoro, sulla propria vita, di come ci si possa sentire violati, spaventati, inermi, usati, di come si possa trovare difficoltoso dire no e difendersi, di come nel parlare si possa temere di venire definiti da quell’evento…

Questo non significa che le posizioni personali siano solo bianche o nere, ma in molte gradazioni di grigio. C’è spazio per la collega che vedeva un clima insalubre ma lo attribuiva al fatto che è sempre stato un mondo al maschile; c’è spazio per il pubblico che rimane deluso e non vuole credere alla colpevolezza del proprio beniamino; per l’affetto della collega che condanna il comportamento, ma vuole comunque bene alla persona; per gli egoistici interessi personali che fanno agire in un modo che a posteriori si rimpiange; nel clima culturale esistente c’è spazio per riconoscere, anche se non si condona, che qualcuno non si possa essere reso conto di abusare del proprio ruolo, credendosi corretto, ingenuamente magari ma in buona fede; per chi vuole veramente una relazione sul lavoro, ma ne teme le conseguenze e le invasioni di privacy; c’è perfino spazio per chi quegli abusi li ha subiti e apparentemente ne ha avuto dei benefici secondari… in tutto questo non si giustificano una cultura e quegli atteggiamenti che permettono abusi, ma si guarda all’umanità delle interazioni. C’è molto su cui riflettere in questa creazione di Jay Carson. Nelle sfumature, nelle sbavature dei margini, il programma dimostra la propria grandezza.  
 
    
In modo tangenziale, osservo anche un altro dato, una curiosità, più che altro. Ho visto la season finale, originariamente trasmessa poco prima di Natale 2019, nel marzo 2020, in piena crisi coronavirus. Quello che non ho potuto non notare, e che probabilmente mi sarebbe passato indifferente se avessi guardato l’ultima puntata in un altro momento, è che quando le protagoniste interrompono la regolare messa in onda per prendere la parola, la notizia che stavano trasmettendo riguardava la quarantena di una nave per un misterioso virus. Alle loro spalle si leggeva proprio a caratteri cubitali la scritta “quarantena”. Ha fatto uno strano effetto, anche proprio in prospettiva della rilevanza che si può o può non dare a un’informazione in uno specifico momento.  La produzione della seconda stagione della serie è stata peraltro interrotta causa COVID-19.   

lunedì 2 marzo 2020

SEX EDUCATION: la seconda stagione

Ha convinto al pari della prima stagione la seconda tranche di Sex Education (Netflix), capace di essere piena di verve e umorismo, ma contemporaneamente di riuscire a trattare tematiche molto serie e rilevanti.

Si riprende con il protagonista adolescente Otis (Asa Butterfield) che finalmente ha superato la propria incapacità a masturbarsi. Sebbene venga rassicurato che è normale e sano farlo, ora ha l’impressione che il suo corpo abbia preso possesso di lui e si rende conto non solo che ha molto da imparare, ma che sebbene abbia tanta esperienza teorica ne ha poca di pratica, e questo è un nuovo terreno di esplorazione per lui. Convinto di essere bravissimo nei ditalini (2.02) alla sua ragazza Ola (Patricia Allison), rimane presto deluso nello scoprire di non esserlo. Qui, e cosa importante proprio attraverso questo personaggio che parecchio ne sa, ma anche attraverso altri (in 2.06 con il tema delle docce anali, ad esempio), si insegna a mio avviso una delle lezioni più importanti di tutte: nessuno “nasce imparato” come si suol dire, e anche nel sesso, come in altri aspetti della vita, c’è un percorso di apprendimento.

Si è parlato della necessità di ascoltare il proprio partner (2.02); si è mostrato che sono tematiche che interessano tutti a tutte le età, con la moglie del preside, Maureen (Samantha Spiro), timorosa di manifestare la propria insoddisfazione; si è fatto vedere che ci si può pensare in un modo per poi scoprire che la propria identità sessuale è diversa da quella che si immaginava, con Ola che si rende conto di essere pansessuale (2.05); si rassicura sul fatto che il sesso è solo una parte della vita e che per qualcuno può non essere importante, dando visibilità e sollievo a un personaggio asessuale (2.04); si è dato più peso rispetto alla prima stagione alla sessualità femminile, accennando anche a situazioni come vaginismo e perimenopausa (2.08); non si è avuto timore di dire, cosa che dovrebbe essere scontata ma non lo è, nella esigenza di rendere educative e scientifiche le conversazioni, che una componente importante è il piacere… A fronte di vergogna e cattiva comprensione, la madre di Otis che è sessuologa, Jean (Gillian Anderson), che si trova a lavorare come consulente per la scuola del figlio, vuole offrire fiducia, dialogo e verità. E astutamente la serie si “autodenuncia” portando alla luce la non eticità di quello che il protagonista adolescente ha fatto finora, ovvero fare consulenza a pagamento ai compagni.   

