lunedì 9 dicembre 2013

TV 2013: le serie rivelazione e i momenti memorabili

 
È arrivato il periodo delle molte liste di migliori programmi e più memorabili momenti televisivi dell'anno. Io di solito non ne faccio mai perché, volente o nolente, sono sempre indietro con troppe cose e sicuramente trascurerei qualcuno di meritevole. In compenso mi piace sempre leggerle e confrontarle. Nessuna è giusta e nessuna è sbagliata, ma se qualche programma compare nelle liste di tutte, una ragione di solito c'è. Da qui a fine anno perciò ne posterò diverse, quelle di cui attendo sempre con maggiore partecipazione l'annuncio.
Da parte mia però scelgo quest'anno, senza un ordine particolare, le mie tre 'serie rivelazione' per il 2013 e i tre momenti che per me sono stati più emozionanti.
 
Serie rivelazione:
 
1. INSIDE AMY SCHUMER: un po' sit-com, un po' stand-up, un po' interviste per la strada, un po' chiacchierate a due, Amy Schumer colpisce sempre nel segno in modo esilarante, parlando di sesso, di relazioni, di stereotipi di genere, dell'essere giovani donne... L'anno definita una serie FUBU, for us by us, per noi da noi, ovvero scritta da una donna per le donne. Forse: io so solo che mi fa ridere e che la trovo intelligente, anche nei momenti un po' surreali.
 
2. THE AMERICANS. Una serie in cui gli eroi-antieroi sono spie russe del KGB che si fanno passare per patriottici americani mi ha fatto domandare se fra trent'anni vedremo come protagonisti di una serie USA degli iraniani: spero di esserci a vederla. Questa serie è tanto avventura spionistica quanto, soprattutto, la storia di un matrimonio, nato per interesse di Stato e sviluppatosi come se fosse stato vero. È diventato vero. Avvincenti avventure si intrecciano a riflessioni sull'animo umano.  Graham Yost (Justified) fra i produttori per me è una garanzia.
 
3. MASTERS OF SEX. Non la considero eccezionale, ma ottima in ogni caso. Ne ho parlato qui.
 
Ammetto di non aver ancora visto né RECTIFY né HOUSE OF CARDS o ORANGE IS THE NEW BLACK che potrebbero essere prese in considerazione, da quel che so, come possibili migliori nuove serie.
 
Quanto ai momenti per me più emozionanti dell'anno, anche qui senza un ordine particolare, eccoli di seguito. Se non li avete visti e non volete spoiler, non leggete dopo i due punti che seguono il titolo della puntata.
 
1. GAME OF THRONES (3.09) - The Rains of Castamere: le così dette 'nozze rosse', una vera e propria carneficina, sono state molto inaspettate, almeno per me che non ho letto i libri, e di certo una simile strage non è qualcosa che si dimentichi facilmente. Ho perso anche personaggi a cui ero affezionata, ma che con Martin nessuno sia al sicuro e che chiunque possa morire fa parte del gioco, ed è un gioco che mi piace.
 
2. THE GOOD WIFE (5.05) - Hitting the fan: in realtà tutta la quinta stagione finora è stata mozzafiato, ma la quinta puntata è stata proprio un game changer. Da questo punto in poi nulla sarà più lo stesso. La puntata scritta dai coniugi King è stata praticamente un thriller che ha tenuto col fiato sospeso colpo di scena dopo colpo di scena, azione legale dopo azione legale. Ero letteralmente 'on the edge of my seat' sulla punta della sedia per l'eccitazione di vedere che cosa sarebbe successo. The Good Wife si conferma la serie TV con i personaggi in assoluto più multidimensionali. È stata una storia di lealtà e tradimento. Forse il momento più toccante per me è stata la telefonata fra Will e Alicia quando lui le parla delle cose di scuola della figlia: il modo in cui hanno comunicato sul piano personal-familiare in modo pacato e premuroso, quasi, in un momento in cui per ogni altra ragione di fanno la guerra è stato davvero toccante.
 
