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venerdì 21 dicembre 2012

SEX!: il nuovo numero di OL3MEDIA

 

È appena uscito il nuovo numero di Ol3Media, da me curato e dedicato al sesso.
 
Lo potete scaricare gratuitamente da iTunes (se avete iPad o iPhone) seguendo questo link qui, ed è tutto interattivo: ci sono articoli in italiano e in inglese, e questi ultimi nella versione di iTunes hanno l'abstract disponibile in traduzione italiana, cliccando sulla bandierina verde, bianca e rossa.
 
Diversamente, il numero sarà disponibile anche in PDF sul sito di Ol3Media, fra qualche giorno.
 

Questo è l'indice:
 

“Tutto ruota intorno al sesso” – Una breve introduzione al sesso nei media, di Giada Da Ros
Sleeping Her Way to the Top: Im Sang-soo’s The Housemaid, di Karley Adney
Tell Me You Love Me – Il sesso. La vita: verso un’estetica dell’intimo , di Giada Da Ros
Nel bagno del grande schermo: scene di sesso, di Raffaella De Antonellis
Sex Talk - Grey’s Anatomy, di Anna Viola Sborgi
The Street Came Flying Into the Room: how the exploration of sex attempts to reconcile political ideologies in Bernardo Bertolucci’s The Dreamers, di Nahum Welang
Una lotta contro l'ignoranza e la paura. I comizi d'amore di Pasolini. Un'indagine Kinsey all'italiana?, di Elisa Zanola

venerdì 28 settembre 2012

GREY'S ANATOMY: l'ottava stagione

 
È terminata con il botto l’ottava stagione di Grey’s Anatomy. La tradizionale puntata di megadisastro a cui questo telefilm ci ha abituato è stata riservata per la fine, in quest’occasione. La serie diventa ogni giorno più soapy, ovvero introduce elementi inverosimili alla maniera delle soap: uno per tutti, il compagno della Bailey (Chandra Wilson), Ben (Jason George), che le fa trovare un tavolo imbandito di tutto punto per una cena romantica in ospedale visto che lei ha operato fino all’ultimo e ogni prenotazione al ristorante è andata a farsi benedire – tanto deliziosamente romantico quanto completamente poco credibile. Ma se Grey ci piace è anche per questo. Anche quando vedi che non è chissà quale grande televisione, sei affezionato ai personaggi e non ti importa. 
Questa stagione è partita un po’ in sordina, con il licenziamento subito rettificato di Meredith (Ellen Pompeo) a seguito del suo aver compromesso la ricerca sull’Alzheimer di Derek (Patrick Dempsey): che le abbiano di fatto impedito di subire le conseguenze di una decisione tanto grave, sia eticamente che professionalmente, mi ha lasciato l’amaro in bocca. E le ripercussioni sull’adozione della coppia della piccola Zola, che soffre di spina bifida, sono forse la sola cosa degna di nota collegata. La tensione narrativa però è stata fiacca. Più interessanti le conseguenze per Richard (James Pickens, jr) -  che ha dovuto cedere il posto di capo del personale a Owen – per il quale la storia con la moglie Adele (Loretta Devine) è stata portata alle sue naturali conclusioni, con lei affidata a una casa di cura.
La storia davvero potente dell’ottavo arco, quella che ha funzionato sotto ogni punto di vista, è stata quella dell’aborto di Christina (Sandra Oh) e delle conseguenze che ha avuto nel suo rapporto con Owen (Kevin McKidd). Qui la serie è stata soap nel senso migliore del termine: ha esaminato con onestà emozionale le posizioni di entrambi e solo con il necessario pizzico di melodrammaticità ha ritratto la coppia con integrità, mettendone a nudo vulnerabilità e forze. Gli attori sono stati superbi in ogni passaggio. Bisogna poi applaudire anche solo la presenza di un personaggio femminile che non vuole figli, per il semplice fatto che non desidera averne. Sono così rari che sembra talvolta che non esistano. In questo senso Christina davvero è un originale e rende visibili molte donne là fuori che sullo schermo sono decisamente sottorappresentate.
La storia di Teddy (Kim Raven, ora entrata nel cast di Revolution) che, inaspettatamente, perde (8.09) il marito Henry (Scott Foley) è stata fatta con garbo, ma ha avuto più forza per il tipo di dinamiche create con Owen e Christina che alto. Dopo la storia di Izzy (Katherine Heigl), sulla cui falsariga era concepita,  in questo senso non ce n’è per nessuno. Arizona (Jessica Capshaw) e Callie (Sara Ramirez) sono state in secondo piano, quest’anno, e Lexie (Chyler Leigh) e Mark (Eric Dane) ormai hanno dato quello che potevano. A concepire i personaggi come segnaposto, i loro ruoli sono ora coperti da April Kepner (Sarah Drew) e Jackson Avery (Jesse Williams). La prima inizia la stagione con la difficoltà a imporre la sua autorità come chief resident e termina con una fortissima crisi personale: sembra inadeguatamente un po’ troppo il bersaglio dello scherno generale, e il tentativo di demolire la sua gioiosità con le difficoltà della vita non l’ho troppo gradito come tipo di retorica sottesa, né come risultato sul personaggio. Jackson dal canto suo, oltre a rendere onore al suo mentore professionalmente, tiene alto senza sforzo il quoziente di quello che l’ideatrice chiama man-whoreness  (“puttanità maschile”), ma che io mi accontento di definire “gnocchitudine”. La comparsa della madre di lui, sempre troppo presente nella sua vita, introdotta con una puntata sul trapianto del pene, è stata una mossa vincente. Karev (Justin Chambers) che si è avvicinato alla interna Morgan (Amanda Fuller), e al suo bebè nato prematuro, ha mostrato una volta in più che questo personaggio è sempre un po’ sotto-sfruttato. 
Questo era il quinto anno per la gran parte dei residenti e questo ha portato decisioni da prendere per la rispettiva specializzazione, esami finali e cose così: uno sguardo interessante a come funziona il sistema americano. Puntata “speciale” della stagione è stata quella di realtà alternativa  “If/Then” / “E se…” (8.13). Gradevole, ma non di più, anche perché arrivava esplicitamente a due conclusioni opposte, da un lato che siamo noi gli artefici del nostro destino, dall’altro che se è destino che accada qualcosa, non importa quel che facciamo, accadrà.    

