martedì 22 settembre 2015

BLINDSPOT: tanta azione

 
In Blindspot, che ha debuttato ieri sera negli USA sulla NBC, una donna che non ricorda nessun dettaglio della propria identità, Jane Doe (Jaimie Alexander), viene ritrovata completamente nuda in un borsone nel mezzo di Time Square a New York. Il suo corpo è interamente ricoperto di tatuaggi, che, si scoprirà dopo, sono ciascuno legato ad un crimine da risolvere. Sulla schiena uno di questi scrive il nome di Kurt Weller (Sullivan Stapleton), il locale agente dell’FBI che non la conosce minimamente.  Presto si scopre che la donna in questione ha comunque conservato una memoria di tipo funzionale e ha competenze inaspettate, parla il cinese in modo fluente ed è grande esperta di arti marziali. Alcuni flashback rivelano che è stata lei a volersi far iniettare una sostanza che le cancella la memoria per una missione di cui non si conoscono le ragioni.
L’inizio di questo progetto ideato da Martin Gero e Greg Berlanti ha intrigato molti, ma non me. Una donna nuda, spaurita, ricoperta di segni che non conosce, messa in una sacca e “priva di identità” la vedo come la quintessenza della oggettificazione. E anche se poi è lei l’eroina, quest’immagine si rifiuta di suscitare in me il fascino che vedo ha colto molti critici. L’attrice riesce a rendere bene la vulnerabilità e il senso di svilimento del personaggio. Le azioni in cui è coinvolta però, ispirate alla pellicola coreana del 2013 The Suspect e ai film del ciclo di The Bourne Identity, non vanno al di là di  esplosioni, salti in stile parkour e coreografiche acrobazie – l’attrice è stata allenata in varie tecniche di combattimento come jujitsu, judo, krav maga e preparata a utilizzare armi di ogni genere. Per quel che mi riguarda, ben poco di cui entusiasmarsi.   

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