venerdì 18 febbraio 2011

GREY'S ANATOMY: la sesta stagione - finale di sangue



La sesta stagione di Grey’s Anatomy è partita in modo molto commovente e sentito, con una doppia puntata strappalacrime (in senso buono) che si è concentrata sul funerale di Gorge (T.R. Knight). Dopo di ciò ha avuto davanti a sé un percorso accidentato. Non che la narrativa sia stata deludente, nella media, ma gli scossoni si sono sentiti: i personaggi di Izzie e Meredith, per impegni personali delle attrici, si sono visti molto poco. Katherine Heigl (Izzie) è proprio uscita di scena in modo definitivo, anche se quando ciò è avvenuto non si sapeva ancora che sarebbe stata la sua ultima scena. La gravidanza di Ellen Pompeo (ma non del suo personaggio) poi ha costretto a usi creativi della telecamera e dell’oggettistica. Non solo. Meredith si è offerta di donare un organo, costringendola a letto sotto le coperte in modo che lei fosse stesa e il pancione non si vedesse: per una volta il recupero da un’operazione ha forzato tempi realistici. La fusione del Seattle Grace in cui sono ambientate le vicende e un altro ospedale, il Mercy West, dovuto a ragioni finanziarie, ha permesso di affrontare il tema attuale della crisi economica introducendo anche una serie di nuovi medici: la dottoressa con gli occhi da cerbiatta Reed Adamson (Nora Zehetner, che abbiamo visto in Heroes e Everwood); il dottor Jackson Avery (Jesse Williams, Greek), tanto atletico quanto preciso; la dottoressa April Kepner (Sarah Drew, Everwood, Mad Men), presto licenziata; il dottor Charles Percy (Robert Baker), che si prende gioco di Izzy. Non vengono accolti bene, all’inizio sono paragonati ad alieni invasori, ma a poco a poco si integrano. Per ora che si arriva alla finale, sono parte del gruppo e la maggior parte di loro esce di scena in una doppia puntata da mega-evento, alla maniera in cui la serie ci ha sempre abituati. Ci sono grandi spargimenti di sangue e suspense. Il marito di una paziente morta in ospedale perde il senno per il dolore, prende una pistola e comincia a uccidere gente a destra e a manca, tenendo ostaggio sotto la canna della pistola gran parte dei beniamini. Le regie di Stephen Cragg (6.23) e Rob Corn (6.24) sono state molto efficaci in cambi di inquadrature repentini e scambi di profondità che hanno saputo trasmettere bene il senso di disorientamento e di paura “alla Columbine”. La sceneggiatura di Shonda Rhimes (6.23 e 6.24) ha retto bene per un tre quarti del percorso, poi ha lasciato le redini, mostrando quella che è la sua debolezza di sempre, sfociare nel melodramma perdendo impatto e scandendo un po’ nel melenso poco credibile. La musica chiaramente mostra un esplicito intento in quella direzione. Per me, quando il killer è entrato in sala operatoria si è perso il limite e tutto quello che seguito è risultato più fiacco di quanto non sarebbe potuto essere diversamente. Una maggiore crudezza e restraint avrebbero sferzato un colpo di duro, una ferita maggiore, e alla fine sarebbe risultato più appagante.

Nessun commento:

Posta un commento