mercoledì 24 agosto 2011

GREY'S ANATOMY: la settima stagione


È partita in modo anticlimatico la settimana stagione di Grey’s Anatomy, che in definitiva è stata discreta. La strage compiuta da un assassino di massa nel finale della precedente stagione si ripercuote nella quotidianità dei protagonisti, che, riprese le proprie vite, rivivono a flash le atrocità a cui sono stati costretti ad assistere, meditano sul senso della propria vita al punto attuale e nel farlo hanno l’appoggio di un terapeuta, una nuova entrata, il dottor Andrei Perkins (James Tupper, Men in Trees) che esce di scena abbastanza presto per poi rientrare solo brevemente alla fine. Il disturbo post traumatico da stress è l’iniziale filo conduttore di una stagione che comincia con il matrimonio di Christina (Sandra Oh), in abito rosso, e Owen (Kevin McKidd), e poi con la difficile temporanea rinuncia di lei alla professione, proprio perché non riesce a superare lo shock di quello che è successo.
La puntata “These Arms of Mine – Queste mie braccia” (7.06), scritta da Stacy McKee e con la regia di Stephen Cragg, è stata costruita come una sorta di documentario per la TV dal titolo Seattle Medical: Road to Recovery, ed è stata probabilmente la migliore della stagione, anche perché ha mostrato la ferrea consapevolezza dei diversi registri narrativi che si usano nei differenti generi, lasciando riflettere sulla forma di quello che guardiamo, e ha affrontato uno degli argomenti a cui si è accennato in questa stagione, quello della comunicazione attraverso la tecnologia – nella seconda metà di questo arco si è trattato dell’opportunità di raccontare via Twitter le operazioni in corso di via, esprimendo un’opinione favorevole nei confronti di una simile pratica.  

