giovedì 8 ottobre 2015

CODE BLACK: caos e cliché


Ambientato all’Angels Memorial Hospital di Los Angeles, Code Black  (sull’americana CBS dal 30 settembre) esordisce con in sovrimpressione la spiegazione di che cosa si intenda con questo termine: si ha un codice nero quando “l’afflusso di pazienti è così elevato, che non ci sono risorse a sufficienza per trattarli”. E si procede nel dire che nel pronto soccorso di un ospedale medio questo accade cinque volte all’anno, in questo ospedale accade fino a 300 volte all’anno.
Il solito assortimento appena abbozzato di nuovi residenti in medicina  - Angus (Harry M. Ford) che fatica a credere in se stesso; Christa (Bonnie Somervile), la vecchia del gruppo, cosa che devono dirti altrimenti non te ne accorgeresti; Mario (Benjamin Hollingsworth); Malaya (Melanie Chandra) – vengono accolti dalla “mamma”, il capoinfermiere Jesse (Luis Guzman), ma presto fanno la conoscenza anche di “papà”, la dottoressa anticonformista Leanne Rorish (una sempre magnifica Marcia Gay Arden, premio Oscar per Pollock), la solita severissima professionista che non tollera imprecisioni e che al primo errore ti manda via. Ha fatto da mentore al dottor Neal Hudson (Raza Jaffrey) che ora però la giudica più imprudente e pericolosa: “Tu sei il medico che vogliono; io sono il medico di cui hanno bisogno”, lo apostrofa trionfante lei.
Basato su un documentario dallo stesso titolo del 2014 di Ryan McGarry, il programma ideato da Michael Seitzman ne riprende anche un po’ le caratteristiche. La nota dominante è il caos, con sangue ovunque e oggetti di qui e di là e inquadrature che non riescono ad essere chiare e pulite.  La potremmo vedere come una versione aggiornata di ER, ma senza la rivoluzione estetica portata dall’ormai storico programma ospedaliero. Vedere persone che aspettano e medici che corrono e gridano, e casi clinici a mala pena abbozzati, forse è realistico abbastanza da ricordare la vita reale, ma non abbastanza da costituire un racconto sufficientemente avvincente, specie se lo stile concitato si trascina dietro la debolezza narrativa di storie sdolcinate e strappalacrime e prevedibili cliché.

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