3. MASTERS OF SEX (1.05) - Catherine: ammetto che ho per il personaggio di William Masters una cotta televisiva come non mi capitava da secoli, e lo attribuisco specialmente alla spettacolosa e sottile interpretazione di Michael Sheen. La fine di questa puntata, per il resto buona ma non indimenticabile, è stata per me il momento televisivamente più indimenticabile dell'anno, e forse di molti anni. L'ho adorata visceralmente. Nella puntata la moglie di William, Libby, perde il bambino che aspettavano. Quella sera William vorrebbe continuare il lavoro e vuole far credere di essere rimasto imperturbato dagli eventi. Virginia lo invita a permettersi di lasciarsi andare. William scoppia a piangere e lo fa in modo travolgente, come un animale ferito. Tenendola per mano. Quello che mi ha fatto letteralmente impazzire è che lui, prima di mettersi a piangere, le abbia chiuso gli occhi per non farsi vedere. Trovo che sia stato potentissimo. La serie è sul guardare, e specificatamente sul guardare persone fare sesso. In una puntata successiva William è elettrizzato perché loro sono i primi a vedere l'interno di una vagina durante un orgasmo. La scena di questa puntata mi piace perciò per quello che ci dice ideologicamente, perché mostra come le emozioni intense e autentiche sono molto più riservate e richiedono molto più pudore di qualunque atto sessuale fisico. Non è il sesso, ma sono le emozioni ciò che di più privato abbiamo. È stato uno spettacolo, e una posizione rara da sentire. Non solo: l'autrice ha dichiarato che nella serie non guardiamo tanto il sesso, quando i protagonisti che guardano il sesso. Ecco, anche qui guardiamo loro. E quello che vediamo è così dirompente e intenso che loro devono chiudere gli occhi. Ero tentata di riguardare la scena chiudendo gli occhi anch'io.
 
Runner-up: ORPHAN BLACK (1.10) - Endless Forms Most Beautiful: se avessi una quarta posizione la darei a questo finale. Ha riservato diversi colpi di scena. Il più memorabile per me é stato quando Alison, che sospettava che Aynesley fosse la sua monitor, l’ha lasciata morire strangolata dalla sciarpa che le si è impigliata nel tritarifiuti. Gulp!
 
Ho dimenticato qualcosa? Sicuramente. E poi di rammarico: come ho fatto a dimenticare quella tal cosa? Succede sempre.

giovedì 5 dicembre 2013

WGA: le nomination per i migliori sceneggiatori


 
Chi sono i migliori scrittori della TV, secondo gli sceneggiatori stessi riuniti nella Writers Guild of America? A giudicare dalle nomination per i WGA Awards sono, nelle principali categorie, gli autori dei programmi e degli episodi  indicati da me qui sotto. Ma non sono tutti: per la lista completa cliccate qui.
DRAMA
Breaking Bad
The Good Wife
Homeland
House of Cards
Mad Men
COMEDY
30 Rock
Modern Family
Parks and Recreation
Orange Is the New Black
Veep
NUOVA SERIE
The Americans
House of Cards
Masters of Sex
Orange is the New Black
Ray Donovan 
COMEDY / VARIETÀ
The Colbert Report
Conan
The Daily Show With Jon Stewart
Jimmy Kimmel Live!
Portlandia
Saturday Night Live
DAYTIME DRAMA
Days of Our Lives
General Hospital
The Young and the Restless

mercoledì 4 dicembre 2013

MODERN FAMILY (5.05): quello che passa per cultura

 
 