 La seconda metà di questo settimo ciclo si è concentrata su diversi filoni. Il trial clinico sui pazienti affetti da Alzheimer condotto da Derek (Patrick Dempsey) e Meredith (Ellen Pompeo), che avendo perso la madre per la malattia ha un interesse specifico in proposito, è stata la storia medica portante. Ha coinvolto un numero elevato di pazienti che ne sono affetti e ha dato uno spaccato maggiore sulla problematica, anche quando le vicende umane loro e dei loro familiari sono state viste solo di striscio. Storie di Alzheimer se ne sono viste parecchi nelle serie TV. La primissima che io rammento di aver visto risale agli inizi degli anni ’80 in Family Ties – Casa Keaton. E, curiosamente, una di quelle che mi sono rimaste più impresso si deve all’inedito, da noi, The Book of Daniel. Anche nelle scorse stagioni Grey ha sempre prestato una attenzione particolare a questa patologia. Quando ora si è scoperto che anche la moglie di Richard (James Pickens Jr), Adele (Loretta Devine), ha cominciato a mostrarne i sintomi inizialmente mi è sembrata una scelta ridondante, ma ha avuto senso nel prosieguo della storia con Meredith che mette a rischio la ricerca per far sì che la donna che Richard ama abbia l’effettivo medicinale e non un placebo. Anche vedere il tipo di ricerca medica che stanno conducendo nel suo svolgimento non è un percorso narrativo usuale, ed è benvenuto. Ha anche intersecato un'altra delle linee narrative portanti, quella degli specializzandi che competono fra loro per il ruolo di capo, ruolo chealla fine  va ad April Kapner.

 Altra linea narrativa portante è stata la maternità (Arizona e Callie che hanno una bambina che viene chiamata Sophia,  Meredith e Derek che cercano di adottare una bimba africana, Christina che non vuole a nessun costo un bambino e scopre di essere rimasta incinta. E il senso della famiglia. La rottura fra Arizona (Jessica Capshaw) e Callie (Sara Ramirez) è stata un po’ brutale e apparentemente immotivata, ma con la riappacificazione si è  data davvero preminenza alle due con molteplici risvolti. L’incidente stradale di Callie incinta, che ha rischiato di perdere la vita sua e della bimba che portava in grembo, è stata l’occasione dell’attesa puntata musical “Song Beneath the Song – Una canzone per rinascere” (7.18). Scritta da Shonda Rhimes, confesso che non mi è affatto piaciuta. Ho trovato bravi gli attori come interpreti, e le scelte registiche (di Tony Phlean) sono anche state originali (con parlato e cantato che si sovrapponevano, ad esempio), ma invece di aumentare l’impatto emotivo della storia i momenti canori si sono trasformati in una distrazione, salvo che nel numero finale. Spesso le canzoni sembravano non avere senso, o meglio non essere veramente legate a quello che accadeva se  non incidentalmente. E anche un numero apparentemente così ben realizzato come quello in cui tutte le coppie amoreggiavano, è risultato emotivamente stonato rispetto a quello che stava capitando. Uno dei principi fondanti di questo genere consiste nel fatto che quando le emozioni sono troppo forti per essere espresse a parole, interviene il canto. Qui appunto l’effetto è stato di diminuire la portata emozionale e l’espediente stilistico alla fine ha fallito il suo compito risultando pretestuoso. Dovevano fare un numero musicale e lo hanno fatto. Altro senso non c’è stato.

 Che la serie abbia a cuore i diritti dei gay è più che evidente. Come personaggi secondari ne sono apparsi diversi - ad esempio un ragazzo che ha rinunciato all’amore a Londra per consentire alla madre di partecipare al trial clinico  di Derek, una coppia che si doveva sposare e uno degli sposi è stato travolto da dei cavalli - e nello specifico si è prestata attenzione alla questione del matrimonio omosessuale, sia attraverso la suddetta coppia sia attraverso il parallelismo fra le nozze di Callie e Arizona e quelle fra Derek e Meredith (7.20 - “White Wedding – Tempo di matrimoni): lungamente desiderate, osteggiate dai familiari e faticosamente ottenute e celebrate secondo la tradizione e piene di gioia le prime, che non hanno valore legale, frutto della decisione del momento, rapide il tempo di una firma o poco più e asettiche le seconde, legali… L’iniquità della disparità è stata resa auto-evidente con una giustapposizione. Il senso dell’essere una famiglia poi e dei “nuovi modelli di famiglia” è stato costruito in modo forte in tutti i rapporti fra Mark (Eric Dane), padre biologico della bambina di Callie, Callie e Arizona.   