Nonostante qualche scivolone (a stretto giro pubblicherò un post apposito su questo), una grande forza della serie sta nel riuscire a fare davvero educazione sessuale. Magari riferire informazioni puramente mediche, come il fatto che la clamidia si trasmette attraverso lo scambio di fluidi sessuali (2.01), è anche sufficientemente semplice, e la brillantezza nel trasmetterlo è stata nel fatto di riuscire a renderlo umoristico, con tutta la scuola presa dall’isteria in proposito.

Ma si è anche stati davvero eccellenti con informazioni decisamente più umanamente complesse, con risvolti psicologici che richiedono sicuramente più finezza intellettuale.  A questo proposito non posso non applaudire la vicenda che ha coinvolto la dolce Aimee Gibbs (Amiee Lou Wood). Prende l’autobus (2.03) e uno dei passeggeri si masturba eiaculando sui suoi jeans. Lei prende la cosa alla leggera, apparentemente più seccata di aver rovinato uno dei migliori capi di abbigliamento che ha, che altro. Maeve (Emma Mackey) però la convince a sporgere denuncia. Nei giorni successivi la ragazza ha il terrore di prendere l’autobus. Si fa chilometri a piedi pur di non rimettersi nella stessa situazione e comincia a vedere il molestatore in ogni dove, mettendola in crisi nei suoi rapporti personali con l’altro sesso. L’intelligenza e la forza di questa storia stanno nel mettere in scena una situazione in fondo minore – non c’è stata propriamente un’aggressione, uno stupro o chissà che altro – e di mostrare come possa impattare fortemente in negativo la vita di una donna. La storia è diventata ancora più potente, e con echi più vasti, facendola diventare un’occasione di solidarietà femminile. Un gruppetto di ragazze viene messo in punizione e quello che devono fare per uscirne è fare una presentazione su quello che le lega come donne (2.07). Non c’è molto, scoprono, ma per tutte loro ci sono state attenzioni sessuali non richieste e sgradite: una è stata palpeggiata, un’altra seguita, un’altra ancora esposta alla visione delle parti intime di uno che frequentava la piscina dove aveva dovuto rinunciare ad andare, un’altra è stata molestata verbalmente…Se, per sostenere la compagna, decidono tutte insieme di salire sull’autobus e farle passare ogni timore, si denuncia il fatto che due terzi delle minorenni si trovano a dover gestire situazioni similari.

Non ho problemi particolari ad ammettere che #metoo, io stessa ho vissuto prima della maggiore età più di uno degli esempi qui descritti. In particolare mi sono travata proprio in una circostanza che presenta dei parallelismi con quella di Aimee, sebbene fosse in parte diversa e sebbene io fossi considerevolmente più giovane di lei. Forse anche per questo mi ci sono fortemente identificata: ho sperimentato la paura di trovarmi alla fermata dell’autobus, l’idea che poteva essere chiunque ad aggredirmi, la sensazione di non essere mai al sicuro…proprio come è stata descritta qui. Io quei paralizzanti timori me li sono portati dietro per anni e mi hanno condizionata. Sono, in effetti, esperienze comuni, ma non so se mi sia capitato altre volte di riconoscermi così autenticamente in una storia come in questo caso e vederlo rappresentato così mi è sembrato qualcosa di grande, di rilevante, di necessario. E non è stato pesante, ci si è anche riso su.     
      
Ci sono stati altri begli intrecci di plot con spessore: quello dell’amore contrastato fra Otis e Maeve, con il difficile rapporto di lei con la madre. E uno degli aspetti più mirabili nella costruzione di Otis si è avuto esplicitato dalle parole della compagna Ola: cerca così fortemente di comportarsi bene che finisce involontariamente a ottenere l’effetto opposto. Si è ragionato sulla mascolinità (con il preside Groff e il padre di Otis) e sull’omofobia interiorizzata verso se stessi attraverso la storia di Adam (Connor Swindells) e il suo rapporto con Eric (Nguti Gatwa), coinvolto in un bel triangolo con il nuovo arrivato Rahim (Sami Outalbali). La pressione, anche involontaria, dei sogni e delle aspettative dei genitori verso i figli è stata ben incarnata dalla storia di autolesionismo di Jackson Marchetti (Kedar Williams-Stirling), e si è costruita una bella amicizia fra lui e Viv (Chinenye Ezeudu).

Si è detto molto insomma, con uno stile fresco e accattivante. Già non si vede l’ora della terza confermata stagione.