Devo ammettere di essere un po’ – OK, tanto – infastidita dalla rappresentazione di quello che passa per sapere e cultura in Modern Family, una sit-com che apprezzo, di per sé. Alex Dumphy (Ariel Winter) è la secchiona di turno, molto studiosa e preparata, poco sociale e poco cool per questo, circondata da genitori che danno importanza sì allo studio, ma in modo relativo, e da un fratello e una sorella che da un punto di vista scolastico sono, al meglio, degli scansafatiche.
Alex è uno stereotipo, e sta bene anche che sia così, con le ossessioni della ragazzina tutta libri, imbranata socialmente e un po’ snob nei confronti di chi non va bene a scuola: ci sta tutto. Così come ci sta che i genitori siano preoccupati per la sua inettitudine in altri campi almeno quanto lo sono per quella della sorella in campo accademico.
Quello che mi infastidisce è che, ripetutamente, l’idea che passa di studio e cultura è di puro nozionismo trito: sapere solo tante cose sterili, in modo mnemonico. Con le sue uscite Alex sembra una persona intelligente e ghiotta di sapere tante cose – anche se non si capisce bene il perché, dato che, seppur tutta presa dai cuoi compiti e letture, non dimostra alcun piacere nel farlo - ma davvero ignorante. E tra l’altro, si reitera spesso il fraintendimento che intelligenza e cultura-e-istruzione siano la stessa cosa: si può essere molto intelligenti, ma ugualmente ignoranti come capre, e si può avere una buona scolarità e non essere particolarmente intelligenti (quanto meno entro certi limiti).  
Un recente episodio poi, “The Late Show” (5.05), scritto da Abraham Higginbotham,  è stato veramente avvilente. Alex fa da babysitter per la nipotina Lily (Aubrey Andreson-Emmons), la figlia adottiva degli zii Mitchel e Cam, e cerca di leggerle Piccole Donne. Comincia leggendo il famoso incipit in cui Jo borbotta che un Natale senza regali non è un vero Natale, e Lily, dopo che nemmeno le sono state lette due frasi in croce, le dice di smettere, che non le piace, e si offre di truccarla. Qualche scena dopo, vediamo Alex che procede nella lettura ad alta voce, mentre la piccola la pettina e le mette le forcine ai capelli. Dopo un po’ Alex dice “Fa schifo! Ci rinuncio”. E la bimba, contenta, squittisce: “Grazie a Dio! Vuoi vedere i capelli?

Non sono non ha fatto ridere, mi sono cadute le braccia. Non solo perché adoro Piccole Donne, ma per il senso della scena tutto. Questa sarebbe l’intellettuale del gruppo: andiamo bene.

venerdì 22 novembre 2013

DOWNTON ABBEY: una perfetta quarta stagione

 
Attenzione SPOILER. Manca ancora lo speciale natalizio per chiudere la quarta stagione di Downton Abbey, ma si può già certo dire che è stata eccellente, al pari se non addirittura migliore della prima, dopo le più deboli seconda e terza.
Teso, intenso, sobrio, senza sbavature o cedimenti eccessivamente melodrammatici, e con un saggio uso dell’ellissi, questo arco è cominciato nel dolore per il lutto della morte di Matthew (Dan Stevens), con Lady Mary (Michelle Dockery) e Isobel (Penelope Wilton) che hanno perduto rispettivamente il marito e il figlio circa sei mesi prima. La prima puntata si è soffermata anche sul significato dell’essere madri dato che lo sono entrambe. Mary, ora vedova, rifugge nuovi legami sentimentali - ma attira le attenzioni sia del vecchio amico d’infanzia Lord Gillingham (Tom Cullen) che di Charles Blake (Julian Ovenden), capo di Evelyn Napier (Brendan Patricks), pure fra i spasimanti di Mary - e si dedica alla gestione attiva delle proprietà che il marito le ha interamente lasciato in una lettera-testamento. Isobel viene risvegliata invece alla vita da una bella amicizia con nonna Violet (Maggie Smith). È una gradita boccata d’aria fresca vedere una storia di amicizia fra due donne anziane. E alle fine le coppie non-sentimentali sono probabilmente le più belle qui: Carson e Lady Mary, ad esempio, son stati spettacolosi come e più di sempre.

Lady Edith (Laura Carmichael) finisce sempre per fare il brutto anatroccolo della situazione: in questa stagione viene apparentemente abbandonata senza spiegazioni del suo pretendente, e si scopre incinta. La serie ha flirtato con la possibilità di farla abortire, e in questo caso avrei voluto fosse un po’ più coraggiosa nel raccontare una storia scomoda, mentre è ricaduta nel solito trito cliché di arrivare fino alla porta del medico e poi all’ultimo di ritirarsi. Non è stonato, ma è stata la soluzione più banale a cui potessero arrivare. È stato molto vero però il modo in cui in sala d’attesa ha fugacemente accennato a come avrebbe reagito al posto suo la sorella Sybill, ora morta, parlando a cuore aperto con zia Rosamund (Samantha Bond) che le è stata vicina.