 Grey’s Anatomy si è sempre tanto concentrata sulle relazioni sentimentali dei protagonisti e si è tornati in carreggiata su questo fronte con solide storie non solo per i protagonisti storici. Teddy (Kim Raven) sposa un paziente che non ha l’assicurazione sanitaria, Henry (il sempre fascinoso Scott Foley) e finisce per innamorarsene. Lo scorbutico Stark (Peter MacNicol) corteggia la virginale April (Sarah Drew). Jackson (Jesse Williams) si fa avanti con Lexie (Chyler Leigh). Si è trattato di coppie per cui si è fatto il tifo facendosi trascinare nelle evoluzioni, nei piccoli ostacoli, nel pizzico di romanticismo.

 La finale di stagione poi ha assicurato sia colpi di scena che commozione, con un disastro aereo i cui passeggeri non arriveranno mai in ospedale perché morti, tranne una. Da tirar fuori i fazzoletti in puro stile Grey’s Anatomy che non è più da tempo una serie davvero buona, ma che qualche trucco dalla manica ancora lo sa tirar fuori e che ha personaggi a cui nonostante tutto non si riesce a non essere affezionati. 

venerdì 18 febbraio 2011

GREY'S ANATOMY: la sesta stagione - finale di sangue



La sesta stagione di Grey’s Anatomy è partita in modo molto commovente e sentito, con una doppia puntata strappalacrime (in senso buono) che si è concentrata sul funerale di Gorge (T.R. Knight). Dopo di ciò ha avuto davanti a sé un percorso accidentato. Non che la narrativa sia stata deludente, nella media, ma gli scossoni si sono sentiti: i personaggi di Izzie e Meredith, per impegni personali delle attrici, si sono visti molto poco. Katherine Heigl (Izzie) è proprio uscita di scena in modo definitivo, anche se quando ciò è avvenuto non si sapeva ancora che sarebbe stata la sua ultima scena. La gravidanza di Ellen Pompeo (ma non del suo personaggio) poi ha costretto a usi creativi della telecamera e dell’oggettistica. Non solo. Meredith si è offerta di donare un organo, costringendola a letto sotto le coperte in modo che lei fosse stesa e il pancione non si vedesse: per una volta il recupero da un’operazione ha forzato tempi realistici. La fusione del Seattle Grace in cui sono ambientate le vicende e un altro ospedale, il Mercy West, dovuto a ragioni finanziarie, ha permesso di affrontare il tema attuale della crisi economica introducendo anche una serie di nuovi medici: la dottoressa con gli occhi da cerbiatta Reed Adamson (Nora Zehetner, che abbiamo visto in Heroes e Everwood); il dottor Jackson Avery (Jesse Williams, Greek), tanto atletico quanto preciso; la dottoressa April Kepner (Sarah Drew, Everwood, Mad Men), presto licenziata; il dottor Charles Percy (Robert Baker), che si prende gioco di Izzy. Non vengono accolti bene, all’inizio sono paragonati ad alieni invasori, ma a poco a poco si integrano. Per ora che si arriva alla finale, sono parte del gruppo e la maggior parte di loro esce di scena in una doppia puntata da mega-evento, alla maniera in cui la serie ci ha sempre abituati. Ci sono grandi spargimenti di sangue e suspense. Il marito di una paziente morta in ospedale perde il senno per il dolore, prende una pistola e comincia a uccidere gente a destra e a manca, tenendo ostaggio sotto la canna della pistola gran parte dei beniamini. Le regie di Stephen Cragg (6.23) e Rob Corn (6.24) sono state molto efficaci in cambi di inquadrature repentini e scambi di profondità che hanno saputo trasmettere bene il senso di disorientamento e di paura “alla Columbine”. La sceneggiatura di Shonda Rhimes (6.23 e 6.24) ha retto bene per un tre quarti del percorso, poi ha lasciato le redini, mostrando quella che è la sua debolezza di sempre, sfociare nel melodramma perdendo impatto e scandendo un po’ nel melenso poco credibile. La musica chiaramente mostra un esplicito intento in quella direzione. Per me, quando il killer è entrato in sala operatoria si è perso il limite e tutto quello che seguito è risultato più fiacco di quanto non sarebbe potuto essere diversamente. Una maggiore crudezza e restraint avrebbero sferzato un colpo di duro, una ferita maggiore, e alla fine sarebbe risultato più appagante.