martedì 21 ottobre 2014

MADAM SECRETARY: ambiziosa, ma dolorosamente inadeguata

 
Se dal pilot non si era sicuri se Madam Secretary volesse essere The West Wing o Scandal, alla terza puntata si è capito che vorrebbe essere il primo, ma che non ne ha le capacità. Purtroppo. Una grave crisi internazionale viene risolta scambiando un favore politico con un voto scolastico: una A in un esame universitario. Risibile.
 
Questa nuova creazione di Barbara Hall (Joan of Arcadia) vede come protagonista una sempre convincente Tèa Leoni nel ruolo di Elizabeth McCord, ex-agente della CIA, per molti anni docente universitaria di storia, che viene richiamata dal presidente in carica, Conrad Dalton (Keith Carradine), a ricoprire il suolo di Segretario di Stato, dopo che il suo predecessore è stato assassinato ( e sul come e perché c’è un po’ di mistero). La serie segue un modello un po’ alla House: il caso politico è presentato nel teaser pre-sigla e sviluppato nella puntata autoconclusiva, e ad arco c’è la vita professionale e personale della protagonista, un po’ Hilary Clinton, un po’ Condoleezza Rice. C’è anche un pizzichino di Homeland.
 
Nelle vicende di politica internazionale c’è poca visione. Ci sono semplificazioni imbarazzanti che, considerato quello che c’è in TV ultimamente, non sono semplicemente accettabili. Manca chiaroscuro, ed è troppo flebile la percezione che ci sia dell’altro indefinibile ad di là di quello che vediamo. Manca profondità insomma. L’eccellente Zeljko Ivanek – come dimenticarlo nella prima stagione di Damages? – che ha il ruolo di Russell Jackson, capo del personale della Casa Bianca, con cui Elizabeth ha degli scontri, è usato poco e male, con scene striminzite che non dicono nulla. Non si capisce che cosa ci stia a fare lì. Lo stesso si può dire dello staff di supporto al lavoro: Nadine Tolliver (Babe Neuwirth), suo capo del personale; Matt Mahoney (Geoffrey Arend), scrittore di discorsi; Blake Moran (Erich Bergen), suo assistente; Daisy Grant (Patina Miller), coordinatrice della stampa. È ben chiaro chi è chi, ma dopo cinque puntate i personaggi sono ancora troppo indefiniti, tanto che le relative posizioni potrebbero risultare quasi intercambiabili e i passaggi personali intesi in senso leggero e semi-umoristico sono patetici.  
 
Sul fronte di casa, dove la protagonista assorbita dal suo ruolo di Segretario di Stato si sente manchevole, da un lato il rapporto con il marito Henry (Tim Daly), docente universitario di storia, è eccessivamente edulcorato; dall’altro quello della coppia con i tre figli, Allison (Katherine Herzer), Jason (Evan Roe) e Stephanie (Wallis Carrie-Wood) è superficiale. Non si può dire tutto, ma non si vede il substrato. Da un facile paragone con The Good Wife (serie a cui è associata nella programmazione sulla CBS) ne rimane annientata.
Madam Secretary ha molta ambizione, ed è sotto molti aspetti magnifico che si corrano dei rischi nel produrre serie che hanno come protagoniste donne brillanti che non siano il solito avvocato o poliziotto. Ben venga rispetto al trito formulaico gialletto della settimana. Allo stesso tempo rispetto al potenziale della premessa è dolorosamente inadeguata.

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