Nonostante sia nata una controversia in proposito, con proteste indirizzate alla rete, la storia di stupro di Anna (Joanne Froggatt) da parte del valletto di Lord Gillingham, Mr Green (Nigel Harman), è stata trattata con tatto e destrezza, in tutta la costruzione narrativa e nella impeccabile recitazione di tutti i coinvolti – Bates (Brendan Coyle), Mrs. Hughes (Phyllis Logan), Mary e la stessa Anna in primis, naturalmente. Storie di stupro ne ho viste anche troppe, ed inizialmente ero insoddisfatta che avessero scelto di raccontare un simile evento, ma ripensandoci ho pensato fosse una storia importante per il periodo storico in cui è avvenuto e per il diverso atteggiamento allora nei confronti di questo genere di crimini. In realtà doveva essere una situazione abbastanza comune.

Il flirt della giovane cugina Rose (Lily James) con il musicista jazz nero Jack Ross (Garu Carr) – forse ispirata dalla serie Dancing on the edge, come giustamente ha osservato qualcuno  - ha sollevato la questione razziale: si è ritratto un mondo con pochissime pennellate e sguardi ben diretti – i giochi di sguardi sono stati un punto di forza notevole in questa stagione anche altrove. La vicenda si è conclusa in modo sia coerente con i mores dell’epoca – siamo nel 1922 – che in modo umanamente soddisfacente.

Anche i rapporti di classe e di casta sono stati un tema ricorrente: un giovane giardiniere sospettato di furto; i dubbi di Tom (Allen Leech) sul proprio posto nella famiglia; le esilaranti vicende legate alla caduta professionale di Molesley (Kevin Doyle). Il triangolo di amori non corrisposti Daisy (Sophie McShera)- Alfred (Matt MIlne) - Ivy (Cara Theobold) e le piccole rivalità fra le due ragazze, così come le aspirazioni da cuoco di lui, l’esasperazione di Mrs Patmore (Lesley Nicol) e i saggi consigli del padre di William, pure sono stati un riuscito sub-plot. E sempre uno spasso è poi vedere le innovazioni tecnologiche di allora (il frigorifero, la macchina da cucire Singer).

Forse anche a causa dell’uscita di scena di O’Brien (Siobhan Finneran), che non si è vista in questa stagione ma potrebbe tornare in futuro, Thomas Barrow (Rob James-Collier) è rimasto un po’ sul back burner, così come in secondo piano è rimasta Cora (Elizabeth McGovern), anche se nello speciale natalizio è previsto l’arrivo del fratello Harold, a cui darà il volto Paul Giamatti. Mi unisco al brindisi fatto nell’ultima puntata prima dello speciale, da lei e Lord Grantham (Hugh Bonneville) di ritorno da New York, per congratularmi per una stagione davvero riuscita.  

martedì 12 novembre 2013

MASTERS OF SEX: impeccabile


Masters of sex è la nuova serie dell’americana Showtime, basata sull’omonima biografia scritta da Thomas Maier, che narra le vicende di due pionieri della sessuologia, William Masters (Michael Sheen), ginecologo e ostetrico, e Virginia Johnson (Lizzy Caplan), ex cantante poi segretaria, che crearono un fortunato  sodalizio studiando un argomento ai loro tempi praticamente radioattivo, un suicidio professionale. La trasposizione televisiva sta raccogliendo critiche entusiaste. E la mia si aggiunge al coro. Ho letto il libro e la serie mi pare impeccabile.
Gli assi su cui la serie si costruisce sono cinque, direi. Primo, la costruzione dei personaggi: lui ambizioso, considerato strano, e quasi ossessionato dallo studiare la sessualità umana; lei affabile e libera e altrettanto interessata all’argomento, ma inizialmente impreparata e perennemente “in debito di formazione” rispetto alle certificazioni ufficiali. Lui sposato con Libby (Caitlin Fitzgerald), che fatica a concepire dei figli; lei con due matrimoni falliti alle spalle e due figli piccoli a suo carico. Secondo, il  loro rapporto: intenso, profondo, complicato e a dispetto della buona quantità di materiale, sotto tanti profili ignoto, cosa che permette alla narrazione un margine notevole per raccontare la propria storia. Terzo: i mores dell’epoca, sulla sessualità che è un vero tabù, ma non solo. Quarto, le tematiche che sono messe in luce da libro: la difficoltà della scienza di superare le barriere dei pregiudizi, di fronte alla materia del sesso; l’importanza della donna in questo studio, sotto più profili. Quinto: la rivoluzione che hanno portato i loro studi che hanno rivelato verità biologiche che ora diamo per scontate e investigato e fugato radicati tabù e pregiudizi in materia di sesso.

