venerdì 22 giugno 2012

GIRLS: "una voce in una generazione"



Girls (partito sulla HBO ad aprile) è considerata una sorta di anti-Sex and the City, o forse sarebbe meglio definirla una sorta di post-Sex and the City, la seminale serie, pure citata, che ha come protagoniste quattro amiche. Qui si tratta di quattro ragazze ventenni che vivono a New York e che cercano di capire chi sono e chi vogliono essere. Sex era più patinato, e sotto sotto si è sempre detto che era in qualche caso più la rappresentazione di uomini gay in forma di donne che non l’espressione di un’autentica voce femminile. Girls è più vulnerabile e disorientato, ed è più “ispido e monocromatico”, per rubare gli aggettivi usati dall’Hollywood Reporter, che ne loda la brillantezza della visione artistica. 
Ha il gusto realistico-indie garantito dall’ideatrice-sceneggiatrice-regista-produttrice esecutiva-attrice Lena Dunham, nota per il film Tiny Furniture. C’è un pizzico della capacità di mettere a nudo – di fatto e metaforicamente - con ironia e auto-deprecazione le proprie insicurezze e i propri difetti alla maniera di Louie C.K. (Louie) e c’è un po’ della capacità di rendere vivi e brucianti, ma anche dolci, gli imbarazzi e le umiliazioni dei momenti di crescita alla maniera di Judd Appatow (Freaks and Geeks), qui pure produttore esecutivo.
La serie inizia con la protagonista principale, la 24enne Hannah (Lena Dunham), una aspirante scrittrice, che è a cena con i genitori. Le annunciano che vogliono darle una “spintarella finale”: non la manterranno più. Ha terminato l’università e sta facendo un tirocinio non pagato, vorrebbe che i genitori la sostenessero ancora, così com’è per tutti i suoi amici, ma d’ora in poi deve cavarsela da sola. Ha una storia con Adam  (Adam Driver) che è più o meno il suo ragazzo, ma non proprio e non ufficialmente, o meglio è qualcuno con cui fa sesso qualche volta sì e qualche volta no. E poi, appunto, nella sua vita ci sono le altre “ragazze” – la Dunham ci tiene a sottolineare che si sentono ragazze, le “girls” del titolo, e non si autoidentificherebbero come “donne”: Marnie (Allison Williams) è la sua migliore amica, bella, con un buon lavoro e un fidanzato perfino troppo pieno di considerazione, Charlie (Christopher Abbott). Poi c’è Shoshanna (Zosia Mamet), timida e inesperta,  e sua cugina, l’inglese giramondo Jenna (Jemina Kirke).
Non sono caricature o tipi, ma autentiche persone, che l’autrice dice di aver scritto “di pancia” – e si sente. I temi, venati di humor sottile, sono quelli dell’amicizia e dell’amore, del diventare adulti, del ruolo della tecnologia nelle relazioni, del sesso, spesso imbarazzante, mortificante o poco appagante, dell’intimità e del corpo – con la Dunham che coraggiosamente si mostra senza pudori pur con le sue imperfezioni; non ricordo francamente nessun’altra giovane donna che abbia avuto il coraggio di mostrarsi nuda  alla stessa maniera pur avendo, ad esempio, un po’ di pancia e l’ho apprezzato molto. È una ragazza normale, come tante, spesso a disagio, spesso vagamente alla deriva. Ed è, se non la voce della sua generazione, la Generazione del Millennio come viene anche chiamata, almeno “una voce in una generazione”, dicitura che ha fatto molto parlare e che incapsula lo spirito della serie, anche per le circostanze in cui è stata pronunciata nel pilot, ed è una replica alle critiche che la Dunham aveva ricevuto per essere stata definita la voce della sua generazione in seguito al film che l’ha resa nota.
Lo show si è anche attirato molte commenti di disapprovazione per il fatto che sarebbe narcisistico, mancherebbe di diversità razziale e mostrerebbe ragazze privilegiate che si lamentano di argomenti rilevanti solo per l’un per cento della gente. Parte delle obiezioni riguardano la scelta del cast, che apparterrebbe a questa categoria di persone: Alllison Willams è la figlia del famoso giornalista Brian Williams, e Zosia Mamet è figlia del celeberrimo drammaturgo David Mamet. Personalmente, fintanto che sono brave - e mi paiono effettivamente tali -, non sono così snob da penalizzarle per il fatto di avere genitori ricchi e famosi. E una buona narrazione dell’esperienza umana rimane per me tale anche se riguarda una bassa percentuale della popolazione.   
La prima stagione è di 10 episodi.

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