mercoledì 24 agosto 2011

GREY'S ANATOMY: la settima stagione


È partita in modo anticlimatico la settimana stagione di Grey’s Anatomy, che in definitiva è stata discreta. La strage compiuta da un assassino di massa nel finale della precedente stagione si ripercuote nella quotidianità dei protagonisti, che, riprese le proprie vite, rivivono a flash le atrocità a cui sono stati costretti ad assistere, meditano sul senso della propria vita al punto attuale e nel farlo hanno l’appoggio di un terapeuta, una nuova entrata, il dottor Andrei Perkins (James Tupper, Men in Trees) che esce di scena abbastanza presto per poi rientrare solo brevemente alla fine. Il disturbo post traumatico da stress è l’iniziale filo conduttore di una stagione che comincia con il matrimonio di Christina (Sandra Oh), in abito rosso, e Owen (Kevin McKidd), e poi con la difficile temporanea rinuncia di lei alla professione, proprio perché non riesce a superare lo shock di quello che è successo.
La puntata “These Arms of Mine – Queste mie braccia” (7.06), scritta da Stacy McKee e con la regia di Stephen Cragg, è stata costruita come una sorta di documentario per la TV dal titolo Seattle Medical: Road to Recovery, ed è stata probabilmente la migliore della stagione, anche perché ha mostrato la ferrea consapevolezza dei diversi registri narrativi che si usano nei differenti generi, lasciando riflettere sulla forma di quello che guardiamo, e ha affrontato uno degli argomenti a cui si è accennato in questa stagione, quello della comunicazione attraverso la tecnologia – nella seconda metà di questo arco si è trattato dell’opportunità di raccontare via Twitter le operazioni in corso di via, esprimendo un’opinione favorevole nei confronti di una simile pratica.  

 La seconda metà di questo settimo ciclo si è concentrata su diversi filoni. Il trial clinico sui pazienti affetti da Alzheimer condotto da Derek (Patrick Dempsey) e Meredith (Ellen Pompeo), che avendo perso la madre per la malattia ha un interesse specifico in proposito, è stata la storia medica portante. Ha coinvolto un numero elevato di pazienti che ne sono affetti e ha dato uno spaccato maggiore sulla problematica, anche quando le vicende umane loro e dei loro familiari sono state viste solo di striscio. Storie di Alzheimer se ne sono viste parecchi nelle serie TV. La primissima che io rammento di aver visto risale agli inizi degli anni ’80 in Family Ties – Casa Keaton. E, curiosamente, una di quelle che mi sono rimaste più impresso si deve all’inedito, da noi, The Book of Daniel. Anche nelle scorse stagioni Grey ha sempre prestato una attenzione particolare a questa patologia. Quando ora si è scoperto che anche la moglie di Richard (James Pickens Jr), Adele (Loretta Devine), ha cominciato a mostrarne i sintomi inizialmente mi è sembrata una scelta ridondante, ma ha avuto senso nel prosieguo della storia con Meredith che mette a rischio la ricerca per far sì che la donna che Richard ama abbia l’effettivo medicinale e non un placebo. Anche vedere il tipo di ricerca medica che stanno conducendo nel suo svolgimento non è un percorso narrativo usuale, ed è benvenuto. Ha anche intersecato un'altra delle linee narrative portanti, quella degli specializzandi che competono fra loro per il ruolo di capo, ruolo chealla fine  va ad April Kapner.

 Altra linea narrativa portante è stata la maternità (Arizona e Callie che hanno una bambina che viene chiamata Sophia,  Meredith e Derek che cercano di adottare una bimba africana, Christina che non vuole a nessun costo un bambino e scopre di essere rimasta incinta. E il senso della famiglia. La rottura fra Arizona (Jessica Capshaw) e Callie (Sara Ramirez) è stata un po’ brutale e apparentemente immotivata, ma con la riappacificazione si è  data davvero preminenza alle due con molteplici risvolti. L’incidente stradale di Callie incinta, che ha rischiato di perdere la vita sua e della bimba che portava in grembo, è stata l’occasione dell’attesa puntata musical “Song Beneath the Song – Una canzone per rinascere” (7.18). Scritta da Shonda Rhimes, confesso che non mi è affatto piaciuta. Ho trovato bravi gli attori come interpreti, e le scelte registiche (di Tony Phlean) sono anche state originali (con parlato e cantato che si sovrapponevano, ad esempio), ma invece di aumentare l’impatto emotivo della storia i momenti canori si sono trasformati in una distrazione, salvo che nel numero finale. Spesso le canzoni sembravano non avere senso, o meglio non essere veramente legate a quello che accadeva se  non incidentalmente. E anche un numero apparentemente così ben realizzato come quello in cui tutte le coppie amoreggiavano, è risultato emotivamente stonato rispetto a quello che stava capitando. Uno dei principi fondanti di questo genere consiste nel fatto che quando le emozioni sono troppo forti per essere espresse a parole, interviene il canto. Qui appunto l’effetto è stato di diminuire la portata emozionale e l’espediente stilistico alla fine ha fallito il suo compito risultando pretestuoso. Dovevano fare un numero musicale e lo hanno fatto. Altro senso non c’è stato.

 Che la serie abbia a cuore i diritti dei gay è più che evidente. Come personaggi secondari ne sono apparsi diversi - ad esempio un ragazzo che ha rinunciato all’amore a Londra per consentire alla madre di partecipare al trial clinico  di Derek, una coppia che si doveva sposare e uno degli sposi è stato travolto da dei cavalli - e nello specifico si è prestata attenzione alla questione del matrimonio omosessuale, sia attraverso la suddetta coppia sia attraverso il parallelismo fra le nozze di Callie e Arizona e quelle fra Derek e Meredith (7.20 - “White Wedding – Tempo di matrimoni): lungamente desiderate, osteggiate dai familiari e faticosamente ottenute e celebrate secondo la tradizione e piene di gioia le prime, che non hanno valore legale, frutto della decisione del momento, rapide il tempo di una firma o poco più e asettiche le seconde, legali… L’iniquità della disparità è stata resa auto-evidente con una giustapposizione. Il senso dell’essere una famiglia poi e dei “nuovi modelli di famiglia” è stato costruito in modo forte in tutti i rapporti fra Mark (Eric Dane), padre biologico della bambina di Callie, Callie e Arizona.   

 Grey’s Anatomy si è sempre tanto concentrata sulle relazioni sentimentali dei protagonisti e si è tornati in carreggiata su questo fronte con solide storie non solo per i protagonisti storici. Teddy (Kim Raven) sposa un paziente che non ha l’assicurazione sanitaria, Henry (il sempre fascinoso Scott Foley) e finisce per innamorarsene. Lo scorbutico Stark (Peter MacNicol) corteggia la virginale April (Sarah Drew). Jackson (Jesse Williams) si fa avanti con Lexie (Chyler Leigh). Si è trattato di coppie per cui si è fatto il tifo facendosi trascinare nelle evoluzioni, nei piccoli ostacoli, nel pizzico di romanticismo.

 La finale di stagione poi ha assicurato sia colpi di scena che commozione, con un disastro aereo i cui passeggeri non arriveranno mai in ospedale perché morti, tranne una. Da tirar fuori i fazzoletti in puro stile Grey’s Anatomy che non è più da tempo una serie davvero buona, ma che qualche trucco dalla manica ancora lo sa tirar fuori e che ha personaggi a cui nonostante tutto non si riesce a non essere affezionati. 

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