E l’autrice della serie, Michelle Ashford, ci offre una chiave di lettura interessante. Il punto focale non è il sesso, ma William e Virginia (o Bill e Ginny, se preferite) che guardano il sesso. E noi guardiamo loro. Io, quanto meno, di certo. Da non perdere davvero. 


lunedì 4 novembre 2013

DRACULA: poco dionisiaco

 
Tanto apollineo, ma troppo poco dionisiaco è stato il primo pensiero che ho avuto nel guardare la nuova incarnazione di Dracula , serie della NBC (negli USA) e Sky One (in Inghilterra)  in 10 puntate - ideata da Cole Haddon, e basata molto liberamente sul classico di Bram Stocker, ma poi scritta da Daniel Knauf (Carnivale) anche showrunner -, in cui il volto del più famoso vampiro della storia è interpretato da Jonathan Rhys Meyers (I Tudor).
Siamo alla fine del XIX secolo e Abraham Van Helsing (Thomas Kretschmann, attore che in passato ha interpretato Dracula lui stesso, nella pellicola di Dario Argento Dracula 3D) risveglia il suo nemico, il conte Dracula, per creare con lui un’alleanza diretta a distruggere l’Ordine del Drago. Dracula accetta perché vuole vendicarsi di chi lo ha condannato all’immortalità. Accompagnato dal fido Renfield (Nonso Anozie), si fa passare per Alexander Grayson un ricco imprenditore americano –sembra una sorta di più tenebroso Mr Selfridge – che vuole far scoprire ai londinesi il potere dell’energia elettrica senza fili, possibile grazie al potere del geomagnetismo (in un guizzo di steampunk, come ben nota Barbara Maio). Organizza all’uopo una grande festa nella sua sontuosa dimora Vittoriana – come una sorta di versione non-morta del grande Gatsby, modello esplicito dello scenografo Rob Harris. Qui incontra Mina Murray (Jessica De Gouw), aspirante medico di cui si invaghisce, che pare la reincarnazione della sua defunta moglie (ma vogliono evitare il melodramma),  il fidanzato di lei, il giornalista  Jonathan Arker (Oliver Jackson Cohen), che aspira alla scalata sociale, e la loro amica Lucy Westenra (Katie McGarth).
Girata a Budapest (che passa per Londra), la serie è visivamente mozzafiato, ma manca di mordente da un punto di vista narrativo, e in definitiva annoia. Al di là dell’alleanza fra i due nemici storici, le premesse della rivisitazione non dispiacciono, ma mancano tormento e passione. È esangue.

giovedì 31 ottobre 2013

REIGN: fantasia infantile, bestemmia storica

 
L’incipit dice: “Francia 1557. Mary regina di Scozia è rimasta nascosta in un convento per la sua sicurezza dall’età di 9 anni”, finché non sarà il momento di venire mandata in sposa al futuro re di Francia. Ma…dimenticatevi la storia.

Reign non  è la storia di Mary, regina di Scozia, magari con qualche licenza poetica qui e lì. La creazione di Laurie McCarthy - che Tim Goodman sull’Hollywood Reporter dice stia “instupidendo un Paese sempre più stupido”,  accusando la CW di rovinare l’America -  se non la si vuole considerare un insulto all’intelligenza, la si può ritenere solamente la fantasia di una ragazzetta delle medie che sogna di fare la principessa, immaginata come una liceale americana in costume. Se la serie avrà successo è solo e soltanto per questa ragione. Dice bene Marco Goi, quando scrive “Reign - Venga il tuo regno. Sia fatta la volontà del trash”.

Mary (Adelaide Kane), dopo che la suora che era addetta ad assaggiarle i pasti muore, viene portata in tutta fretta in Francia e incontra il suo promesso, il principe Francis (Toby Regbo), un aitante giovanotto donnaiolo  - nella realtà era un quattordicenne malaticcio. Un’intesa, e un evidente inizio di triangolo, si crea però con il fratellastro del principe – che nella realtà non esisteva – Bash (Torrence Coombs). Dame di compagnia di Mary sono le sue amiche un po’ Gossip Girl o Pretty Little Liars, e a tirare molti dei fili è la regina Caterina De’ Medici (Megan Follows), preoccupata delle previsioni di un Nostradamus  giovane e gnocco (Rossif Sutherland) che ritiene che Mary sarà nefanda per Francis.

