venerdì 18 gennaio 2013

THE GOOD WIFE: seconda stagione


Ho veramente sottovalutato The Good Wife durante la prima stagione. Durante la seconda mi ha completamente conquistata e sono “in awe”, come mi verrebbe da dire in inglese, sono sbalordita e ammirata per la capacità di questa serie di tessere trame con innumerevoli fili e, come un giocoliere, di tenere in aria molte tematiche diverse, anche per la sottigliezza con cui affronta le questioni.

Il procedimento legale ha una sua innata liturgia da cui spesso e volentieri, tradizionalmente, le serie si lasciano imbrigliare. Non The Good Wife: questo è stato chiaro dall’inizio. Alla fine tratta sì casi legali fondamentalmente autoconclusivi, ma non si limita a quello.

Le vicende degli effettivi casi in sé sono legate all’attualità e fanno eco a vicende che sono apparse sui giornali. Penso a un episodio come “VIP Treatment” (2.05) su una massaggiatrice che accusa di stupro un premio Nobel che lavora per i diritti delle donne in Africa, e lo studio deve decidere se accettare il caso (una di quelle puntate che ti fanno dire “WOW”), o “Net Worth” (2.14) quella in cui un imprenditore nell’ambito dei computer alla maniera dello Zuckerberg di Facebook denuncia uno sceneggiatore alla maniera di Sorkin di The Social Network. La filigrana di situazioni reali si vede. E la tensione narrativa viene sostenuta in genere anche dalle investigazioni legate ai casi e dalla suspense dei tempi stretti in cui il lavoro va svolto.

La serie parla non solo di vicende legali, ma di politica, di pubbliche relazioni, di rapporti intraufficio, di amicizia, di famiglia e relazioni intergenerazionali, di matrimonio e di amore (la riappacificazione di Alicia con Peter si falda e la stagione termina con Alicia che insieme Will prende una camera d’albergo, a culmine di un “triangolo” magistralmente costruito), di figli, di religione (con la figlia Grace che si avvicina a messaggi cristiani), di tecnologia. Il New Yorker in un articolo di recensione intitolato Net Gain, che vale la pena di leggere, si sofferma in modo particolare sull’importanza di quest’ultimo aspetto.

 Non solo letteralmente tutti gli attori protagonisti brillano, ma la serie sceglie anche certosinamente i personaggi ricorrenti e le guest star (in questa questa stagione ricordiamo anche solo Micheal J.Fox, America Ferrera, Martha Plimpton e Dallas Roberts), e anche i giudici di fronte a cui vengono discussi i casi ritornano risultando, con poco, un eccellente strumento di fidelizzazione - come non ricordare la giudice che chiede continuamente agli avvocati di chiudere le proprie argomentazioni con “in my opinion”, “secondo me”. Ho anche notato e apprezzato che la serie, che è in onda sulla CBS, stia utilizzando numerosi attori della dismessa soap Così Gira il Mondo, che appunto era in onda sulla stessa rete.

Robert e Michelle King stanno davvero facendo un eccellente lavoro, in my opinion.

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