Un estemporaneo girotondo di ragazzine a piedi scalzi sotto una cascata di piume è una buona immagine che incapsula la vocazione del programma, una inguardabile bestemmia storica.

giovedì 24 ottobre 2013

MASTERS OF SEX - 1.04: anacronismo estetico

 
Ho trovato anacronistico un commento che il dottor Ethan Hass ha fatto nella puntata “Thank you for coming” (“Grazie per essere venuto/a/i”) di Masters of sex (1.04), scritta dalla brava Amy Lippman, puntata che fra parentesi ha un titolo assolutamente perfetto nel suo uso del doppio senso.
Il dottor Hass (Nicholas D’Agosto) pesa sulla bilancia Libby Masters (Caitlin Fitzgerald) per monitorare come procede la sua gravidanza e dice che è aumentata 11 libbre. Lei è sorpresa perché sulla bilancia di casa le risultavano 16 libbre.  Al che lui commenta: “Mi lasci indovinare: lei è una di quelle donne che modificano la propria bilancia in modo da leggere che sono 5 libbre di più per auto-ingannarsi a perdere peso”. “Come conosce bene le donne”, replica lei.  
Questa conversazione lascia credere che il principio estetico condiviso sia “più magro, più bello”. All’epoca però, una donna con le caratteristiche fisiche di Libby, magra com’è, credo che avrebbe considerato  desiderabile e sentito la pressione sociale ad essere semmai più in carne, non certo più magra. Almeno così mi dicono i racconti delle persone che quell’epoca l’hanno vissuta, così come le numerose pubblicità risalenti a quegli anni (si veda qui o qui, ad esempio).
Questo “errore”, se tale può essere considerato, mi dispiace soprattutto perché credo che sia stata un’occasione sprecata nel ricordare che certi canoni estetici sono sensibili rispetto all’epoca a cui si riferiscono, non universali, tanto più in un momento storico in cui ci si lamenta di come l’ideale di peso per le donne sia irrealisticamente magro.

martedì 22 ottobre 2013

AHS: COVEN: "Detention" ispirato a Pina Bausch

 
Mi sono imbattuta per puro caro nell’immagine sopra, che è una foto di una performance che risale al 1977, intitolata “Blaubart” di Pina Bausch, una coreografa e ballerina tedesca.
Non la conoscevo in precedenza, ma naturalmente non ho potuto non notare che ha ispirato in modo diretto il teaser trailer intitolato “Detention” della terza stagione, Coven, di American Horror Story (sotto). È stato illuminante.
Questi teaser trailer peraltro cominciano a diventare qualcosa di complementare, ma anche autonomo rispetto alla serie a cui si riferiscono. Piccoli gioielli a sé.  

mercoledì 16 ottobre 2013

BEAUTIFUL: Thorsten Kaye è il nuovo Ridge

 

Thorsten Kaye (OLTL, AMC, PC, Smash) sarà il nuovo Ridge Forrester in Beautiful, al posto di Ronn Moss che ha lasciato la soap nel 2012 dopo 25 anni. Lo scoop è di TV Guide che ha intervistato l’attore. Kaye debutta il prossimo 13 dicembre negli stati Uniti.

Quando si rimpiazzano personaggi storici è sempre strano, e non sempre è una buona idea. Kaye, un veterano del genere, è però un attore decisamente migliore di Moss, e con un suo notevole fascino. Non farà rimpiangere il predecessore. Tra l’altro ha un fantastico senso dell’umorismo e, anche se gli fanno recitare sempre ruoli iper-seri, spero che riesca a iniettare un po’ di humor nel personaggio.

martedì 15 ottobre 2013

OSSERVATORIO TV 2014: il CFP

 
Osservatorio TV, il progetto di ricerca indipendente sulle serie TV curato da Barbara Maio, dopo l’uscita volume del 2013, scaricabile gratuitamente qui, cerca interventi per il volume del 2014. Sotto i riflettori vogliono essere le serie prodotte fra il 2011 e l’inizio 2014 e, come in passato, il tono intende essere fra l’accademico e il divulgativo. Se siete interessati, potete scaricare in PDF il Call For Papers con le indicazioni più precise. Per approfondire, visitate il sito del progetto.

lunedì 7 ottobre 2013

THE NEWSROOM: la seconda stagione

 
Attenzione: ci sono spoiler. È la grammatica la vera star della seconda stagione di The Newsroom, o più genericamente l’uso della lingua, visto che tutto l’arco è costruito su un “se”, o meglio sulla volontaria omissione di un “se”.
Le puntate sono 9. Dovevano essere 10, ma in corso di via, dopo che la prima e seconda puntata erano già state girate, Aaron Sorkin si è reso conto che non funzionavano, ha deciso di rigirarle in parte e di riscrivere la terza puntata. La HBO glielo ha lasciato fare, ma ragionevoli ragioni di budget hanno fatto sì che la stagione avesse una puntata intera in meno di quelle previste (fonte: The Hollywood Reporter).  In effetti era necessario anteporre parte delle conclusioni: consente una lettura completamente diversa a ciò che accade.

Come è evidente dalla nuova sigla (sotto), l’attenzione si è spostata dai giornalisti alle notizie. E una storia unica ha fatto da scheletro portante per tutte le puntate: la squadra di Will McAvoy segue una pista che fa loro credere – cosa falsa – che gli Stati Uniti nella “operazione Genoa” abbiano utilizzato il Sarin, un gas nervino, su un villaggio di civili per l’estrazione di alcuni militari americani in Pakistan nel 2009. Una cosa del genere è un crimine di guerra e per mesi ci vanno con i piedi di piombo, non volendo credere che sia vero e cercando ogni forma possibile per verificare la fondatezza della notizia. Alla fine, per colpa di un temporaneo produttore, Jerry Dantana (Hamish Linklater, The New Adventures of old Christine, The Crazy Ones),  che scientemente manipola un’intervista, si arrendono a quella che sembra l’evidenza, e riportano la notizia. Tutto avviene togliendo, appunto, un “se” e distorcendo così una citazione del generale Stanislaus Stomtonovich: “se abbiamo usato gas sarin, ecco come abbiamo fatto” diventa “abbiamo usato gas sarin, ecco come abbiamo fatto”. Sono costretti a ritrattare la notizia 48 ore dopo, cosa che mina la loro credibilità – il grande tema di questo blocco - e che li porta davanti agli avvocati a discutere la loro posizione, dato che Dantana, licenziato, fa loro causa.

La storia è basata su un vero scandalo del 1998, in cui la CNN e il TIME sono stati criticati per aver riportato una simile notizia rispetto alla guerra del Vietnam (operazione Tailwind). Ma è anche una storia che risuona con l’attualità. Guardare le puntate in tempo reale ha avuto infatti perfino un che di inquietante, per il fatto che, pur essendo state scritte e girate molti mesi prima, hanno fatto da eco molto forte a ciò che stava accadendo in Siria nel periodo della messa in onda.

Storie parallele vedono Neal occuparsi delle vicende di Occupy Wall Street, Jim farsi mandare a coprire il tour dell’autobus di Mitt Romney in campagna elettorale, e Maggie, dopo aver rotto con Don che scopre che in realtà era innamorata di Jim, farsi mandare in Africa in un orfanatrofio. La morte di un bambino rimane per lei uno shock da cui difficilmente si riprende. Temevo, devo dire, la facile abusata strada della violenza sessuale, ma invece i miei timori sono stati piacevolmente disattesi. Sorkin ha sempre avuto difficoltà, per sua stessa ammissione, a scrivere le donne, ma mi sembra che qui abbia fatto un lavoro migliore del passato.

La chiusura in due parti ha riguardato la rielezione del presidente Obama e il lieto fine romantico per McKenzie e Will. Quest’anno quest’ultimo è risultato più spocchioso del solito, ma Jeff Daniels si è ben meritato l’Emmy come miglior attore per questo ruolo.

Sulla prima stagione, si veda il mio saggio per OSSERVATORIO TV - 2013, scaricabile gratuitamente.